Potreste non averli sentiti nemmeno nominare, eppure sono dieci pietre miliari dell'evoluzione videoludica
La frontiera dell'Early Access, delle alpha a pagamento e delle campagne di finanziamento prolungate è mossa da pionieri che, pur non tutti dotati dello stesso talento, sono quasi tutti accomunati dallo stesso desiderio di dire la propria, in ambito videoludico ovviamente. La voglia di riprendere in mano le redini dei propri progetti, nel mondo degli sviluppatori, è stato un sogno per molto tempo e l'attualizzarsi di questa possibilità è di per sè una rivoluzione. C'è stato, nelle fasi iniziali di questa nuova era, il dubbio che eventuali progetti di bassa qualità avrebbero potuto danneggiare un modello di finanziamento basato sull'azzardo e non privo di rischi, ma con l'arrivo dei primi videogiochi finanziati dal basso molti dubbi sono stati fugati. Non tutti capolavori, questo è ovvio, e c'è ancora spazio in abbondanza per ulteriori delusioni, ma il sistema funziona e ci ha già regalato giochi di ottima caratura come Shadowrun Returns. Shadowrun Returns La fiducia, in sostanza, c'è e lo dimostrano in modo lampante progetti capaci di superare i due milioni di dollari in un mese. Cifre relative, se confrontate con le spese dei grandi publisher, ma che per un piccolo team possono fare la differenza anche grazie al costante evolversi di tool di sviluppo sempre più accessibili, versatili e potenti. Unity ha permesso a centinaia di team di sfornare progetti di qualità medio alta, in alcuni casi paragonabili a quelli di team di sviluppo non enormi ma comunque impegnati su progetti tripla A, ed Epic, con l'Unreal Engine, e Crytek, con il CryEngine 3, si muovono nella stessa direzione. Se questo potenziamento del lato indie dovesse progredire ulteriormente, e non c'è quasi alcun dubbio che sarà così, le grandi compagnie saranno presto costrette a innovare, ridurre i prezzi e potenziare ulteriormente la propria offerta per sostenere l'assalto dell'armata indie. Una necessità resa ancora più impellente dal crescente bisogno, manifestato a gran voce nei forum di tutto il mondo, di una qualche innovazione concreta dopo una generazione di sequel e di titoli che, seppur validi, hanno sfruttato ambientazioni e concept ormai già visti e rivisti. Ma per trovare qualcosa di fresco non serve molta fatica. C'è un posto in cui guardare. Un posto in cui molti giocatori guardano cadendo spesso vittime della nostalgia canaglia.
Non c'è futuro senza passato
Il passato del mondo videoludico è un vero e proprio serbatoio di idee ancora da sfruttare. Non parliamo di operazioni di riciclaggio in stile cinematografico ma del recupero di formule che seppur appartenenti a una storia lontana avrebbero qualcosa di nuovo da dire grazie alla continua innovazione tecnologica. Sappiamo già che Outcast, Syndicate e i simulatori spaziali torneranno presto ad allietarci e molti remake, sequel spirituali e tributi sono già stati finanziati tramite Kickstarter. Ma il panorama videoludico del secolo scorso è stato talmente ricco e variegato da fornirci innumerevoli spunti di riflessione. The Adventures of Robin Hood Spunti non necessariamente legati a una trasformazione in chiave multigiocatore anche se probabilmente, come Star Citizen, eventuali remake combineranno online complesso e dinamiche narrative sfruttando la medesima tecnologia. Si prospetta la creazione non più di semplici motori, tool di sviluppo o middleware ma di interi mondi simulati in cui collocare le proprie storie. Pianeti virtuali, caratterizzati per epoca e stile, con case popolate da individui unici, possibilità di movimento assolute, fisica a tutto spiano, ogni possibile veicolo immaginabile e sempre più meccaniche del mondo reale simulate nel dettaglio. Una tecnologia di cui vediamo i primi vagiti nei free-roaming sempre più avanzati e in ArmA III e che, in modo analogo a quanto succede oggi nel mondo indie grazie ai tool più intuitivi, una volta divenuta disponibile per tutti consentirebbe agli sviluppatori di concentrarsi sullo stile estetico e sull'atmosfera, sulle dinamiche narrative e su quelle ludiche. Certo, i mondi virtuali risultano indubbiamente adatti a ospitare esperienze condivise ma un contesto dinamico e credibile andrebbe indubbiamente a potenziare anche il single player, anche le buone vecchie avventure grafiche. D'altronde, il single player, dal punto di vista della capacità narrativa, la fa ancora da padrone e la possibilità di fruire con se stessi di momenti magici è un qualcosa di insito nell'uomo, un qualcosa che trascende l'evoluzione delle dinamiche social. Darklands Non a caso Heavy Rain, titolo pregevole e assolutamente single player, ha ottenuto ottimi riscontri e The Last of Us ha avuto un successo enorme proprio grazie all'intensa narrazione. Skyrim è stato una bomba atomica per il mondo degli RPG single player e titoli come Dead Space o Mass Effect non hanno certo basato il proprio appeal sul multiplayer così come The Sims, vera e propria macchina da soldi, e Football Manager che punta ancora sulla profondità dell'esperienza e sulle dinamiche dell'intelligenza artificiale. In sostanza, c'è spazio per tutto, dal crowdfunding al ritrovato impegno delle grandi compagnie, inclusi concept del passato potenziati, sia dal punto di vista multiplayer che single player, da mondi virtuali sempre più complessi, credibili e dinamici. Ed è a questo punto che ci poniamo l'interrogativo che fa da perno per questo articolo. Quali titoli potrebbero meritarsi un remake? Quali concept dimenticati potrebbero sorprenderci con un ritorno in grande stile? Ne abbiamo scelti dieci, guardando alla loro capacità di anticipare alcuni cambiamenti e guardando alla freschezza dell'ambientazione. Dieci videogiochi di un passato ormai lontano ma che guardavano, e ci hanno fatto guardare, al futuro.
Ecco i titoli dei nostri sogni
Hill Street Blues - Il desiderio di un nuovo Syndicate, mix tra strategico e action uscito nel 1993, è la scintilla che ha dato vita a questo articolo ma nel frattempo è venuto al mondo il progetto Satellite Reign che si propone proprio di calare la formula Bullfrog in una città dinamica e viva. Ne siamo ovviamente entusiasti ma va da sé che la perla di Bullgrog abbia perso il suo posto in vetta alla classifica dei remake. Ma c'è un'altro titolo con visuale dall'alto e dotato di una complessità superiore a quella di Syndicate, le cui meccaniche risultano decisamente interessanti. Stiamo parlando di Hill Street Blues, tie-in di un telefilm cult contraddistinto da una colonna sonora indimenticabile. Dopo di lui, pochi altri titoli si sono incentrati sulla meccanica dell'indagine e dell'arresto anche se questa è mediaticamente preponderante come dimostrano le tonnellate di serie poliziesche. Hill Street Blues lo faceva addirittura in una città aperta con situazioni dinamiche, foto di riconoscimento e atmosfera in quantità. Qualcosa di Hill Street c'è in Watch Dogs e si tratta dell'unicità dei passanti, ma non è certo sufficiente per soddisfare un vuoto, clamoroso considerando il successo delle serie televisive poliziesche, attraverso il quale passano senza lasciare traccia tie-in di basso livello commissionati da case di produzione televisive che non hanno ancora preso seriamente in considerazione il mondo videoludico.
Shogo: Mobile Armour Division - Il curriculum di Monolith nell'ambito degli sparatutto in prima persona, genere in cui la software house ha spesso dimostrato spiccate abilità, include anche Shogo: Mobile Armour Division. La maggiore perculiarità del titolo, uscito nel 1998 è quella di consentire al giocatore di combattere sia a piedi, sia a bordo di un potente mech. Oggi, con Titanfall, questo concept è stato parzialmente recuperato e sono diversi i titoli che pur basati sull'azione a piedi includono sessioni a bordo di mech, ma quello che manca è un titolo capace di rievocare gli anime incentrati sui mech con l'efficacia e l'intensità narrativa di Shogo. Un'altra lacuna che vorremmo vedere colmata in un panorama che ci offre esclusivamente tie-in action quasi esclusivamente dedicati al Giappone.
Darklands - La leggendaria MicroProse, fondata nel 1982 da Sid Meier e Bill Stealey, ha portato alla nascita di un gran numero di capolavori come Pirates, Civilization, X-COM, MechCommander e Falcon. Tutte pietre miliari, per un verso o per l'altro ma non sono gli unici titoli di spicco nell'offerta della defunta software house. Microprose ha infatti sviluppato anche complessi giochi di ruolo, uno dei quali può essere considerato un precursore, per certi versi più avanzato, di titoli come Baldur's Gate e Planescape: Torment. In Darklands ogni situazione può essere gestita in diversi modi: ci sono fazioni dinamiche, statistiche, lavori, corruzione, alchimia, commercio e religione. Ma non sono gli specifici elementi a interessarci quanto la possibilità di esplorare un mondo medioevale credibile, caratterizzato da una cura artistica estrema e avvolto da un'atmosfera unica. La missione principale, in Darklands, è opzionale, proprio per aumentare la sensazione di vivere in un mondo plausibile ed è questo che rende il titolo memorabile. Il primo Mount & Blade ha riportato in auge l'ambientazione medievale ma non si profila ancora all'orizzonte un titolo capace di farci respirare le stesse atmosfere.
Defender of the Crown - Gli strategici ambientati nell'antichità hanno raggiunto una complessità incredibile e offrono esperienze estremamente varie e complesse. Ma da tempo si sente la mancanza di un'offerta magari più semplice dal punto di vista strategico ma più coinvolgente, colorata, varia. Mancano il divertimento, i tornei, la possibilità di spaccare il grugno al nemico, il sabotaggio. Manca insomma, quella capacità di dare vita anche a immagini statiche che avevano titoli come Castles o Robin Hood: Prince of Thieves, sottovalutato tie-in capace di mescolare strategia e azione su NES. Parliamo, come avete già capito leggendo il titolo del paragrafo, di Defender of the Crown, intramontabile caleidoscopio di esperienze non certo simulative ma capaci di rievocare la vita di un re fatta non solo di interminabili spostamenti di truppe in attesa della prossima grande battaglia. Uno scampolo di Cinemaware ha già provato a farci rivivere quell'esperienza, riesumandola senza troppo entusiasmo, ma per trasportarla ai giorni nostri servirebbe un investimento di grossa portata capace di mescolare l'ampiezza e la libertà di Mount & Blade con l'impianto narrativo e ludico dell'immortale capolavoro Cinemaware.
It Came from the Desert - La fantascienza catastrofica, un tempo presente nei videogiochi, è stata relegata in un cantuccio fatto di tie-in deprimenti. Ma si tratta di un'immaginario potente che in passato ci ha regalato perle uniche. Titoli come It Came from the Desert, altro capolavoro Cinemaware che resta, ancora oggi, tra i videogiochi più vari, complessi e avvincenti di tutti i tempi. Ambientato in una zona desertica degli Stati Uniti, il titolo ha per protagonista un geologo costretto a trasformarsi in eroe per affrontare una minaccia che nessuno sembra vedere. Inizialmente una classica avventura a scheramate quasi fisse, il titolo si trasforma in un caleidoscopio di esperienze che includono azione dall'alto, shooting, avventura a bivi, survival, dialoghi e guida. Elementi che renderebbero un gioco sviluppato da una grande software house estremamente costoso. Ma vista la versatilità di Unity è possibile immaginare compromessi e reinterpretazioni che renderebbero l'esperienza fattibile. Non ci resta dunque che sperare nei ricordi e nella buona volontà di qualche sviluppatore emergente o deciso a riprendere in mano una formula ambiziosa ma, proprio per questo, indimenticabile.
Spycraft: The Great Game - I cosiddetti film interattivi sono tornati a ruggire, anche grazie all'impegno di David Cage, ma per quanto abbiano raggiunto vette narrative elevatissime sono ancora distanti dalla varietà e dalla complessità, simulata ma convincente, di Spycraft. Un gioco in buona parte guidato, limite insito del sottogenere dei film interattivi, ma capace di tradurre in chiave videoludica l'uso di strumenti di spionaggio estremamente complessi, in grado di metterci effettivamente dei panni di una spia anche senza il bisogno di farci saltellare come matti su palazzi e macchine in corsa. Un giro a Langley, un file audio da analizzare, una traiettoria da studiare. Tutti elementi riportati nel gioco in modo credibile, con semplificazioni inevitabili ma comunque capaci di esaltare il giocatore. Sia chiaro, non è che gli sviluppatori si siano scordati di queste meccaniche. Le hanno semplicemente messe da parte per esperienze più fluide, meno cerebrali e dirette a un pubblico più ampio. Ma con una maggiore apertura del mercato, idee come questa, riadattate alle potenzialità odierne, non sarebbero certo da buttare.
Praetorians - Altro gioco sottovalutato, Praetorians, sviluppato da Pyro Studios (Commandos), è uno degli strategici più appaganti di sempre e non a causa di tecnologie straordinarie ma grazie all'importanza concessa all'ambiente. Truppe effettivamente capaci di nascondersi nel grano e frecce incendiare capaci di stanarle si mescolano in una formula avvincente che concede con un'enorme importanza al posizionamento degli uomini. Tradurre in chiave moderna un titolo del genere significherebbe implementare finalmente campi di battaglia completamente distruttibili, con unità capaci di nascondersi sfruttando effettivamente l'ambiente ed intere città in fiamme. Un'evoluzione, in chiave antica, di Company of Heroes, ma con una carica evolutiva maggiore, non vincolata necessariamente al bilanciamento impicito nelle meccaniche multiplayer.
The Adventures of Robin Hood - Robin Hood, un tempo tra i protagonisti più inflazionati del panorama videoludico, è scomparso dai radar da parecchio tempo. Il film del 2010 di Ridley Scott non ha saputo rinvigorire la leggenda dell'antieroe più eroe di tutti e il ricordo del Robin Hood interpretato da Kevin Costner si è sbiadito da tempo. Ma la leggenda inglese offre ancora oggi una delle più efficaci e suggestive narrazioni di quella ribellione schietta, onesta e, per quanto implausibile, desiderata da molti in questo mondo pieno di soprusi. Uno dei titoli che meglio l'hanno interpretata, benchè molti siano i giochi memorabili ambientati a Sherwood, è indubbiamente The Adventures of Robin Hood, action/RPG rilasciato da Millenium nel lontano 1991. Ed è proprio questo ambizioso open world che vorremmo vedere reinterpretato. Un desiderio mosso non solo dall'atmosfera e dai ricordi ma dalle feature del titolo che, 22 anni fa, includeva un sistema di fazioni e finali multipli, alcuni dei quali ottenibili non tramite la semplice scelta ma tentando azioni anche implausibili. Un titolo, insomma, tecnicamente avanzato ma capace di sorprendere anche grazie alle idee e grazie a una libertà ancora oggi tutt'altro che comune in ambito videoludico.
Damocles - Molto probabilmente i videogiochi del futuro combineranno in un'unica esperienza veicoli spaziali, terrestri, marittimi, scavatrici, biciclette, siluri pilotabili, aerei di carta, mech e via dicendo. Ma un titolo come Damocles, incentrato su una trama da cardiopalma e sostenuta dal totale free-roaming intergalattico, non è solo una questione di opulenza tecnica. Immaginate un'avventura che vi concede la possibilità di salire a bordo di un'astronave per decollare verso un oceano di stelle e di entrare in qualsiasi palazzo di un intero sistema solare. Damocles, sequel di Mercenary e prequel di Mercenary III, è tutto questo e ci aggiunge una cometa che sta andando a schiantarsi contro un pianeta, fisica complessa e fenomeni celesti simulati. Il tutto in un titolo uscito 23 anni fa e ancora oggi unico, escludendo il sequel, nel suo genere. Con l'arrivo di tool sempre più complessi, un'esperienza del genere, non necessariamente legata a un engine di ultima generazione, potrebbe essere sviluppata con mezzi relativamente esigui. Basterebbe infatti un motore alla Minecraft, magari caratterizzato da forme più realistiche, per riportare in vita un concept a dir poco incredibile. Forse è proprio quello che voleva fare Markus Persson con 0x10c ma lo sviluppatore non ha retto alla pressione di un progetto così ambizioso lasciandoci abbandonati nel buio cosmico.
Lure of the Temptress - Per chiudere questa peculiare top 10 abbiamo scelto un'avventura grafica, genere un tempo dominante nel panorama videoludico, almeno sui sistemi Amiga, Atari e PC. Da ormai diversi anni le avventure classiche stentano a riprendersi da un burrone in cui si sono cacciate anni fa, quando si è deciso di realizzare remake quasi esclusivamente di grandi classici invece di puntare al rinnovamento, di tentare compromessi alla Full Throttle, di aggiungere un pizzico di fisica e qualche bivio, come nel leggendario Blade Runner, a esperienze ormai rese vetuste da un ambiente videoludico in rapida evoluzione. Negli ultimi tempi Telltale ha provato ad aggiungere un po' di pepe al genere e in alcuni casi ha ottenuto risultati decisamente buoni. Ma si tratta comunque di esperienze limitate, ingabbiate, costrette. C'è invece un titolo che ha provato a dare una spinta al genere mescolando i classici enigmi dei punta e clicca con un mondo vivo e credibile. Un ambiente capace di dare maggiore spessore alle azioni del giocatore senza perdere quella compattezza narrativa caratteristica delle avventure grafiche d'epoca. Parliamo di Lure of the Temptress, divenuto famoso grazie alla tecnologia Virtual Theatre che è stata sviluppata proprio per concedere routine credibili agli abitanti del mondo in cui il titolo è ambientato. Abbandonata dopo Broken Sword II, la tecnologia targata Revolution ha indicato con chiarezza una delle possibili evoluzioni delle avventure grafiche ma abbiamo ritrovato qualcosa di simile, in forma potenziata, solo nell'ambito degli RPG. Nel frattempo le avventure sono rifiorite passando per la componente action e per l'indie ma per quanto titoli come Journey e Tale of Two Brothers siano artisticamente e narrativamente incantevoli, un'avventura grafica è tutt'altra cosa.