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Die Hard – Un buon giorno per morire

Creato il 26 febbraio 2013 da Ildormiglione @ildormiglione

Die Hard - Un buon giorno per morireGita fuori porta per l’immortale Bruce Willis, che segue il filone dei classici action movie americani che demonizzano i russi comunisti, neanche ci fosse ancora la guerra fredda, in cui in gioco ci potrebbe essere il destino del mondo (si pensi a “Mission Impossible – Protocollo fantasma“, o “I mercenari 2“). Sia chiaro sin da subito che per chi è cresciuto con il mito di John McClane risulta difficile abbandonare l’idea di vederlo sullo schermo. Questa volta, dopo i primi 3 capolavori datati ’88, ’90 e ’95, ed il mezzo passo falso del tecnologico “Vivere o morire” del 2007, la regia viene affidata a John Moore, lo stesso del pessimo e nauseabondo “Max Payne“, il ché è già un cattivo presagio, per un capitolo che passerà alla storia per aver distrutto la figura del mito McClane. Innanzitutto la scelta ripugnante di ambientare il film in una Russia che sembra non essere mai uscita dalla guerra fredda, in cui si fa sfoggio di Aeroflot (conosciuta anche con il nome di Soviet Airlines e che vede nel proprio simbolo falce e martello con le ali), di mercenari, enormi e sudati, tatuati con il CCCP (significa “Unione delle Repubbliche Socialiste sovietiche” in cirillico), di un gruppo di paramilitari nostalgici del comunismo, della memoria del disastro di Černobyl’ e della copertura mediatica iniziale dei russi per non mostrare debolezze del sistema (l’anno del distatro era il 1986 e gli Stati Uniti erano impegnati nella guerra del Vietnam, mentre l’Unione Sovietica esisteva ancora), di una statua di Lenin in primo piano mentre la Russia sullo sfondo brucia per il fuoco americano, è un suicidio artistico condito da una discreta dose di populismo e qualunquismo che esaltano l’inconsistente personalità di una regia addormentata e inavveduta. Ovviamente le differenze con i primi 4 capitoli della saga sono evidenti, dato che Bruce Willis non era mai dovuto andare fuori dai confini americani per trovarsi coinvolto in sfortunatissime situazioni al limite. Che bisogno c’era di tirare fuori dal cilindro l’usatissimo e insopportabile “nemico comunista”, neanche fossimo ancora negli anni ’80 con il supereroe americano alla “Rocky IV“? E’ quantomeno scontato porsi questa domanda ora che la guerra fredda non esiste più; ma si sa, gli americani dormono più sereni vedendo ondate di comunisti morti nei film, accrescendo il proprio vacuo patriottismo. Spiace per Bruce Willis ma questa volta è caduto davvero in basso, e l’ha fatto con un tonfo clamoroso. Tralasciando il parere personale, altra nota innovativa quanto pestilenziale del nuovo film della saga di “Die Hard” è la presenza del figlio di McClane, interpretato da una sagoma di gesso e muscoli, meno espressivo di un manichino, Jay Courtney, che per la prima volta costringe il solitario eroe Bruce Willis ad avere una spalla che dovrebbe essere alla sua altezza (in “Die Hard – Duri a morire” c’era Samuel L.Jackson al fianco del protagonista, ma nei panni di uno sfortunato civile e non di un “super poliziotto/assassino”), ma che risulta totalmente inadeguato e impreparato a raccogliere questa enorme eredità genetica. Per dirla tutta, il personaggio del figlio del protagonista è una inutile massa di muscoli, incompetente e inabile rispetto al padre, e non ci sarebbe da sorprendersi se lo spettatore iniziasse a fare il tifo sfegatato per la sua morte. Anche l’ironia storica di un personaggio che ha fatto innamorare i  maschietti di tutti i continenti per il suo essere un eroe capace di farsi massacrare trovando sempre la forza di reagire, è forzata e ripetitiva fino all’esaurimento (la battuta “sono venuto in vacanza” viene inserita quasi in loop), così come lo sono una trama piena di buchi neri costretta a stratagemmi improponibili per mandare avanti la baracca (il fatto che padre e figlio rubino una macchina dai mafiosi ceceni con all’interno un armamentario degno di un esercito è uno sputo alla dignità e all’intelligenza). Tanta, tantissima azione spettacolare, fatta di esplosioni, macchine distrutte, vetri rotti, cristalli frantumati, pallottole infinite, elicotteri abbattuti, voli pirotecnici che lasciano illesi, tanti morti da riempire un cimitero enorme, ancora macchine schiacciate, ferite gravi che non alterano lo stato di forma dei protagonisti, voli dei cattivi tra le fiamme purificatrici, distruzioni di edifici interi e caos infinito. Ma diciamolo pure, questo non era John McClane, questo sembra più un personaggio di Steven Segal o di Silvester “Rambo” Stallone; questo non è “Die hard“, questo sembra più simile a “I mercenari“, e non è di certo motivo di orgoglio; questo non è il sano cinema d’azione alla Bruce Willis, questo sembra l’esaltazione della baggianata e della limitatezza creativa. Sia chiaro, chi è cresciuto amando questo personaggio e questa serie di film, troverà impossibile abbandonare l’idea di vedere Bruce Willis vestire i panni di John McClane, però questa volta avremmo tanto voluto girare la testa e non vederlo.

Voto 3/10

ps. Per gli approfondimenti e le recensioni di tutti gli altri film della saga di Die Hard, clicca QUI



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