Seduto in macchina, nel parcheggio dell’Esselunga, in attesa di mia moglie che è entrata per una veloce spesa di generi di primissima necessità, mentre mia figlia dietro gioca con il suo nuovo bracciale magnetico che le ha regalato una compagna di classe. È più o meno l’ora di punta del sabato mattina, quando molti sono lì per il mio stesso motivo, c’è quindi un viavai di famigliole con i carrelli pieni di ogni ben di dio. Mia moglie mi dirà allibita che la coppia in cassa davanti a lei ha pagato quasi trecento euro di roba che noi non abbiamo mai assaggiato in tutta la nostra vita. Trecento euro di spesa noi li facciamo in un mese, e dubito fortemente che si riesca a concentrare in un’unica visita al supermercato l’intero fabbisogno di trenta giorni di vitto. Ma non è questa la notizia.
Mentre ero lì che aspettavo, intento in una serie di gare di sguardo fisso con mia figlia, in cui vinco sempre io perché basta che apra le narici come un toro e scoppia a ridere, avevo come al solito lo stereo acceso con l’unico cd che potevo ascoltare perché haimè si era incastrato dentro. Una compilation delle vacanze, pezzi vari di tutto e di più. Ecco “Just like heaven” dei Cure. Alzo il volume a palla, guardo nello specchietto retrovisore per capire se nella mia tamarraggine sto dando troppo nell’occhio, ma con mia immensa meraviglia vedo passare due anziani vestiti di nero con camicie di raso, pantaloni di pelle e creeper nere scamosciate ai piedi, quelle con le fibbione in argento. Entrambi hanno i capelli cotonati e stanno ballando mentre spingono il carrello.
A quel punto sposto lo sguardo davanti e mi rendo conto che sono tutti vestiti così, come Robert Smith, alcuni hanno persino il rossetto sbavato e fanno le mossette che faceva lui nei video, le mani giunte, gli occhi verso l’alto. Tutti con chiome assurde a fontanella, e camminando a tempo con la musica si dirigono alle loro auto, aprono il portellone, caricano il portabagagli di articoli in promozioni, offerte treperdue, borse traboccanti di frutta, verdura, scatolame, merendine ipercaloriche per i loro piccoli già sovrappeso, bambini che vestono magliette dei Cure tese sulla pancia tanto che il povero Robert ha un faccione largo così, mai visto.
Devono essere tutti d’accordo, perché i singoli gruppi stanno seguendo figure coordinate, si incrociano e si girano intorno, e le auto che arrivano, prima di parcheggiare, si godono spettacolo, alcuni escono dall’abitacolo e si uniscono a questo tripudio dark collettivo di periferia. Poi, sempre seguendo il ritmo, ripongono i carrelli, ritirano l’euro usato per sbloccarlo, e si avviano verso le loro storie famigliari. Ma il pezzo dura poco più di tre minuti, e al momento di “you soft and only, you lost and lonely, you just like heaven”, questo flash mob che qualcuno ha organizzato in mio onore termina. Gli anziani tornano a indossare felpe colorate, quelle che le loro mogli li costringono ad acquistare così non sono costrette a stirare le camicie, i genitori a sgridare i piccoli perché non vogliono scendere dal carrello, le giovani coppie a programmare il loro giorno di festa. Tutto sembra tornare normale, ma no, anzi. Inizia “Bohemian like you” dei Dandy Warhols (la compilation, come vedete, era tutt’altro che tematica) proprio mentre mia moglie esce dal supermercato. Apro la portiera per aiutarla, lei capisce al volo e si avvicina sincronizzando i suoi passi con la batteria del pezzo e insieme, ballando, carichiamo quel poco che ha comprato. Ci sorridiamo, metto in moto e torniamo a casa.