Vi propongo uno stralcio dell’editoriale firmato da Enrico Borra, pubblicato sull’ultimo numero de La Meta. L’articolo si intitola “Berot, Gajan e il nuovo che avanza”
L’annuncio della nuova composizione dello staff tecnico che accompagnerà Jacques Brunel nella rincorsa agli ottavi di finale della Rugby World Cup 2015 ha confermato in pieno la mia sensazione: la Federazione ha drasticamente cambiato il suo approccio alla gestione della nazionale maggiore. La fiducia che la FIR ha riposto nel tecnico francese è infatti stata certificata dalla pressoché totale liberta nella scelta dei suoi assistenti e,
soprattutto, dalla nuova confermazione assunta dai vertici tecnici delle aree
‘sensibili’ dell’alto livello italiano. Con Gajan alla guida di una delle due formazioni professionistiche del nostro Paese e l’arrivo di Philippe Berot alla guida dei trequarti della nazionale maggiore, le premesse per una “nuova era’ del nostro rugby internazionale ci
sono finalmente tutte. Manca ancora il responsabile degli avanti ma il fatto che Brunel abbia scelto di assumersi l’incarico per i test match del prossimo mese lascia intendere che arriverà una sua scelta. Davvero ottimo”.
Opinioni condivisibili, in linea di massima. C’è però qualche “ma”, un paio almeno.
1) Enrico nel suo articolo parla di fiducia della FIR in Brunel e di “totale libertà nella scelta dei suoi assistenti”. Beh, a me sembra il minimo sindacale in quello che dovrebbe essere il rapporto tra una qualsiasi federazione e il ct che la stessa si è scelto. Tra i due soggetti possono col tempo anche subentrare incomprensioni, ma il francese ha preso in mano le chiavi della nazionale solo 8 mesi fa. Quella fiducia non va celebrata come una vittoria, dovrebbe essere la normalità.
2) Nell’articolo si parla anche di ”premesse per una nuova era del nostro rugby internazionale”. Io mi auguro davvero che sia così, Brunel mi piace molto e sono convinto che possa farci fare il vero salto di qualità. Però se scorriamo le scelte fatte per guidare la nostra nazionale negli ultimi 15 anni ci rendiamo conto che ci si è praticamente sempre affidati a tecnici stranieri. E va bene, il nostro movimento deve crescere e l’apporto da paesi rugbisticamente più evoluti è fondamentale (da me non sentirete mai dire “l’Italia agli italiani”). Però le parole dell’articolo portano alla luce un altro nostro problema: l’incapacità di “produrre” tecnici ritenuti all’altezza per quel compito. E non è una mancanza da poco. Lo so che ad allenare l’Australia c’è un neozelandese e che il Galles che ha stupito il Mondiale e conquistato il Grande Slam al Sei Nazioni non è guidato da uno nato a Cardiff, ma volendo quelle federazioni potrebbero andare a pescare tra i “loro” allenatori. Noi potremmo farlo? La “colpa”, ovviamente, non è della FIR, che però qualche responsabilità in merito dovrebbe averla. Al pari – comunque – di tutto il resto del movimento, club in testa.
Magari mi sbaglio a ricordare, ma quando venne presentato Berbizier il presidente Dondi disse alla stampa che il ct successivo sarebbe stato italiano. Poi sono arrivati Mallett e Brunel. Quelle parole del numero uno federale per quanto rimarranno solo un auspicio?