Trentatré è il numero che si dice al dottore quando ti ascolta i polmoni e il cuore. Un numero importante, che fa ballare dentro di noi dei sussulti che si possono ascoltare, o meglio auscultare.Trentatré segna anche la fine, oserei dire piuttosto cruenta, del primo hippie della storia, che ha influenzato tutto il pianeta, anche chi, come me, nutre seri dubbi sulla storia del figlio di Dio.Trentatré sono anche i trentini che entrarono a Trento (da dove arrivavano non ce l'hanno mai detto) a far cosa non si è mai capito.E trentatré sono gli anni passati, tutti quanti, giorno per giorno, ora per ora, senza il mio papà. Senza poterlo chiamare, senza poterlo invitare a cena, senza poterci parlare o litigare o confrontare. Domani sono 33 anni che è morto mio padre. Una vita.Uno pensa che il tempo abbia in sé il potere di riempire la voragine del vuoto dentro, ma invece non fa che smussare gli angoli, non fa che rendere la lama un po’ meno affilata, così che se ne può parlare senza il dolore lancinante delle prime volte. Ma crescere senza un genitore non è facile per nessuno e non lo diventa con il tempo.Sono innumerevoli le volte che, seduta al volante nel traffico del casello dell’autostrada mi dico: ‘adesso mi volto e lo vedo nella macchina di fianco alla mia, che si gira lentamente, mentre le sue labbra si trasformano in sorriso”. Mi vedo questa scena tutte le volte, e tutte le volte me lo immagino con una camicia diversa, in una macchina diversa, ma sempre a fare lo stesso gesto, come se fosse a rallentatore. In questi anni di Youtube ho studiato a fondo i suoi gesti, per esempio come teneva il volante nella sigla della sua trasmissione Le Mille Miglia: con il pollice davanti, quasi attaccato al palmo della mano. Ho anche osservato come teneva la sigaretta, come gesticolava, come spesso metteva la mano sulla spalla della persona che intervistava, probabile segno d’affetto. Come il suo viso si trasformava velocemente in una risata; come si metteva, con i gomiti appoggiati alle ginocchia e la testa in giù e un po’ in avanti, quando ascoltava. Come teneva la sua agenda, sempre strapiena di foglietti.Quando una persona non c’è più da tanti anni, sono questi piccoli dettagli che rimangono, che diventano di un’importanza quasi esagerata. Sono come una testimonianza di un’esistenza che a volte sembra talmente lontana che rasenta l’impossibile. Eppure, se io esisto è perché è esistito lui: sono la prova vivente del suo essere stato. Una testimonianza.Tra qualche settimana esce il libro Vite Vere, che lui aveva scritto qualche anno prima di morire. Stessa copertina, quella di Altan, stesso colore, rosso. Le mie sorelle mi hanno spedito una foto di una delle copie e per un attimo mi è mancato il respiro, mi ha fatto tornare indietro a quella volta che con mio padre eravamo andate a comprare gli stivali che mi piacevano e ci aveva chiesto di andare nella libreria di fianco al negozio di scarpe per chiedere se avessero il libro. Un’immagine su whatsapp, guardata sul telefonino nella mia cucina di Cambridge, mi ha riportato in una galassia lontanissima della mia vita. Non ho potuto fare altro che condividere il mio pensiero con le mie sorelle: papà sarebbe felicissimo.
E noi anche, se fossimo ancora in quella galassia.