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Dieci poesie “binarie” di Antonio Bux, tratte da “Sativi” (Eretica Edizioni, Buccino, 2015)

Creato il 21 luglio 2015 da Criticaimpura @CriticaImpura
Antonio Bux, Sativi (Eretica Edizioni, Buccino, 2015) Antonio Bux, Sativi (Eretica Edizioni, Buccino, 2015)

Di ANTONIO BUX

[Dalla quarta sezione Conoscenza del dubbio]

06-03-2015

Il mondo non è salvo

poiché tuo e di tutti.

Ma lascia te stesso

al suo centro

vedrai che sparendo

gli apparterrai.

Ché non conosce di sé

l’abisso terrestre

né chi lo ignora

pur nascondendosi

Proteggere gli alberi, proteggere la terra

e noi stessi, proteggere il nome

proibito della vita, proteggere il canto

del cielo e gli uccelli, com’è che cantavano

gli uccelli? Non si sentono più, allora

bisogna proteggere il loro silenzio

07-03-2015

Saper custodire il ferro

non è materia notturna

sganciarsi dal ramo

sociale spesso imitandone

il fruscio solare.

Sarebbe giusto congedo

spoglio di tutto il male

e non solo,

potrebbe distanziare davvero

l’umanità e renderla amica

se solo sapesse

il nutrimento del cerchio

quale indice puntare

oh sì, e il fottuto bersaglio

Ho dato addio ai resti della casa

che non ho abitato,

alle polveri comprese

tra di noi, ho detto addio a questo

improvvisare dell’ombra e forse

non è che vento

a farci conoscere la clessidra

spostata del tempo, se il tempo

è il solo granello che si perde

nella marea di granelli di altri tempi

finiremo insabbiati e per questo

dico addio alla promessa di mantenermi

lucido fino all’amido della deficienza

do il mio addio a me stesso

perfettamente cosciente e intelligente

scomparirò un poco ogni giorno

07-03-2015 (2)

Come l’altro

uno è dopo

diventa così

quello stesso

per dentro invece

non somigliare.

La verità se esiste

di questo devi dirla

Se davvero l’amore è per tutti o solo

una mano più grande che agguanta

allora un uomo prende per mano una donna

e la donna lo stringe e lo accompagna

sul bilico oppure una donna crede l’amore

e l’uomo finta nella voglia la fuga però

alla fine dell’amore vi è una risposta

e comprende tutti, ma l’uomo

ama se stesso e una sola volta

crea come la donna il suo amore

16-03-2015 (1)

Cielo è senza uomo, sì

come terra è senza uomo

 

per sempre se non altro

che l’uomo è senza sé

Nessuno vive ed è

verità saperlo se sette

sono i peccati non c’entrano

con il male ma lo stesso

scriverne comporta peccare

quando per intero sarà finito

ciascun essere e varrà meno

il suo restando forse solo

un equivalente del mondo

saprà l’infinita metafora

16-03-2015 (2)

Avere pochi filtri, pochi

spiccioli da dare, non più tuoi

e nemmeno la mano in cerca

di se stessa; ecco ruota

come vagabondo, il corpo

si offre, spera la tua solitudine

Tu mi hai amato e io non so

dire perché ora non ti amo.

Forse per questo male alla

testa che è l’amore. Ma guarirò

da solo se è dolore il nostro

baciarci, soprattutto se il mio

bacio è una domanda ferita, se

spento ogni bacio, è malattia

di amore irraggiungibile. Però

tu ne saprai guarire, dopo,

quando la risposta toccherà

ogni sangue del corpo baciato,

quando senza altra condanna

ameremo per forza in ciascuno

amando dello stesso il riflesso?

Non guarirai, lo so, perché ritorni

a fare male pur amando ed io non

so se l’amore che non ho è migliore

del tuo bacio che si spegne per guarire.

È un baciare fantasma che ci unisce.

Perciò preferisco stare male, stare solo

con la testa non più tua né più mia

fatta a pezzi dalle schegge dell’amore

19-03-2015 (2)

C’è chi vede strade perfette

aprirsi ma passa oltre perché

ha le strade rotte dell’altro

ancora di fianco e allora

aspetta si compia la direzione

dove ognuno costruisce da solo

la strada maestra in comune.

Ma chi non sa vedere, nell’altro

vede lo stesso stringersi dentro

l’altezza del bivio, dove smarrito

è ciò che conosce, e la sua metà

già smarrita è l’attesa, la strada

sbarrata per sempre

SE NON HO AVUTO UN PADRE

è perché sono senza figlio. Una crescita

sola si distingue come il ramo dall’albero.

Trasmigra dentro un nuovo frutto. Così pare

dimenticarsi il sole dell’eterna luce quando

contro di sé la rigenera. Ma forse nell’occhio

lucente di chi sarà dopo potrà esser di nuovo

prima del suo buio l’assoluzione verso l’altro

20-03-2015

Tombe al gelo, nidi di bombe

crescono al pascolo dell’uomo. Da lì filtra

mercurio di ragione, il cromo delle già discese

valli del dominio. Ed è lì, quando il campo

viene meno, che è prigione di sé lo stesso o

tonfo matematico il creato, nuovo disordine

come una macchina senza comando. Ma

trascinati i ricordi nella propria brevità

scolorata, tossica, quasi di fine mondo,

è un tutt’uno con la capacità della testa

di dire sangue fuori dal corpo. Allora resta

quel poco ciarlare, se non ricomincia da

zero a contare il declino. Sussurrando

all’orecchio nemico quel tempo di verità

è continuum analogico, pulpito che apre

la mente interattiva verso un ciclo natale,

ed è morale della più astuta finzione l’idea

quando nel non luogo previene la storia

SE UN DESERTO È CHIMICO

fa sabbia due volte. Nelle sue cunette

annida più demoni. Ma non pecca

oltre il sibilo della serpe che muta.

Nutre il vento, sospinge uno stormo

di corvi verso il volo vero. Crea falde

concentriche dove beve l’uomo e fa

la sua donna bianca. E il bacio fluido

fiume trasparente. Però giunge presto

il deserto e colora troppo. Chi non lo

sa, vive sognando eremiti. Mai la verga

piegata o il bastone gravido. Suona solo

un tempo di specchi, o finge vigliaccheria

per stringersi al gregge. Ma nel deserto ciò

che è del gregge si dissolve. Resta la mano

complicata che scende verso il vertice del

fuoco. Presto si sveglieranno i suoi draghi

20-03-2015 (2)

(codici di distruzione)

Tutto è perduto se ogni debito

non si comprende. Basta scriverlo

con la mano sbagliata, l’addio

e si compie, va fino alla solitudine.

 

Ma una fiamma sola non basta

a spegnere ciò che già spento

muove la luce e dopo scolora

il livido paonazzo da sempre.

Non basta saperne lo sciogliersi

se la cenere non si consuma

oltre la pelle dei giorni se vive

ancora lo stesso bruciare.

Ma se cancrena è la propria causa,

la propria casa disabitata poi vede

nella stiva infuocata alle spalle

la sola tossina che testimonia.

È un male irraggiungibile, una volta

raggiunto, senza più ostacoli

è l’unica croce a salvare: spezzando

la ruota del carro, in noi ci trascina

FINALMENTE I DIVANI DEMOLITI

dai gerani. E transenne di fiori, ovunque

con zanzare ferme, in processione. E così

diminuisce il cielo, senza sera quando anche

la temperatura si fa segno sulle braccia. Non

ci accorgiamo della palude, degli stormi bassi

di pipistrelli bianchi, dei coccodrilli affamati

già alle caviglie. Da bambino sognavo così

di lottare in foreste coi giganti, e di far l’amore

tra cuspidi di agavi con due fate turchesi. Ma ora

i soli arnesi appesi al corpo sono letali stuoie

di bitume. E c’è una specie di solitudine, muove

la mente e non è più umana, perché sola smette

i panni della lingua, sola mostra a tutti i suoi lutti

innaturali. Cresce spontanea, tosse algebrica conta

ad uno ad uno i morti di ogni ora e ne fa risultato

da dichiarare alle stelle. Così arriverà fino a noi?

21-03-2015

Prendi come criterio il bosco

che hai sempre desiderato

dove brucia e perché lo sai

ora tutto dentro la fiamma

in te stesso

nella gomma della radice

ecco il criterio adulto

fondato sulla combustione

della viva sorgente gialla

(ciò che non toglie felicità

ma la espande in cenere

per i fuochi dove verranno)

Non dorme più nessuno. Eppure

gli occhi non comandano, non

dirigono la mente o il corpo verso

l’alta definizione. Però si sogna,

ognuno sogna a vuoto, di andare

comunque, nel rimpiazzo delle nuvole.

Dove ogni saluto è aria che si sposta,

aria che fa massa, aria un po’ più eterna

se si saluta sognando, se è un sorriso

di sogno o solo un’eco il risveglio coperto.

Ma è un’eco, laggiù, il saluto che ci sveglia?

Qui non dorme più nessuno. Si dovrebbe

sbadigliare paralleli, o sbagliare atmosfera

baciando, perdersi come in un sonnifero

troppo dolce: chiuso l’occhio, aprirlo insieme,

scendere lentamente sottobraccio, nell’eclissi

14-04-2015

Bianco è il destino

di chi non vuol vedersi.

Ma se eternità

è non vedersi

finalmente bianchi

di sole luci precedenti,

è un colore il destino

irreversibile.

Per questo si vede

all’improvviso

ed è un bianco

più forte l’eterno

scolorando

Non fermeranno i colori.

Crescendo, saranno sempre

gli stessi a dire il daltonico

se muoverà il nero di questi

a favore di un arcobaleno più cieco,

o contro chi, affermando l’invisibile,

imiterà quel momento e il cristallino

calcando e ricalcando più niente.

Sarà la stessa guerra di sempre,

grigiori contro ogni giorno,

ma nessuno muterà l’evidenza,

il sole scoprirà ancora tutto


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