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di Francesco Scolamiero. E’ dell’altro giorno la notizia dell’ennesimo sequestro di "scarpe di marca" contraffatte! Nel servizio del tg parlavano addirittura dei costi e dei prezzi a cui sono vendute le calzature. Il ‘prezzo di fabbrica’ è di circa 20 euro, mentre vengono vendute per le strade dai ‘vu cumprà’ a 40 euro, al negozio “monomarca” il prezzo minimo è di 240 euro. Chiaro quelle contraffatte non sono come quelle originali e del resto su internet troviamo anche i consigli su come scoprirlo, ma le ‘differenze’ qualitative, insieme a operai sicuramente pagati in nero nelle fabbriche del falso, non giustificano 200 euro di differenza. Quello che voglio dire è che su certi prodotti di alta gamma, la Cina, l’Asia ma anche l’est Europa si possono tranquillamente contrastare. E’ questo il punto fondamentale! Sicuramente alcune produzioni non possiamo più permettercele, ma altre sono sicuramente sostenibili. La globalizzazione ha portato secondo me un grosso ‘fraintendimento’ ovvero ha fatto confondere due aspetti economici completamente diversi quello di ‘conquistare nuovi mercati’ e quello di ‘delocalizzare’. Con il primo non porto produzione all’estero, ma cerco di vendere i miei prodotti all’estero fabbricandoli però sempre nel mio Paese, eventualmente costruisco stabilimenti all’estero per vendere ai locali, differenziando anche i livello di prodotti per adattarli ai vari mercati ottenendo economie di scala dal know-how accumulato. Con il secondo porto invece semplicemente la produzione all’estero, ma non per vendere ai locali, per vendere i prodotti nel Paese di origine, solo che se delocalizza uno va bene, ma se delocalizzano tutti il giochetto non funziona più! Vi riporto un stralcio di un articolo apparso su 'Il Manifesto' “Il problema non è il costo del lavoro. Decisivo è stato il comportamento nel periodo del grande sviluppo, l'aver reinvestito o meno i profitti nell'innovazione - in particolare dei materiali - e nel marketing, cioè conquistando marchi e punti commerciali”.