Il 3 maggio 2001 è nata Tabita e con lei siamo nati noi come genitori, siamo diventati mamma e papà.
La nascita del primo figlio porta con sè sensazioni difficili da descrivere, è uno stravolgimento del nostro essere, del nostro percepire e vedere il mondo e la vita.
Sono già passati dieci anni da quella notte di cui ricordo molto bene le sensazioni: quella di quasi paura mentre aspettavo le contrazioni sul divano, l’ansia perché erano forti, ma non regolari, il dubbio se svegliare o meno Andrea per andare in ospedale. Alla fine abbiamo deciso di partire, in piena notte, siamo arrivati alle 3, in ospedale c’era silenzio, non sapevamo se suonare, abbiamo aspettato un pezzo chiedendoci se era il caso di scampanellare una seconda volta.
Poi l’arrivo in reparto, la delusione nel non aver trovato l’ostetrico che ci aveva fatto fare il giro qualche settimana prima, nella saletta delle visite abbiamo incontrato quell’ostetrica un po’ burbera che dopo un’ora di monitoraggio ci aveva consigliato di rientrare a casa perché ero solo a 3 cm e le contrazioni erano molto irregolari. Per fortuna ha accolto la nostra richiesta di rimanere, visto che avevamo 40 minuti di strada.
Dal monitoraggio in poi ricordo i dolori allucinanti, la sensazione di dover continuamente andare in bagno, la ricerca di un posto dove stare, di una posizione che non riuscivo a trovare, la mia testa affondata nei cuscini della sala travaglio che finalmente ci avevano preparato. Andrea che contava la durata delle contrazioni e delle pause, la fortissima sensazione di dover spingere e la certezza che fosse troppo presto… alle 3 ero a 3 cm, erano quasi le 5, quella tortura sarebbe durata ancora ore.
Ad ogni contrazione trattenuta mi rendevo conto che non riuscivo del tutto a contrastare la spinta… finché è rientrata l’ostetrica, che aveva appena finito di aiutare un’altra donna in sala parto e, quando stava per visitarmi si è fermata e ha detto la frase che ha dato una svolta a tutta la faccenda “Spingi, spingi pure… si vedono già i capelli… vieni (rivolta ad Andrea) vieni a vedere quanti capelli ha!” Incredibile… mi prospettavo ore di dolore e invece la mia sofferenza era dovuta al fatto che cercavo di contrastare il lavoro del mio utero e della mia bimba. Appena ho iniziato a spingere il dolore è tornato ad una soglia più che accettabile e il mio morale si è così risollevato che mentre spingevo mi veniva da ridere.
In sala parto per un po’ le contrazioni si sono fermate, ma con tutta calma abbiamo aspettato che riprendessero. Appena è successo, con due-tre belle spinte, alle 5.15, la piccoletta era fuori: un rospettino rosso e urlante che già si vedeva somigliare al papà. In quel momento l’ostetrica ha detto qualcosa, ma io non l’ho sentita: solo quell’esserino urlante aveva importanza in quel momento. Me l’hanno appoggiata sul petto, ha smesso di piangere e mi ha guardata dritto negli occhi… il suo sguardo sembrava quello di un extraterrestre, con quegli occhi enormi e scuri che sembravano sapere già tutto.
Credo che questo sia stato il momento più bello di tutta la mia vita.
Quando la realtà ha ricominciato a prendere forma intorno a me stavo per chiedere il sesso… non l’avevamo voluto sapere con le ecografie. Appena aperta bocca ho “sentito”, fuori sincrono, la frase che l’ostetrica aveva detto poco prima: “… è una bambina!”
Dieci anni fa. Adesso Tabita non è più una bambina, è una ragazzina sveglia e in gamba, autonoma come ha sempre cercato di essere fin da piccina, difficilmente riesco a strapparle una coccola o una tenerezza… ma io la guardo e la rivedo ancora tra le mie braccia, e la sento ancora tra le mie braccia, un pezzetto di me, un pezzetto di Andrea… l’inizio della nostra famiglia.
Auguri piccola Tambì!
P.S.: L’ostetrica era lei, la Paola, che dopo quasi 9 anni ha fatto nascere Febe in casa nostra!