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Didattica della letto-scrittura: quale metodo adottare?

Creato il 22 agosto 2015 da Lorenafigini
Metodo è una parola che appare poco appropriata, più idonea allo studio di un processo prettamente scientifico e non alla natura dell’apprendimento della letto-scrittura, che segue lo schema, possiamo dire, di un triangolo comprendente soggetto che insegna, soggetto che impara e oggetto d’insegnamento, in cui l'oggetto riveste un ruolo fondamentale.
Seguendo questo schema, possiamo concentrarci sui tre aspetti cruciali dell’apprendimento; in primo luogo l’oggetto d’insegnamento, che in questo contesto assume una notevole valenza, in quanto la scrittura e la lettura sono per il bambino strumenti per conoscere il mondo attorno a sé, per acquisire autonomia, per sentirsi un po’ partecipi del mondo degli adulti, per comunicare senza chiedere il permesso. Come dimenticare un bambino che vede un’insegna e ti dice “Guarda, te lo leggo io” oppure ti strappa di mano per la prima volta il libro delle fiabe e dice “Ci provo io”, o ancora, scrive in totale autonomia una breve lettera per Babbo Natale?

Didattica della letto-scrittura: quale metodo adottare?

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Se, nel passato e fino a poco tempo fa, si considerava questo oggetto di apprendimento come una mera tecnica di trascrizione (fonema-grafema), un semplice imparare a memoria delle corrispondenze, oggi si sa che l’apprendimento delle letto-scrittura è molto di più, è una conoscenza complessa e sulla quale i bambini si pongono delle domande non banali, che ne dimostrano la natura di apprendimento concettuale e cognitivo. Il bambino si chiede perché esistono gli spazi, che cosa rappresenta la scrittura, cosa sono le parole e lo fa perché per lui il “metodo” (se vogliamo parlare di metodo) per imparare è scoprire il senso dell’apprendimento; per questo oggi si preferiscono situazioni autentiche in cui il bambino viva la lettura e la scrittura, situazioni che non snaturino il fatto che questo apprendimento si inserisce nelle pratiche sociali.
Tornando al nostro triangolo didattico, parlando del soggetto che impara si può rilevare che, come per ogni altro insegnamento, è necessario partire dalle conoscenze pregresse, che di norma vengono ignorate (quanti di noi hanno avuto maestri che non si sono posti il problema di cosa la classe sapesse fare e si sono limitati a farci trascrivere e ripetere infinite volte la lettera A, B, C, D…); viene anche dimenticato che il bambino ha degli interessi personali e uno stile cognitivo che lo caratterizza.
Il soggetto che insegna, cioè noi, è il tema, a parer mio, più dolente: spesso ci dimentichiamo che nell’insegnare mettiamo in gioco anche il nostro rapporto con la scrittura e la lettura, riflettiamo poco sul significato di scrivere, abbiamo delle idee sul processo d’insegnamento e tendiamo ad applicare un “metodo” che per noi ha senso, senza rifletterci abbastanza.
È proprio sulla scelta del metodo che l’insegnante ha un potere straordinario ed è per questo che dobbiamo conoscere i cosiddetti “metodi” per poterne valutare pro e contro ed eventualmente scegliere, un po’ controcorrente, di non limitarsi a un metodo, ma spaziare seguendo ciò che si ritiene più idoneo, sempre con uno sguardo rivolto alla letteratura di riferimento.
L’analisi di approcci diversi ci dimostra che ogni scelta ha i suoi limiti: un approccio dal basso rischia di essere ripetitivo, noioso, eccessivamente meccanico, di non coinvolgere il bambino, di sottrargli l’interesse per la stesura di testi o per la lettura di racconti. Ci sono bambini in prima elementare che sanno leggere solo lettera per lettera e non comprendono il senso di quello che hanno letto: l'autostima e la voglia di leggere precipitano, perché il bambino è consapevole di non poterne capire il senso perché perso tra centinaia di lettere.
L’approccio globale, dall’alto, sembra essere più vicino agli interessi dei bambini, anche perché s’inserisce in una cornice di ricerca del senso e del significato che un apprendimento ha per il bambino; ha però i suoi contro in presenza di bambini con bisogni educativi speciali e potenzialmente dislessici. Ovvio che un metodo non deve escludere l’altro: l’alfabetiere è utile al bambino e anche scrivere più volte una lettera può contribuire a renderlo più sicuro. Allora perché limitarsi? Perché seguire il libro di lettura senza riflettere su cosa interessa di più al bambino? Perché non lasciare la possibilità di scrivere testi spontanei? Credo che la conclusione più importante sia di dimenticarsi della lettura come decifrazione, ma di vederla come comprensione, ponendosi come obiettivi anche il confronto tra testi diversi e l’anticipazione del senso del testo ancor prima della lettura. Bisogna porsi tanti interrogativi su quello che è giusto o sbagliato nell’insegnamento della letto-scrittura; su quale sia, allora, il modo giusto per avvicinare i bambini a lettura e scrittura. Forse la questione è proprio questa: dobbiamo essere insegnanti che si pongono delle domande, perché altrimenti il nostro insegnare diventa sterile e primo di senso, sia per i bambini che per noi.

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