Negli ultimi anni la diffusione della comunicazione digitale e la diminuzione drastica del fenomeno del “digital divide”, anche grazie alla sempre maggiore diffusione dei dispositivi tecnologici, hanno cambiato il modo di comunicare ed hanno spostato le relazioni interpersonali dai luoghi reali verso i “luoghi virtuali”. Per avere una conferma di questa tesi è sufficiente pensare al numero enorme di persone che utilizza la rete per recepire informazioni o intrattenere relazioni con altre persone anche a grande distanza mediante l’utilizzo di forum, social network, chat, blog, e-mail e siti di vario genere.
Insomma, grazie alla diffusione della rete e dei suoi strumenti le relazioni sociali sono cambiate ed in particolare sono cambiati i luoghi su cui gli scambi si verificano. I contenuti però non sono cambiati, vale a dire che anche in rete tutti gli aspetti, positivi e negativi, che contraddistinguono uno scambio di idee o informazioni tra due persone continuano a sussistere come tali. In altre parole adesso come in passato valgono le regole della buona educazione e del rispetto dei diritti della persona e le violazioni di tali regole sono punite dagli organi competenti.
È necessario puntualizzare un fatto però, e cioè che è facile oggi pensare che il rispetto delle regole possa essere bypassato in quanto la propria identità è celata da un nickname, da uno pseudonimo o dallo schermo del proprio Pc. Infatti il numero dei reati contro la persona come la diffamazione o l’ingiuria ha subito un aumento esponenziale soprattutto in merito alle questioni scaturite dalla rete.
I sistemi giudiziari si sono subito adeguati al cambiamento ed hanno modificato opportunamente gli strumenti legislativi per garantire la tutela dei diritti delle persone. Tra i reati più contestati in questo ambito c’è quello di diffamazione, regolato dall’articolo 595 del codice penale e che si configura quando, in presenza di una o più persone, viene offesa o screditata la dignità o la reputazione di un soggetto. Questo reato si può configurare in diversi modi, in particolare quando si tratta del reato di diffamazione online si applica il regolamento relativo a tale reato compiuto su mezzi di divulgazione pubblicitaria, così come viene considerata la rete internet, in quanto mezzo idoneo alla diffusione di notizie che possono raggiungere un numero indeterminato di soggetti.
La diffamazione è un reato istantaneo che si realizza con la comunicazione a più persone. In rete, ad esempio, il reato si compie inserendo il proprio messaggio in un forum, e si consuma nel momento e nel luogo in cui i terzi percepiscono l’espressione ingiuriosa, e dunque, nel caso in cui frasi o immagini lesive siano state immesse sul web, nel momento in cui il collegamento viene attivato (Corte di Cassazione, sezione V penale, sentenza n. 25875 del 21/06/2006), presumendosi che all’immissione faccia seguito, in tempi assai ravvicinati, il collegamento da parte dei lettori, e non rilevando l’astratta possibilità che il messaggio non sia letto. La Suprema Corte con sentenza del 26 gennaio 2011 n. 2739 ha ribadito che la diffusione di una notizia immessa sul web deve presumersi fino a prova contraria.
Invece, nel caso sussistano problemi tecnici che impediscono la visualizzazione, e quindi la diffusione, del messaggio, la condotta è punibile solo come tentativo.
Ovviamente se l’offesa viene attuata a mezzo di chat, mailing list, poiché il numero di utenti è considerato limitato, si avrà l’ipotesi non aggravata del reato.
Un caso particolare è rappresentato dall’offesa tramite messaggio di posta elettronica, essendo percepibile solo dal destinatario sarà configurabile il reato di ingiuria di cui all’art. 594 del codice penale, il cui comma secondo contempla l’ipotesi della comunicazione telegrafica o telefonica alla quale la comunicazione a mezzo di posta elettronica può essere equiparata. Ovviamente il reato si configura nel momento in cui il destinatario legge il messaggio, essendo il momento in cui si presenta l’offesa e si realizza la lesione del bene giuridico.
Nei vari procedimenti attuati in passato in seguito a denuncia per diffamazione online uno dei fattori che deve tenersi in considerazione è quello della competenza territoriale e quindi della procedura penale che si deve applicare. Secondo la Corte di Cassazione (sentenza 17 novembre 2000 n 4741) la diffamazione è un reato di evento, inteso come avvenimento esterno all’agente e casualmente collegato al comportamento di costui. Si tratta di evento non fisico ma psicologico, consistente nella percezione da parte dei terzi dell’espressione offensiva. La percezione, quindi, non è elemento costitutivo della condotta, ma è una conseguenza dell’operato dell’agente.
Il reato, dunque, si consuma non al momento della diffusione del messaggio offensivo, ma al momento della percezione dello stesso da parte dei terzi.
“L’articolo 6 del codice penale, al comma 2, stabilisce che il reato si considera commesso nel territorio dello Stato quando su di esso si sia verificata, in tutto, ma anche in parte, l’azione o l’omissione, ovvero l’evento che ne sia conseguenza. La cosiddetta “teoria dell’ubiquità”, dunque, consente al giudice italiano di conoscere del fatto-reato, tanto nel caso in cui si sia verificata la condotta, quanto in quello in cui su di esso si sia verificato l’evento. Pertanto, nel caso di un iter criminis iniziato all’estero e conclusosi (con l’evento) nel nostro paese, sussiste la potestà punitiva dello Stato italiano”.
Ragionando in questo modo, se la diffamazione manifesta effetti lesivi in più paesi può sorgere una competenza concorrente di questi paesi nella punizione del reo. In tal proposito la Corte di Giustizia europea, in materia di danni commessi a mezzo stampa, ha stabilito un principio di autolimitazione degli Stati nell’esercizio del loro potere punitivo, che rispetti un’esigenza di proporzione rispetto alla complessiva dimensione dei fatti, tenendo conto nella punizione del reo delle sanzioni già eventualmente inflitte da altri ordinamenti.
Nel caso si prefiguri il reato di diffamazione online la responsabilità può essere estesa anche ai responsabili del servizio sul quale viene pubblicata l’offesa, ma la casistica riguarda diverse tipologie di procedura a seconda del tipo di gestore col quale si ha a che fare. Il primo caso analizzabile è la responsabilità di blogger o moderatori di forum e chat, in queste situazioni si possono distinguere due modi di procedere. Infatti se il moderatore applica un sistema di filtraggio e pubblica ugualmente un post o un commento offensivo per un altro soggetto è passibile di concorso in diffamazione telematica, mentre nel caso in cui il moderatore non applichi un filtraggio, cioè non pubblichi post e commenti prima di averli letti ed approvati, non è responsabile del reato commesso e perciò non è punibile per concorso in diffamazione online. Diversa è invece la posizione dei direttori di testata telematica, che sarà passibile di pena solo nel caso in cui concorra direttamente alla pubblicazione e alla divulgazione dell’offesa a mezzo stampa telematica. I provider invece non sono mai responsabili in questi casi in quanto la responsabilità penale è personale.
Nel caso di siti contenenti comunicazioni diffamatorie è sempre possibile applicare la misura cautelare del sequestro preventivo ai sensi dell’art. 321 c.p.p., se il sito non è riconducibile al concetto di stampa.
La questione è più complessa nel caso dei giornali online, considerato che la stampa gode di particolari guarentigie che rendono possibile il sequestro solo nel caso di delitti per i quali la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi o nel caso di pubblicazioni e stampati osceni ed offensivi della pubblica decenza, fermo restando il principio costituzionale che la stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure. Il sequestro dei giornali e di qualsiasi altra pubblicazione o stampa è vietato a meno che non sia conseguenza di una sentenza irrevocabile, salva la possibilità di sequestrare 3 esemplari dello stampato a fini probatori.
Come conseguenza della diffamazione, oltre alla condanna penale, è obbligatorio risarcire il danno civile, come ad esempio la perdita di clientela dovuta alla divulgazione di notizie false sul conto di una persona, e il danno morale, che consiste nel fatto che l’offesa alla reputazione può provocare un impedimento a sentirsi ben accetti nella propria comunità, oppure che può costringere un soggetto a doversi discolpare da accuse del tutto false.