Padova, Park Nord Stadio Euganeo, Sherwood Festival.
A differenza di un disco, o una canzone, un concerto ha bisogno di più coincidenze per rivelarsi riuscito. Una serata non dipende solo dal gruppo o dall’audio. La situazione sotto il palco, con tutte le emozioni che ne derivano, è controllata dal pubblico stesso e dal modo in cui queste persone riescono a coagularsi. Questa volta ho assistito soprattutto a una grande performance, quella dei Die Antwoord e del loro staff, che – assieme ai tecnici di Sherwood – hanno allestito uno spettacolo fatto di musica, luci, video ed effetti sorprendenti. L’impianto è riuscito a rendere la pesantezza molto fluida del suono tipico della band sudafricana, senza sembrare solo un volgare ammasso di casse per volumi alti e basta.
Il fato vuole che l’entrata del trio venga accompagnata da qualche goccia d’acqua, che rinfresca gli animi fino a quel momento in fermento per l’attesa. Il giorno prima i Die Antwoord hanno aperto per i Prodigy a Roma, una band che di live spettacolari ne sa qualcosa, e da un certo punto di vista sembra che il retaggio dei raver inglesi abbia trovato nell’altro emisfero chi può raccoglierlo, con una sua lettura improntata soprattutto sull’hip hop, anche se di recente – in particolare grazie al freschissimo Donker Mag – spostata verso quell’elettronica tanto cara al grande pubblico contemporaneo. Su questo crinale si pongono anche gli ascoltatori, prima rapper meno attaccati a una scena precisa, ora in numero così grande da rendere difficile la loro categorizzazione. Nonostante queste potenzialità, il pit accenna solo a scaldarsi, laddove invece la scaletta è ben farcita, dato che le fanno tutte o quasi: “Enter The Ninja”, “Evil Boy”, “Rich Bitch”, “I Fink U Freeky”, “Baby’s On Fire”, “Pitbull Terrier”. Insomma, quelle che si pensa chiunque canterebbe, o meglio simulerebbe, visto l’accento marcato e di difficile comprensione (dicono i Krisiun: “è death metal, non importa sapere i testi, basta cantare”, lo stesso alla fine vale per i Die Antwoord)… e invece no, pochi cantano, pochi si esaltano. La colpa non è di sicuro della band, che regala momenti di vera dinamicità, con maschere e costumi cambiati in continuazione, come negli spettacoli di Immanuel Casto, e con una coreografia diversa per ogni pezzo. L’entrata è dedicata a DJ Hi-Tek (o presunto tale) con un video in suo onore, inoltre è presente un altro dj dal volto coperto, per portare avanti il mistero sulla vera identità del produttore della band. Durante “Pitbull Terrier” viene indossata la maschera originale del video, Ninja si lancia dal palco in continuazione – in stile Steve Aoki – e viene accolto a braccia aperte, mentre i due del pubblico che ci provano vengono crocefissi sul posto (magari toccare Ninja porta fortuna…). Il risultato è esattamente il live che t’aspetti, di grande impatto e molto divertente: la mistica Yo-Landi controlla le menti dei maschietti, però va detto che non osa mai troppo e la sua voce risente a tratti della mancanza degli effetti usati su disco, in particolare durante “Evil Boy”; DJ Hi-Tek (?), invece, dimostra di non saper alzare soltanto il volume.
Grande concerto, piccolo pit (nonostante i migliaia di presenti): la soddisfazione rimane.
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