Dieci candeline per Spitzer

Creato il 26 agosto 2013 da Media Inaf

I filamenti di gas e polvere nella Nebulosa della Carena, con al centro la stella Eta Car, ripresi da Spitzer (NASA/JPL-Caltech)

Erano un po’ i Fantastici Quattro della NASA: quattro grandi osservatori orbitanti lanciati tra l’inizio degli anni Novanta e i primi anni del decennio scorso, per esplorare l’Universo in quattro lunghezze d’onda diverse. Il primo fu il telescopio spaziale Hubble nel 1990, per l’astronomia ottica, cui seguirono il Chandra X Ray Observatory nel 1999 e il Compton Gamma Ray Observatory nel 2000 (non più in orbita dal 2000, dopo che un guasto ne aveva interrotto le operazioni). Ultimo arrivato del “Great Observatories Programme” è il telescopio spaziale Spitzer, dedicato allo studio della radiazione infrarossa: lanciato il 25 agosto del 2003, ha appena festeggiato i suoi dieci anni in orbita.

Per celebrare l’anniversario, il team di Spitzer ha rilasciato una nuova immagine visibile qui accanto, che è in realtà un collage di precedenti osservazioni già presenti nell’archivio della missione. L’immagine mostra le polveri e i gas nella nebulosa della Carena, una vasta regione di formazione stellare distante circa 7000 anni luce dalla Terra. La stella più luminosa al centro, Eta Carinae, emette radiazione così violenta che finisce per spazzare via la materia che la circonda. I filamenti ben visibili nell’immagine sono quanto resta dopo che i materiali più leggeri sono stati distrutti dalle radiazioni della stella. L’immagine è un perfetto esempio di come Spitzer riesca a rivelare la complessità e la bellezza delle strutture che si nascondono dietro alla coltre di polvere stellare, impenetrabile per gli osservatori in luce visibile.

Dieci anni, quelli di Spitzer, passati a studiare oggetti celesti di ogni genere: comete e asteroidi, stelle, pianeti extrasolari, galassie. La missione di Spitzer era di studiare gli oggetti troppo lontani, troppo freddi o troppo nascosti (da nubi di polvere, in particolare) per essere osservati nella altre lunghezze d’onda. La luce infrarossa supera infatti le polveri che schermano quella visibile, e che circondano molti oggetti della nostra galassia. E studiando l’infrarosso (che è, essenzialmente, calore) è possibile individuare anche quegli oggetti che riflettono pochissima luce visibile e di fronte a cui persino Hubble è “cieco”. In questo modo, Spitzer ha osservato la cometa Tempel 1 (obiettivo della missione NASA Deep Impact nel 2005), rivelandone la composizione e la probabile parentela con sistemi solari diversi dal nostro. Ha scoperto il più grande degli anelli di Saturno, troppo fioco per essere individuato in luce visibile.

Fuori dal Sistema solare, Spitzer ha avuto anche l’onore (imprevisto, perché questo non faceva proprio parte della sua missione iniziale) di essere il primo strumento a registrare direttamente la luce proveniente da due pianeti extrasolari, i “gioviani caldi” HD 209458b e TrES-1.

Al suo curriculum si aggiungono il censimento delle stelle in formazione nelle nubi di gas nei nostri dintorni galattici; una nuova mappa della struttura a spirale della Via Lattea; e la scoperta, in collaborazione con il “cugino” Hubble, che le galassie più distanti a noi conosciute sono più massicce e antiche di quanto si credesse.

La vita di un satellite in orbita ha i suoi imprevisti, e nel 2009 Spitzer ha dovuto affrontare il guasto di due dei suoi rivelatori di raggi infrarossi, che hanno esaurito il liquido refrigerante necessario a farli funzionare. Ma glie ne restano altri due, perfettamente operativi, che bastano a farlo continuare a lavorare.

La missione Spitzer continua a dimostrarsi estremamente flessibile dal punto di vista scientifico, e da ottobre si dedicherà tra l’altro a uno studio apparentemente molto lontano dai suoi obiettivi iniziali: lo studio dell’asteroide 2009 DB, uno degli asteroidi candidati per la missione di cattura e posizionamento su un’orbita terrestre di un asteroide che la NASA sta studiando. Ancora una volta, per studiare le proprietà di mondi freddi che non emettono luce visibile propria, non c’è niente di meglio di un osservatorio per la luce infrarossa, in grado di rilevare anche il più debole segnale di calore solare riflesso dagli asteroidi.

Per saperne di più: 

Fonte: Media INAF | Scritto da Nicola Nosengo


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