Difficile capire l’economia quando non è il prof a spiegarla di Giovanni Moretti

Creato il 11 novembre 2012 da Conflittiestrategie

L’eurozona ci impone di entrare in una sorta di competizione tra i Paesi che la compongono. Paesi che invece dovrebbero essere uniti, altrimenti che senso avrebbe chiamarla Unione? Oh! Sì, ora ricordo: l’unione per il momento è solo economica e monetaria. Un momento brevissimo cominciato ben più di trent’anni fa, quando anche la Grecia nel 1981 ne entra a far parte diventandone il decimo Stato membro.

Questa competizione si basa sul fatto che dobbiamo essere tutti più competitivi per esportare di più e sostenere così la nostra “crescita”.

Eppure, come dice Bagnai, è strano come una esportazione vista dall’esterno sia vissuta come un’importazione; quando compriamo una “Peugeot” stiamo importando prodotti che la Francia sta esportando.

Allo stesso modo una svalutazione, vista dall’estero, somiglia di più a una rivalutazione. Un debito, visto dall’altra parte, somiglia a un credito e viceversa.

Se si è in due, gli interessi si contrappongono e si contrappongono anche i ruoli. Il creditore non è il debitore.

Bisogna tenere conto di questo nel provare a capire quel che è successo e che succede ancora.

Ma come nasce questa crisi, in Italia?

Nasce proprio dall’aggancio della valuta ad una valuta estera e nella creazione dell’unione monetaria.

Il flusso di capitali che da un paese più ricco, economicamente e finanziariamente più stabile, vanno ad un paese periferico, come è l’Italia rispetto per esempio alla Germania, in un sistema basato su cambi fissi com’è l’eurozona, causa l’indebitamento del paese in cui questi capitali vengono investiti.

L’aggancio valutario, infatti, offre vantaggi enormi solo ai Paesi più forti. Nei paesi più deboli i tassi di interesse sono più alti e questo offre opportunità di investimento ai paesi più ricchi.

In pratica, se in un’economia ci sono gia tutte le autostrade, le ferrovie, gli ospedali eccetera, è chiaro che il capitale si dirige laddove le infrastrutture sono ancora da ammodernare, perché è lì che sarà più produttivo.

Allora succede che i mercati finanziari dei paesi più forti, con la liberalizzazione e soprattutto con la garanzia di non dover patire il “rischio di cambio”, grazie alla presenza della moneta unica, determinano un incremento dei capitali che fluiscono verso la periferia proprio perché quel rischio non c’è più come invece c’era quando le monete erano separate ed i cambi erano fluttuanti.

Questa inizialmente è una cosa molto bella, perché arrivano gli investimenti, arrivano anche tanti “fondi europei”, ma il risvolto della medaglia è che lo Stato si indebita a dismisura determinando il deficit della bilancia dei pagamenti, perché intanto i nostri prodotti smettono di essere acquistati all’estero e perfino in Italia.

Prima dell’euro, per controbilanciare questo effetto, in modo quasi fisiologico si svalutava la Lira, una svalutazione esterna, si svalutava rispetto alle altre valute.

In questo modo le merci prodotte in Italia diventavano appetibili nel mercato, la nostra economia avanzava, ed è vero che questo “rischio del cambio valutario” rallentava gli investimenti esteri, ma è vero soprattutto che ci proteggeva dall’indebitamento.

Infatti, inizialmente il capitale arriva, una parte viene destinata alle imprese e quindi aumenta la capacità produttiva, ma una parte arriva anche alle famiglie e quindi aumenta la domanda.

La domanda cresce in genere più rapidamente dell’offerta e i quindi i prezzi salgono.

Ma se salgono i prezzi che succede? Inflazione, e il paese periferico diventa sempre meno competitivo. E si comincia con chi si compra la Mercedes, la Ford, e si finisce con il povero che compra la carne importata perché oggi è quella che costa meno.

E visto che non può più svalutare, il paese è costretto ad indebitarsi ulteriormente per finanziare il buco di bilancio che ha creato.

Adotta un tasso di cambio fisso e in cambio avrai tanti capitali“, questa è la favola che ci raccontava Prodi. Ed aveva ragione, gli investimenti esteri arrivano, e con loro il nostro indebitamento di fronte al quale non potendo svalutare siamo del tutto inermi.

Ecco cosa si intende per “credibilità”, dal punto di vista dei paesi più forti.

La credibilità è soprattutto il cambio fisso, dal punto di vista della Merkel.

Quando inizialmente arrivano gli investimenti, il settore pubblico gode di un periodo di vacche grasse, perché i soldi girano, la gente ha soldi per pagare le tasse e lo Stato non deve preoccuparsi di sostenere il reddito di chi perde il lavoro, perché il lavoro c’è, in quel periodo.

In quel periodo, ahimé al governo c’era Berlusconi, diminuisce perfino il debito pubblico. E’ successo in Irlanda, in Spagna e perfino in Italia.

Ma cosa succede quando dall’alta parte del mondo la crisi finanziaria degli Stati Uniti provoca uno shock nei mercati europei? Cosa succede quando cominciano ad interrompersi i finanziamenti?

Succede che un afflusso di capitali di fatto corrisponde poi a un deficit in bilancio dei pagamenti e quando l’afflusso si interrompe rimangono solo i debiti.

L’euro ci ha fatto perdere competitività ed ha fatto calare drasticamente le nostre esportazioni, mentre la lotta all’evasione, sebbene sia un fattore auspicabile e positivo in un paese progredito, non ha alcuna possibilità di compensare questa perdita, e l’austerità che ci impone di “raschiare il barile” introduce un negativissimo effetto nella parte produttiva del Paese, che viene ulteriormente penalizzata.

La privatizzazione delle grandi aziende pubbliche fa parte di quel processo che comincia negli anni in cui si tentava di “vendere” la moneta unica come quel fattore determinante, purtroppo in negativo, dell’economia italiana. Ricordiamo tutti la privatizzazione di aziende pubbliche come IRI, SIP e moltissimi altri gioielli italiani, e continua anche ora con lo smantellamento di quelle che restano, una fra tutte: l’ENI.

Ma non è stato sempre così.

Il 18 gennaio 2008, ENI e Gazprom, compagnia energetica russa, hanno costituito la società South Stream AG (50% Eni, 50% Gazprom), che avrà l’obiettivo di completare entro la fine del 2008 lo studio di fattibilità tecnico, economico e politico per la realizzazione del gasdotto South Stream.

dal sito www.eni.com

Eni e Gazprom costituiscono la società South Stream AG

http://www.eni.com/it_IT/media/comunicati-stampa/2008/01/18-01-08-eni-gazprom-costituiscono-societa-south-stream.shtml?menu2=archivio-media&menu3=comunicati-stampa

Il South Stream avrebbe portato dalla Russia all’Italia e all’Unione Europea 30 miliardi di metri cubi di gas all’anno.

South Stream, il Flusso Meridionale

http://it.wikipedia.org/wiki/South_Stream

Nel corso del primo trimestre 2008, il Governo italiano e il Governo russo, Eni e Gazprom si incontrarono per definire il percorso per il raggiungimento degli accordi intergovernativi con i diversi Paesi di transito del gasdotto. Il progetto sarà presentato alla Commissione Europea e discusso con le altre istituzioni dell’Unione Europea.

Una curiosità: L’ex presidente del Consiglio italiano, Romano Prodi, ha più volte rifiutato l’offerta ricevuta da parte di Aleksej Miller, vice ministro dell’energia russo e presidente del consiglio di amministrazione della Gazprom, di diventare presidente della società South Stream AG, sulla scorta di quanto era avvenuto per il Nord Stream con l’ex cancelliere tedesco Gerhard Schröder.

Prodi alla guida del gasdotto «South Stream». Il Professore: «Per ora no grazie»

http://www.corriere.it/politica/08_aprile_28/prodi_gas_099a09fa-150f-11dd-805d-00144f02aabc.shtml

Sappiamo tutti com’è andata a finire. Il progetto oggi in auge è quello di realizzare il “Nabucco”, che l’Unione Europea ha preferito e di cui ha finanziato il 50% dei costi dello studio di fattibilità.

Nabucco (gasdotto)

http://it.wikipedia.org/wiki/Nabucco_(gasdotto)

Il progetto Nabucco si propone di portare in Austria ed in Europa il gas iraniano e siriano, ma tra le aziende che fanno parte del gruppo, non solo non figura nessuna azienda italiana, soprattutto non c’è nessuna azienda né partecipazione iraniana o siriana al progetto.

Ora per cortesia non chiedetemi e non chiedetevi perché stiamo per invadere la Siria e l’Iran. Un dato interessante, piuttosto, è che il gasdotto Nabucco attraverserà in lungo l’intera Turchia.

Siria: la Nato mira al gasdotto – Fonte: Il Manifesto

http://www.marx21.it/internazionale/pace-e-guerra/7677-siria-la-nato-mira-al-gasdotto.html

Di Pietro ottiene revoca onorificenza Assad – Fonte: Italia dei Valori

http://www.italiadeivalori.it/interna/18731-idv-ottiene-revoca-onorificenza-al-dittatore-assad

Non c’è solo il gas russo.

Come sappiamo molto bene, l’Italia aveva rapporti storici privilegiati con la Libia, che garantiva all’Italia il 60% delle sue esportazioni di petrolio e gas.

Per capirci, a Francia e Gran Bretagna insieme andava solo il 6%.

Il “Nabucco”, quel gasdotto che se mai verrà realizzato, invece porterà il gas iraniano e siriano fino in Austria, percorrerà tutta la Turchia, ed ecco spiegato come anche la Turchia sia così in auge nei fatti sporchi delle politiche estere europee, esclusi i PIIGS ovviamente. Ed ecco spiegato anche il motivo per cui i russi sono così sensibili alle sorti dei siriani e dispiegano forze militari proprio ai confini con la Turchia e l’Azerbaijan.

Ora ditemi, sarebbe mai stato possibile mettere in difficoltà economica un’Italia che aveva rapporti storici privilegiati con la Libia, perfino se privata di una moneta sovrana?

La risposta è No, non sarebbe stato possibile.

E per quale motivo il governo italiano aveva stabilito con successo rapporti privilegiati con la Russia per la costruzione del South Stream, che avrebbe portato il gas russo direttamente in Italia ed avrebbe evitato la necessità di invadere Siria ed Iran, uccidere migliaia di persone e forse provocare un’altra guerra mondiale?

Certamente per motivi molto diversi dalle argomentazioni dei sostenitori del bungabunga e delle questioni etnico-religiose. Sostenitori che non sono nemmeno italiani, quegli italiani che non sono capaci di pensare in proprio nemmeno le stupidaggini da rivista da parrucchiere che pensano.

Eppure, il 28 Novembre 2011, Il Corriere della Sera esce con un articolo che argomenta sulla necessità di privatizzare ENI, ENEL e Finmeccanica.

Perché il governo deve privatizzare ENI, ENEL e Finmeccanica

http://www.effedieffe.com/index.php?option=com_content&task=view&id=68915&Itemid=152

Ora io dico, pensate che sarà remunerativo aver preferito Il Nabucco al South e Nord Stream, dovendo fare la guerra ed invadere quei paesi da cui vogliamo prelevare il gas?

Senza tener conto che i russi ci restano un tantinello male anche loro perché non compreremo più il loro gas? Senza tener conto che così facendo saremo costretti a giustificare la privatizzazione di ENI?

Visto che ci siamo voglio parlarvi anche di moneta

Il 6 Marzo 2009, il ministro delle finanze Giulio Tremonti, eletto dai Cittadini, dichiarava che “gli stati hanno rinunciato alla sovranità monetaria per la moneta privata”.

http://www.youtube.com/watch?v=HVVa–bZIa0

E che fine ha fatto, dove è finita l’applicazione della legge 262 per rinazionalizzare la Banca d’Italia SpA pubblicata sulla gazzetta ufficiale il 28 Dicembre 2005 ed attuata il 24 Ottobre 2006?

” Disposizioni per la tutela del risparmio e la disciplina “

http://www.camera.it/parlam/leggi/05262l.htm

Tale legge è atta a ritrasferire allo Stato ed agli enti pubblici, entro il 2008, le quote di partecipazione a Bankitalia attualmente in mano a imprese private,

(Art. 19, comma 10).

Semplice, pensano di aver risolto Prodi , Padoa Schioppa e Napolitano il 12 Dic. 2006, quando sotto le festività natalizie hanno modificato, zitti zitti, l’Art. 3 dello statuto di BankItalia.

Il vecchio Art.3 dello statuto di Bankitalia citava:

“In ogni caso dovrà essere assicurata la permanenza della partecipazione maggioritaria al capitale della Banca da parte di enti pubblici o di società la cui maggioranza delle azioni con diritto di voto sia posseduta da enti pubblici.”

Nel nuovo Art. 3 questa garanzia è scomparsa per magia e sappiamo bene chi ringraziare.

Ma una legge dello Stato emessa dal Parlamento della Repubblica deve essere applicata anche se ad un anno di distanza lo statuto di Bankitalia viene modificato. Qualcuno risponda a questa domanda:

Cosa aspettiamo ad applicarla? Forse lo statuto di una banca privata ha un effetto riducente e retroattivo rispetto ad una legge dello Stato?

Forse la mancata applicazione del riassetto proprietario entro tre anni dall’entrata in vigore della legge è “interpretabile” come scadenza della norma?

L’articolo 19 comma 10 della Legge 262/2005 recita:

Con regolamento da adottare ai sensi dell’articolo 17 della legge 23 agosto 1988, n. 400, è ridefinito l’assetto proprietario della Banca d’Italia, e sono disciplinate le modalità di trasferimento, entro tre anni dalla data di entrata in vigore della presente legge, delle quote di partecipazione al capitale della Banca d’Italia in possesso di soggetti diversi dallo Stato o da altri enti pubblici.

La Legge 28 dicembre 2005, n. 262 è legge dello Stato tuttora in vigore e non ha scadenze fintanto che sarà in vigore.

Bankitalia deve essere controllata dallo Stato, dalla Repubblica Italiana.

Non è un’idea nuova da diffondere, è già stato deciso sette anni fa.

Soprattutto, non è un’idea rivoluzionaria. La “rivoluzione” non è quella cosa che dobbiamo fare, è ciò che stiamo subendo, è la cosa da cui dobbiamo difenderci.


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