intervistata per uno spot a beneficio della festa del libro, che ricorrerà il prossimo 23 maggio, maria pia veladiano dichiara: “Perché leggere? Perché i libri ci portano la vita. Noi non possiamo vivere tutto nella vita, però i libri ce la portano e noi possiamo capirla”. Fin qui tutto accettabile. Poi, d'improvviso, la svolta etnica: “E se la capiamo possiamo stare bene con gli altri, diventiamo tolleranti, perché capire vuol dire essere tolleranti, vuol dire vivere l’integrazione, vuol dire stare bene. Bisogna leggere per la convivenza, per la tenuta della nostra civiltà”. questo vuol dire che – posto che la lettura possa avere uno scopo – dovremmo usare il nostro tempo di lettori per vivere l'integrazione (cosa vorrà dire?) e per puntellare, con le nostre letture, la nostra civiltà?
lasciamo la parola a un signore che se ne intende: “Il suo [di William Falkner] libro più straordinario è Mentre morivo. Ogni volta che lo rileggo, scopro che la mia coscienza si è espansa e il mio io si è allargato, ma senza essere deformato o manipolato”. I 'grandi', va ripetendo Bloom da decenni, toccano l’individuo senza pretese di cambiare il mondo. 'La grande letteratura non ci rende più altruisti o generosi ma ci insegna a parlare in maniera più lucida, efficace, e, in ultima analisi, illumina il nostro io'. Finalità egoista? 'Certo, ma per aiutare il prossimo dobbiamo essere prima in grado di completarci come individui'”.
Amo i poeti ma non voglio vederli, intervista di Alessandra Farkas a Harold Bloom, in “Corriere della Sera”, 18 marzo 2010