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Diego Conticello: Lucio Piccolo

Da Narcyso

lucio piccoloPubblico alcuni passaggi di un importante lavoro, ancora inedito, del giovane poeta e studioso, Diego Conticello, sul tema del barocco in alcuni poeti siciliani del novecento. Di particolare rilevanza, tra le altre cose, mi sembra lo studio dedicato a Piccolo, poeta di cui esiste pochissimo materiale critico, senza parlare poi di come sia ancora difficile reperire sul mercato editoriale la sua opera. 

Seguiranno successivi stralci di quest’opera su altri poeti siciliani imparentati col tema del barocco. 

Mi scuso con l’autore per la formattazione non totalmente conforme all’originale, ma wordpress non permette. 

 

Diego Conticello

Una rapsodia lirica della natura: Canti barocchi

 

I Canti barocchi costituiscono il nucleo centrale dell’intera opera piccoliana. Si configurano come un unico poemetto armonico in quattro quarti, in cui ogni lirica può darsi singolarmente, oppure come parte di un’ininterrotta melodia di fondo. Sul trasognato bordone del ricordo, scorrono innumerevoli figurazioni che fanno da contrappunto, ora adagio, ora larghissimo, al tema principale della memoria.

Assodato ormai che la famosa lettera di accompagnamento alle 9 liriche inviata a Montale fosse, in realtà, stata vergata dalla mano impenitente del cugino Tomasi, è importante tuttavia riproporne qui uno stralcio per meglio entrare nel clima evocato.

Mi permetto di inviarle alcune mie liriche che ho fatto stampare privatamente e che non metterò in circolazione. In esse, e specie nel gruppo dei Canti barocchi che più mi sta a cuore, era mia intenzione rievocare e fissare un mondo singolare siciliano, anzi più precisamente palermitano, che si trova adesso sulla soglia della propria scomparsa senza avere avuto la ventura di essere fermato da un’espressione lirica. Intendo parlare di quel mondo di chiese barocche, di vecchi conventi, di anime adeguate a questi luoghi, qui trascorse senza lasciar traccia. Ho tentato non quasi di rievocarlo ma di dar di esso un’interpretazione su ricordi d’infanzia.

Nella concezione fortemente simbolica di Piccolo ogni canto inerisce ad una parte del giorno, oltreché ad uno specifico elemento naturale (sia esso Terra, Acqua, Aria, Fuoco), infine ad una particolare stagione esteriore/climatica che riflette un’età interiore/emotiva (infanzia, maturità, senescenza, morte). È un’impostazione ciclica che si rifà alla mitologia mediterranea, filtrata per mezzo dell’allegorismo medievale (dantesco) e dei ‘cicli’ pittorici rinascimentali, poi confluita, tramite echi di cosmogonie bibliche e distorsioni di una remota cultura popolare, negli almanacchi e nella proverbistica.

Il poeta stesso accenna alle intenzioni che muovono la complessa visione dei suoi “affreschi musico-memoriali”.

I Canti barocchi sono la prima visione, naturalmente rivissuta nel subconscio ed anche nell’elemento cosciente della nostra psiche, dopo decenni e decenni, la prima apparizione del mondo, della vita, divisa nel «mattino pasquale», nel «mezzogiorno», nel «crepuscolo ventoso», e nella «notte», e hanno come centro la mia città natale, Palermo, in cui l’elemento sensibile, reale, assurge via via, per concentrazione e forza di sentimento, a simbolo senza tuttavia perdere mai le sue radici terrene, cioè senza cessare mai di essere realtà immediata.

Secondo questa approssimativa ripartizione l’ouverture, Oratorio di Valverde, rappresenta l’esordio primaverile, l’alba, l’inizio del giorno trasfigurato nel mito di Aurora che illumina il rigoglio della natura (e dunque della vita), nella prospettiva stupefatta tipica dell’età infantile. È necessario, per questa fase ancora primordiale sebbene ineccepibile nelle forme, richiamarsi al magistero mistico-barocco delle Soledades di Góngora.

Ferma il volo Aurora opulenta   […] tappeto all’Aurora…

di frutto, di fiore,     […] fermata pende ad eterna memoria…

balzata da rive vicine   […] orlate le sue rive di frutteti,

diffondi ancora tremore    lo vuole come corno l’Abbondanza…

di conchiglie, di luci marine,     […] le turchesi cortine…

e le valli dove passasti alla danza    tira nel letto blu di acque marine…

pastorale fra le ginestre    le bianche figlie di belle conchiglie…

t’empirono le canestre   […] per pastorali nozze.

di folta, di verde abbondanza

a larghe onde di campane tessuta

venivi, dai fili di memorie, dai risvegli infantili

La frenetica esteriorità con cui si susseguono le stagioni è resa da Piccolo grazie ad un ritmo martellante e ossessivo, riproducente l’angoscia spirituale dell’uomo di fronte al problema dell’eterno. È un atteggiamento interiore rinforzatosi nel solco della cupa temperie esistenzialistica del primo novecento (Heidegger, Bergson), mediata nel poeta dall’esoterismo dell’ultimo bardo irlandese, William Butler Yeats, prestigioso corrispondente di Piccolo fin dai primi anni Venti.

[…] Gracile Primavera cui biancospino   […] Inchinatevi, arcangeli, nei vostri fiochi soggiorni:

punge il piede errante nel cammino   prima che voi foste o che qualsiasi cuore palpitasse,

èsita, implora, non osa   presso il Suo seggio ella indugiava languida e cortese;

turbare nel sonno la rosa.   Egli creò il mondo come un sentiero erboso

affinché lei vi posasse i piedi erranti.

Poi labbro che soffia seme di fuoco

la ridesta a poco a poco,

e l’Estate la coglie, la spande   Durante tutto l’inverno invochiamo la primavera,

in ampie volanti ghirlande.     e in primavera chiediamo l’estate,

e quando le siepi risuonano lussureggianti

E Autunno, Inverno che dona?   dichiariamo che l’inverno è la stagione

Inverno per le notti all’altare   più bella; e dopo questo che più nulla esiste

globi di gocciole gelate tra ginepri   di buono, perché la primavera non è ancora

che la luce fa turbinare,   venuta… E non sappiamo che a turbarci il sangue

e i venti quando l’organo rintrona.    non è che il suo desiderio di giungere alla tomba.

Ad un’apparente sovrabbondanza esteriore corrisponde, senza negarla, un ripiegamento verso estatiche contemplazioni spirituali, che risentono di memorie visivo-sonore dei riti pasquali della fanciullezza palermitana, i cui fasti di forme evocano alcuni fra i tanti oratorî barocchi stuccati da Giacomo Serpotta. E il «mattino pasquale», come si sa, nella tradizione cattolica, è emblema di rinascita così come la primavera lo è della natura: il poeta fonde in tal modo entrambi gli aspetti, evidenziando la totale, straordinaria bellezza del ‘creato’.

[…] Fra le volute, fra gli archi che vincono gli estri

più snelli delle tastiere, pavoni, uccelli del paradiso, fagiani

bevono in conche cilestri,

la fuggitiva dell’Arca porta l’oliva

fra i melograni.

Su le mensole accanto ai messali gravati

di cuojo gli antifonarî (hanno stuoli

di rondini su occasi affocati):

schiuderanno i voli alle tortore del canto

negli albi cieli pasquali;

non muove l’Anno su cardini di firmamento

né per vie di pianeti

ma lo volge dolce e lento

cerchio di melodie.

Assistiamo dunque a un continuo incastro di immagini visive e auditive che, in un crescendo vorticoso, si amalgamano in una sinestesia al cui vertice è il richiamo alla pratica del canto gregoriano (che si snoda in conformità dell’anno liturgico); la pasqua ne rappresenta il polo positivo, vitalistico di ‘resurrezione’.

Tale dualismo ha implicazioni anche compositive, dettate da esigenze musicali: spesso vi si cela un cambio di ritmo, corrispondente ad una diversa sensazione interiore. Piccolo allude ancora alla ciclicità del ritualismo, specchio di quella naturale, in una sorta di “eterno ritorno” memoriale quanto tangibile (Piccolo era accanito lettore di Nietzsche). A tal proposito il poeta ribadisce:

[…] Essi [i Canti barocchi] esprimono i timori, le nevrosi di una infantilità troppo fantastica e sensibile – riportate dalla memoria in una sorta di visione febbrile. Una affannosa e spettrale «Recherche du Temps perdu» in un periodo in cui per alcune circostanze tutto sembrava sprofondarsi e finire.

[…] Esso [il tono nostalgico] è invece il soffio animatore dei «Canti bar.», soltanto che […] vien qui affidato a registri insoliti: p. es. al tempo di un verbo […], un futuro che vorrebbe essere evasione in una sfera di atemporalità, in un elisio.

La visione poi si allarga a cataloghi figurativi di antiche cosmografie (si pensi alle mappe antropomorfizzate di epoca pre-scientifica), con l’intenzione – schiettamente barocca – di destare la ‘meraviglia’ del lettore richiamando, nel contempo, l’accesa fantasia dell’età infantile (risulta ancora evidente il richiamo a Góngora).

[…] (Ai quattro punti del Mondo

muovono Arcangeli il vento e i colori)

ma già nel tempo     […] anticipa la luce della stella

spirò dall’occidente un soffio insonne   cerulea ora, già purpurea norma

e accende di cannelle, di cinnamomi,   dei sempre incerti limiti del giorno.

di rostri porporini i cammini dell’aure   […] nuova fenice che fiammanti piume

di malie d’arbusti le chiome dei venti i transiti marini.    veste, del sole mattutini raggi,

Di là dalle Colonne     da quanta solca l’aria accompagnata

si stende la piana di spume di crespe abbaglianti,   monarchia canora;

s’erge nei fondali la mole di pomice mora,   e valicando nuvole, le spume

s’alzano i re dai manti di piume   essa corona al re degli altri fiumi…

nei vortici del sole.

Ci soccorre ancora un pezzo delle ‘auto-glosse’:

[…] Il riferimento al nuovo mondo è del tutto fantastico: letture infantili su quelle scoperte ed urne coi nomi dei primi martiri cristiani in quelle terre nelle nostre chiese barocche. Cosmografia kepleriana. […] Il mondo appariva in quel tempo come animato. Riferirsi ai mappamondi secenteschi coi serafini a gonfie gote. Le chiome dei venti… mani d’arbusti ecc. In questo canto mattutino e pasquale appare per la prima volta l’immagine del tramonto affocato che avrà poi nei Canti bar. ed anche altrove molta importanza: è il primo accenno leggero a quel che sarà una minaccia o un ammonimento.

Attenendosi allo schema bipartito, segue di nuovo un movimento di leggiadra elevazione, e il ritmo si fa più fitto con l’ausilio dei versi brevi: l’intento è sempre quello di passare attraverso la materialità delle architetture come fosse una catarsi necessaria ad alimentare il ricordo, dunque la sensazione astratta, interiore.

[…] … oltre le volte vicino ai campanili

ove la mano dell’Evangelista

alta indice alle nubi il volo,

bianco attonito di cellette, di ballatoi,

d’intonaco nudo riflette

tutto l’aereo sospeso mattino.

Ma dove spirano raggiere ed ombre muschiate

all’interne gallerie, alle grate delle tribune

(trascorrono lucerne la notte)

ove vanto di forme gonfia ringhiere tralci campanule soffia dorate

s’affollano spicchi di volti fra garze consunti profili di lune.

L’ultimo passo, introdotto dall’avversativa, oltre a spezzare il ritmo muta anche la prospettiva memoriale. È un meccanismo ben illustrato in un recente saggio di Natale Tedesco:

[…] Molte sono le poesie che si concludono con dei versi o delle strofe che cominciano con l’avversativa ma. […] L’avverbio è appunto il segno di una negazione concettuale che “musicalmente” si manifesta con il “blocco” del primo ritmo, con l’introduzione di un altro ritmo, come un diverso sistema armonico, o come scriveva il poeta “armonistico”. Tuttavia s’interrompe il flusso e l’alternanza polifonica ed emerge una solitaria e strenua monodia che suona quasi come una dissonanza… […] Con l’avversativa s’introduce la negatività dell’esistenza, la difficoltà del conoscere. Sono finite le illusioni, sono scomparsi gli incantesimi della fenomenologia naturale, “svanito” è il mondo, l’universo mutevole di forme e di voci; solo rimane ora e si alza l’assoluta meditazione individuale.

In questa parte finale comincia a profilarsi la meditazione – centrale in Piccolo – sulle anime defunte, corollario di un’ansia metafisica che troppo spesso i lettori hanno scambiato per un allucinato esoterismo.

Se il primo canto era l’alba primaverile, La meridiana è il mezzogiorno infuocato, il culmine estivo, il divenire (eracliteo) dell’acqua che, scorrendo, dissolve e incrina i piani materiali e memoriali. È il “recitativo” del maturo annichilimento, riflesso del tempo che intacca la realtà sino a distruggerla (e in Lucio Piccolo risuona ancora l’eco degli Ossi e delle Occasioni montaliane).

Guarda l’acqua inesplicabile:

contrafforte, torre, soglio

di granito, piuma, ramo, ala, pupilla,

tutto spezza, scioglie, immilla;

nell’ansiosa flessione     […] ansante più del pelago la nostra

quello ch’era pietra, massa di bastione,   speranza!  e il gorgo sterile…

è gorgo fatuo che passa, trillo d’iride, gorgoglio    […] Un rintocco subacqueo s’avvicina,

e dilegua con la foglia avventurosa;     […] quando fingevi col tuo trillo

sogna spazi, e dove giunge lucente e molle   [d’aria…

non è che un infinito frangersi di gocce efimere, di bolle.

Guarda l’acqua inesplicabile:

al suo tocco l’Universo è labile.   […] Disciogli il cuore gonfio

E quando hai spento la lampada ed ogni     nell’aprirsi dell’onda;

pensiero nell’ombra senza peso affonda,   come una pietra di zavorra affonda

la senti che scorre leggera e profonda   il tuo nome nell’acque con un tonfo!

e canta dietro ai tuoi sogni.

Questa lirica rappresenta lo scioglimento dei crucci esistenziali negli eventi ‘elementali’, benché un “senso di solitudine” continui ancora a sommergere il poeta.

[…] La seconda lirica è il mezzogiorno: vuol dire, il momento in cui il senso di solitudine fa soffrire il poeta. […] quando noi discendiamo molto giù in noi stessi, […] superiamo il tempo e riviviamo, nel presente, fatti passati, e il tempo è abolito. […] E il poeta canta l’inno alla liberazione e alla solitudine; è quasi una movenza da «innodia» bizantina, un ritmo oscillante.

Nella seconda e nella terza strofa il fulgore visivo si associa a un ‘adagio’, di apparente pacificazione con le armoniose ‘scenografie’ del mondo esterno; inoltre c’è il tentativo di rallentare l’azione disgregatrice del tempo (bisogna rifarsi adesso, oltre che a Montale, anche al naturalismo mistico del primo Rilke).

[…] Nell’ora colma, nelle strade meridiane   […] e non t’accorgi che le nostre ore

(ov’è l’ombra, ai mascheroni anneriti     [s’allontanano

alle gronde scuote l’erbe l’aria marina)   da te e dalla colma meridiana su cui stanno…

rispondono le fontane,

dalla corte vicina (lasciò la notte ai muri     Sul muro grafito

umidi incrostazioni di sali, costellazioni     che adombra i sedili rari

che il raggio disperde),   l’arco del cielo appare

dai giardini pensili ove s’ancora il verde   finito.

si librano cristallini archi

s’incontrano nell’aria incantata alle piazze   […] in un riposo

sui cavalli di spuma gelata,   freddo le forme, opache sono sparse.

s’alzano volte di suono radiante

che frange un istante e ricrea   Rivedrò domani le banchine

la tenera piovra, il fiore liquido emerge, elude   e la muraglia e l’usata strada.

il silenzio e un àndito schiude fra il canto e il sopore;

s’aprono zone di solitudini, di trasparenze,

e il bordone poggiato al sedile riposa

e il sogno si leva…   […] Mezzodì: allunga nel riquadro

[il nespolo

L’ombra del cavalcavia   l’ombra nera…

batte al selciato che brucia.

Questi ultimi versi, oltre che una complessa sinestesia, creano una sorta di “fuga prospettica” e, musicalmente, una ‘sincope’, una contrazione, quasi una pausa che allevia la sovrabbondanza delle nominazioni precedenti e successive.

[…] Ora piana ora ferma, ti guardi, ti specchi beata   […] la vasta distesa, s’increspa, indi

in alta murata di loggia – nitore di vela – in altana   [si spiana beata

e la loggia, la cupola, la cuspide che vuole     e specchia nel suo cuore vasto…

salire più alta, sono immerse nel vento del sole;

permea l’azzurro le travature corrose,

la scala che sale alla cella, delle aperture

dei muri forati, degli archi fa sguardi sereni,

e le cavalcature riposano ai fieni falciati;

rigoglio di lantane, di muse, di calle,

ai terrapieni ove il gelso arpeggia l’ombre

ed alle balaustre scendono diffuse

le molli frane

del caprifoglio,

(dietro il cancello fra gli aranci

l’acqua nascosta ha note d’uccello)

E le montagne, le montagne l’han consumate al corale dei raggi

le rèsine, l’erbe odorose, gli aromi selvaggi.    […] Poco s’andava oltre i crinali prossimi

… lancia il sole crinale cerchio   di quei monti…

nell’idrie ove l’acqua scintilla,

e s’uno scende l’altro sale,   […] ritratti d’oro e ritorna

armonica d’oro –   ad ogni accordo che esprime

la Bilancia appena oscilla   l’armonica guasta nell’ora…

quasi uguale.

Nella parte finale la temporalità, che sembrava essersi distesa fino a sospendersi e annullarsi, ritorna bruscamente infernale a sconvolgere le labili illusioni del poeta.

Egli si arrende all’invincibile forza che ci sottrae ogni cosa, si oblìa, come in Leopardi (e si notino le simili scelte lessicali) ma senza ‘dolcezza’,  nell’ “infinito” e terrificante scorrere degli attimi che negano l’eternità e intridono di sofferenza la vita.

[…] Attendono i vegliardi;   […] Ogni forma si squassa nel subbuglio

sotto la cupola al segno rotondo   degli elementi; è un urlo solo, un muglio

(in gemini) folgora l’ora eco di cosmi,   di scerpate esistenze: tutto schianta

ed alle siepi del mondo     l’ora che passa: viaggiano la cupola del cielo…

passa il brivido di fulgore

fende l’immane distesa celeste,

vibra, smuore, tace,

vento senza presa e silenzio.

Ma se il fugace è sgomento

l’eterno è terrore.

Concluderei ancora con le parole semplificative di Lucio Piccolo:

[…] Il poeta crede, nell’ora del mezzogiorno, nel profumo dell’ora, di aver vinto il senso di angoscia e di solitudine che sembra essere il destino della natura umana, come la filosofia attuale ci insegna; però è un’illusione, perché mentre il poeta guarda l’orologio solare che è sotto la cupola, il raggio che tocca il segno dei Gemelli lo riporta sul dramma esistenziale dell’eternità e del tempo.

[…] Quindi il poeta, in principio, può avere un atteggiamento di distensione, di abbandono dell’io, di uno sciogliersi dell’io nell’universo; mentre invece l’ultima parte riporta al dramma esistenziale: tempo-angoscia, eternità-terrore.

Il terzo canto, Scirocco, è uno ‘stacco’, un “intermezzo andante e velocissimo” di grande opulenza pittorica e fonica. Si potrebbe definire “l’aria” dei Canti barocchi in senso musicale quanto simbolico. Rappresenta inoltre l’estenuato crepuscolo autunnale dell’esistenza, che presto si dileguerà nel calmo abbraccio della morte.

Già Montale aveva sottolineato  forse per sviare dalle profonde attinenze col suo Corno inglese  le ascendenze campaniane di Piccolo: questo appare evidente non solo alla luce dei semplici titoli (Canti barocchi  Canti orfici; Scirocco; La notte, ecc.), ma soprattutto nell’uso spregiudicato delle aggettivazioni ricche e inusitate.

E sovra i monti, lontano sugli orizzonti   […] nello Scirocco sembravano ancora

è lunga striscia color zafferano:   giungere in soffii caldi e lontani di laggiù

irrompe la torma moresca dei venti,    i riflessi d’oro… che varcavano la curva

d’assalto prende le porte grandi     dell’orizzonte.

gli osservatori sui tetti di smalto,   […] Un grande portico rosso dalle lucerne

batte alle facciate da mezzogiorno,   moresche…

agita cortine scarlatte, pennoni sanguigni, aquiloni,

schiarite apre azzurre, cupole, forme sognate,   Il vento che stasera suona attento

i pergolati scuote, le tegole vive   ricorda un forte scotere di lame

ove acqua di sorgive posa in orci iridati,   gli strumenti dei fitti alberi e spazza

polloni brucia, di virgulti fa sterpi,     l’orizzonte di rame

in tromba cangia androni,   dove strisce di luce si protendono

piomba su le crescenze incerte   come aquiloni al cielo che rimbomba

dei giardini, ghermisce le foglie deserte   (Nuvole in viaggio, chiari

e i gelsomini puerili – poi vien più mite   reami di lassù! D’alti Eldoradi

batte tamburini; fiocchi, nastri…   malchiuse porte!)

e il mare che scaglia a scaglia,

Ma quando ad occidente chiude l’ale    livido, muta colore,

d’incendio il selvaggio pontificale    lancia a terra una tromba

e l’ultima gora rossa si sfalda     di schiume intorte…

d’ogni lato sale la notte calda in agguato.

Questo vento sud-orientale, che sferza impetuoso sulle coste mediterranee, viene immaginato come un esercito berbero in marcia che distrugge ogni ostacolo lungo il proprio cammino (e si noti anche il lessico ‘militare’).

Forse dalle lussureggianti pagine di Campana o, con più probabilità, ancora dal magistero di Montale (anche se alcuni lettori hanno ipotizzato l’ombra di Gozzano), Lucio Piccolo mutua anche quel vezzo grafico – un arcaismo in lui molto frequente – di scindere le preposizioni articolate.

Il ritmo esasperato della lirica si dà con l’uso ossessivo ma calibratissimo delle rime interne, delle paronomasie, delle allitterazioni, delle inarcature ma, soprattutto, delle assonanze e delle consonanze: ciascuna parola, si direbbe anche ciascun fonema, contribuisce a creare un senso di spaesamento, proprio come se ci si trovasse fisicamente in un turbine: una specie di “orgia naturalistica”. In questa “sintassi musicata” i nessi allitterativi reagiscono come “legature” fra intonazioni consimili (anche i quattro Canti sono uniti fra di loro tramite i rispettivi incipit ed explicit, mentre gli enjambements fungono da pause o da sincopi e allo stesso modo si comportano le coppie sostantivo-aggettivo).

Per dirla con Carlo Guarrera,

[…] Dentro la impari distribuzione quantitativa dei due fatti tematici, e seguendo una rincorsa di verbi che recano valenze di inquietudini e di aggressività, si articola una festa fonetica sgargiante e proliferante. Questo laborioso gioco di fonìe conferisce una forte responsabilità al significante, e mette in evidenza quella “funzione strutturale” del ritmo della poesia di Piccolo di cui parlava Montale: una speciale dinamica di effetti fonici a circuito chiuso; un apparato d’insieme che va molto al di là del semplice caso – o solo del buon orecchio musicale – e che diventa coscienza di ferree architetture fonetiche oltre che semplicemente ritmiche.

Nella seconda parte, dunque, il ritmo si quieta, prefigurando un sereno annullarsi nella “notte/morte”: si “sfalda” l’ultima porzione del crepuscolo e si stempera in una densa oscurità notturna che porta a compimento il ciclo vitale (umano) e stagionale (cosmico).

La notte è l’ultimo dei Canti barocchi: il freddo abbraccio tra il poeta e le memorie (anime) perdute; il desiderio, il ‘fuoco’, culmine di un’estasi sospesa tra l’incanto e il sogno (raffigurazioni, queste, di un delicato oblìo nella morte). Ci pare ancora necessario riferirsi a Dino Campana e, soprattutto, alle riflessioni mistico-filosofiche di un altro grande modello, ovvero W. B. Yeats.

La notte si fa dolce talvolta,

se dalla cerchia oscura

dei monti non leva alito di frescura

perché non sòffochi, ai muri vicini apre corimbo di canti,

sale coi rampicanti pei lunghi archi,

alle terrazze alte, ai pergolati, al traforo   […] Ma la sera scendeva

dei mobili rami segna garofani d’oro,   messaggio d’oro dei brividi freschi

segreti fievoli coglie ai fili d’acqua sui greti   della notte.

o muove i passi stanchi   […] La seguii dunque come si

dove l’onde buje si frangono ai moli bianchi.   segue un sogno che si ama vano…

Subito allo schermo dei sogni     […] Le non filtrate immagini del giorno

soffia in vene vive volti già cenere, parole àfone…   [svaniscono;

muove la girandola d’ombre:     […] La risonanza notturna anche svanisce

sulla soglia, in alto, ognidove     […] La furia e il fango delle vene umane.

vacuo vano, andito grande tende a forme,

sguardo che muove le prende,   Ecco di fronte a me fluttuare

sguardo che ferma le annulla.   [un’immagine, uomo

oppure ombra, e ombra più che uomo, o più

Riverberi d’echi, frantumi, memorie insaziate,   immagine che ombra…

riflusso di vita svanita che trabocca

dall’urna del Tempo, la nemica clessidra che spezza,  […] Una bocca, senza né umidità né respiro,

è bocca d’aria che cerca bacio, ira,   può convocare bocche senza respiro;

è mano di vento che vuole carezza.   inneggio al sovrumano;

lo chiamo morte-in-vita e vita-in-morte.

Un’altera, diafana bellezza contraddistingue le anime defunte. Grazie ad un efficace ribaltamento, i sentimenti di affinità ora sono appannaggio delle vite trapassate, in cerca di corresponsione nei vivi.

La fugacità del tempo assume sfaccettature maligne, si fa completamente mortifera e ‘nemica’ (nelle cupe figure barocche dell’urna e della clessidra).

Lucio Piccolo conclude la sua maestosa impalcatura col classico ripiegamento interiore, assolto nella ferrea meditazione delle sacre scritture che preludono al vertice dell’estasi.

[…] Alle scale di pietra, al gradino di lavagna,   […] il clangore che si accentua annunciando

alla porta che si fende per secchezza   le lingue di fuoco delle lampade inquiete…

è solo lume l’olio quieto;

spento il rigore dei versetti a poco a poco

il buio è più denso – sembra riposo ma è febbre;

l’ombra pende al segreto     […] l’ombra cava e la luce vacillante…

battere d’un immenso   […] il debole cuore batteva un più alto

Cuore   [palpito

di

fuoco.

Affidiamoci ancora alle parole del poeta:

[…] La notte è il sorgere delle immagini interne. […] Questi ambienti sono pieni di ombre, pieni di esistenze umane che il bambino sente sorgere in sé.

Infine la chiusura è su un’immagine dell’immenso cuore di fuoco che è il turbamento che prende nel passaggio dall’infanzia alla giovinezza. Non si sa se è misticismo o sensualità, simbolizzati attraverso il grande cuore di fuoco, che può anche essere l’altare, intravisto da una tribuna, una tribuna conventuale, non sappiamo.

[…] Il canto della notte finisce appunto con questo senso di smarrimento; è sensualità, è misticismo, è questa grande attesa, questo grande cuore che batte nella notte palermitana.

Gli ultimi versi, a scalino, trovano spiegazione in una lettera che Yeats inviò a Piccolo in risposta ad alcuni suoi quesiti riguardanti l’assunzione delle anime nella filosofia mistica:

Caro Signore, lei mi chiede che cosa intendo con “condizione di fuoco” in Per Amica: ho preso il termine dagli scritti del platonista Henry More e si riferisce all’assunzione del Corpo Celestiale o Fiammeggiante. Stando alla sua descrizione, dopo la morte l’anima risiede a lungo in un corpo aereo; cioè in una condizione che richiama il Purgatorio cattolico. Quando assume il corpo fiammeggiante entra in uno stato di beatitudine o riposo. Sinceramente vostro W.B. Yeats.

Questa dissolvenza ad libitum serve per dare dei Canti barocchi l’immagine di una “composizione ciclico-armonica” che si ripete senza fine.

***

Lucio Piccolo nasce a Palermo il 27 ottobre 1901 da una nobile e ricchissima famiglia e qui vive, fino agli anni trenta, in uno splendido palazzo con giardino in via Libertà, 13. Conseguita la maturità classica, al liceo “Garibaldi” di Palermo, non vuole frequentare l’università, preferisce continuare gli studi da solo, approfondendo la sua cultura sui testi trovati nella biblioteca di famiglia ed altrove. Manifesta uno spiccato interesse verso la poesia, la musica e la filosofia in particolare.

Nasce in questi anni l’ammirazione per il cugino principe Giuseppe Tomasi di Lampedusa, duca di Palma di Montechiaro, ammirazione ampiamente ricambiata in un sodalizio letterario che durerà per tutta la vita. Il 2 novembre 1928 muore il padre, a Sanremo, dove si era rifugiato anni prima con l’amante, una giovane ballerina.

La morte del padre è un duro colpo non tanto sotto il profilo affettivo, quanto sotto quello economico. La madre deve fronteggiare diverse situazioni debitorie.

Il poeta continua le sue accanite letture a caratura internazionale e si mantiene in corrispondenza con poeti e scrittori stranieri di fama (soprattutto con Yeats, già prima che questi ricevesse il Nobel nel 1923), anche perché è in grado di leggere sei, sette lingue (in vecchiaia arriverà a conoscerne una dozzina), per la sua fissazione di leggere i testi in lingua originale.

A causa dell’aggravarsi delle difficoltà finanziarie i Piccolo perdono il palazzo di Palermo e la famiglia è costretta a traslocare definitivamente a Capo d’Orlando, in una villa di campagna in località Vina. Si chiude così per sempre quella vita ‘gattopardesca’ fatta di ricevimenti, salotti, viaggi e feste sfarzose. Giovanna, Casimiro e Lucio decidono di non sposarsi. Iniziano una vita appartata, quasi fuori dal mondo, fatta di studi, ricerche artistiche e filosofiche in diversi campi dello scibile.

Adorano i cani e ne allevano diverse razze, dando loro dignità di sepoltura in un apposito cimitero con lapidi e vasi per i fiori. Il cimitero è tuttora esistente.

Le più importanti poesie – forse tutte – Piccolo le ha scritte nel corso del suo definitivo soggiorno a Capo d’Orlando, durato trentacinque anni.

Lucio Piccolo, dopo la morte della madre, sentendosi liberato da una certa soggezione alla domina, pubblicò le sue prime liriche, incoraggiato fortemente dal cugino Lampedusa. Le poesie di esordio uscirono col titolo “9 liriche” in un minuscolo libriccino.


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    Ore 4.30. Una mattina come tante di un lunedì come tanti. Mentre la maggior parte delle persone sta ancora dormendo, suona la sveglia di Anna Maria: una... Leggere il seguito

    Da  Andrea Venturotti
    RACCONTI, TALENTI
  • Famiglia atipica is better than no famiglia

    Famiglia atipica better than famiglia

    C’era bisogno di un’altra opinione, un altro sproloquio, un altro post sulle famiglie atipiche? Sicuramente no. Avevate bisogno che io mettessi nero su bianco... Leggere il seguito

    Da  Gynepraio
    OPINIONI, TALENTI
  • L’impresa è donna.

    L’impresa donna.

    Non è mai stato facile per le donne trovare uno spazio adeguato alle loro capacità in ambito lavorativo, inserite, forzatamente alle volte, in un contesto... Leggere il seguito

    Da  Chiara Lorenzetti
    DIARIO PERSONALE, TALENTI
  • Cookie… ossia rottura di scatole (non di biscotti)

    Cookie… ossia rottura scatole (non biscotti)

    Gentilmente, Dora mi scrive  che devo evidenziare  in modo visibile l’avvertimento per cui questo blog potrebbe contenere dei cookie, cosa che ho già postato a... Leggere il seguito

    Da  Loredana V.
    OPINIONI, TALENTI
  • 8 motivi per cui sposare una Donna Cancro #Oroscotag

    Una delle cose su cui ero più fissata quando ero una piccola teenager incallita, era l’Oroscopo. E non mi limitavo a leggere i quotidiani del bar, o le griglia... Leggere il seguito

    Da  Andrea Venturotti
    RACCONTI, TALENTI
  • Over the Rainbow

    Mi sembrava appropriata, vista la recente decisione della suprema Corte Americana… Da qualche parte sopra l’arcobaleno proprio lassù, ci sono i sogni che hai... Leggere il seguito

    Da  Loredana V.
    OPINIONI, TALENTI