Dietro le quinte di Libertà di Jonathan Franzen: Silvia Pareschi, il lavoro del traduttore
Secondo Walter Benjamin il compito del traduttore “consiste nel trovare quell’atteggiamento verso la lingua in cui si traduce, che possa ridestare, in essa, l’eco dell’originale”. La traduzione “tende in definitiva all’espressione del rapporto più intimo delle lingue fra loro”. Un esercizio arduo, quello del traduttore, che deve muoversi restando fedele allo spirito dell’originale e, allo stesso tempo, restituire l’intima verità di ogni lingua, la tensione verso la lingua universale. Proprio in questo tutte le lingue sono affini fra di loro, senza essere necessariamente somiglianti. La zona in cui si colloca il traduttore è un terzo spazio dove si opera un lavoro certosino di lettura, rilettura, scomposizione e riorganizzazione del significato, analisi dello stile, ecc. Un insieme di operazioni a cui difficilmente il lettore pensa quando legge un libro tradotto. Eppure, il lavoro nell'ombra del traduttore è spesso il solo modo che abbiamo per conoscere la letteratura del resto del mondo e confrontarci con una realtà sociale e culturale diversa dalla nostra.Abbiamo chiesto a Silvia Pareschi, traduttrice italiana di Jonathan Franzen, di parlarci del suo lavoro e del rapporto che si instaura tra autore e traduttore.
Silvia Pareschi
Quanto alle ricerche preliminari, anche in questo caso naturalmente dipende dal libro. Prima di tradurre Franzen, a parte contraddire quello che ho appena scritto qui sopra e leggermi tutto il manoscritto dall’inizio alla fine, non ho dovuto fare molto, perché ho tradotto i suoi libri precedenti e quindi conosco bene il suo stile. In genere però mi preparo leggendo le opere precedenti dell’autore, o anche altre opere stilisticamente affini. Per esempio, prima di cominciare la traduzione de Il libro dell’ignoto, di Jonathon Keats (pubblicato lo scorso dicembre dalla casa editrice Giuntina), un libro di storie ispirate al folclore ebraico, mi sono preparata rileggendo i racconti di Isaac B. Singer e Sholem Aleykhem, prestando particolare attenzione a come la lingua di questi scrittori era stata resa in italiano.Come hai iniziato a occuparti di traduzione? È una passione di lunga data o un amore scoperto all’improvviso?Diciamo che tradurre letteratura era un po’ un sogno che mi ero dimenticata di avere, tanti anni fa, persa nei meandri del cosa fare dopo la laurea. Provai svariati lavori, tutti disperatamente inadatti, finché non decisi di frequentare una scuola di scrittura. Fu in quel periodo che venni “scoperta” da una grande traduttrice, Anna Nadotti, e da una grande editor, Marisa Caramella, che mi hanno insegnato tanto di quello che so. Il resto l’ho imparato sul campo, con la pratica e l’esperienza.
Silvia Pareschi e Jonathan Franzen
Libertà di Jonathan Franzen
Dopo la pubblicazione de Le correzioni ci conoscemmo di persona, e da allora abbiamo continuato ad approfondire un rapporto che è tanto professionale quanto amichevole. Lo scorso aprile lo accompagnai come assistente e interprete durante una parte del viaggio in Italia dal quale nacque il reportage Emptying the Skies (pubblicato nel luglio 2010 dal New Yorker, e nel marzo di quest’anno, nella mia traduzione, dalla rivista Internazionale), sulla caccia di frodo agli uccelli nell’Europa meridionale. Ne parlo anche nel mio blog: http://ninehoursofseparation.blogspot.com/2011/02/il-mio-viaggio-con-franzen.htmlQuali sono state le maggiori difficoltà incontrate nella traduzione di Freedom? E le più grandi soddisfazioni?In genere le difficoltà che si incontrano nel tradurre Franzen derivano soprattutto dal tono della scrittura, con il suo delicato equilibrio tra sincerità e ironia, e da una lingua che viene plasmata con estrema, meticolosa precisione, con un orecchio sensibilissimo al parlato di ogni personaggio e del gruppo sociale a cui appartiene. Per fortuna ormai ho una grande familiarità con la scrittura di Franzen, dopo aver tradotto, oltre a Le correzioni, anche il suo secondo romanzo, Forte movimento, e le raccolte di saggi Come stare soli e Zona disagio. Inoltre, rispetto a Le correzioni, in questo romanzo la prosa si fa più trasparente, l’accesso ai personaggi più diretto e la narrazione più distesa, e quindi le difficoltà si sono limitate più che altro alla resa in italiano di determinate espressioni o di determinate sfumature culturali difficili da comprendere in un contesto diverso da quello in cui sono nate. Nel mio blog racconto un esempio che ha a che vedere proprio con questo: http://ninehoursofseparation.blogspot.com/2011/03/un-piccolo-aneddoto-sulla-traduzione-di.html
Quanto alle soddisfazioni, direi che ricevere i complimenti e l’apprezzamento dell’autore che si è tradotto è senz’altro una soddisfazione enorme!
04 aprile 2011
Di Sandra Bardotti