Oggi su La Stampa c’erano due notizie allarmanti, ma che purtroppo rispecchiano la dura e triste realtà dell’Italia: nella prima si legge che quasi sette milioni di italiani sono in difficoltà economiche, nella seconda che i giovani, oltre a essere disoccupati, hanno perso le speranze e non studiano e nemmeno cercano un lavoro. Per chi, come me, ha iniziato a lavorare duramente subito dopo la Scuola Media, questo fatto é difficile da comprendere. Forse i giovani d’oggi avrebbero bisogno di rimboccarsi le maniche e accettare lavori anche poco nobili, senza paura di sporcarsi le mani. Ma penso che effettivamente di lavoro in Italia non esista quasi più, pulito o sporco che sia. Certo é che sono due notizie tristi, perché in ogni caso quando perdi la speranza c’é ben poco da fare. Avrei voglia di dire di continuare ad essere ottimisti e non abbattersi troppo, di reagire e di trovare altre alternative, ma é una cosa più facile a dirsi che a farsi.
Debiti, paure, sfiducia verso la classe politica. È la fotografia dell’Italia scattata dall’Istat nel primo rapporto sul Benessere equo e sostenibile, presentato insieme al Cnel. In particolare, tra il 2010 e il 2011, l’indicatore della “grave deprivazione” sale dal 6,9% all’11,1%, ciò significa che 6,7 milioni di persone sono in difficoltà economiche, con un rialzo di 2,5 milioni in un anno.
La crisi ha fortemente intaccato il potere d’acquisto delle famiglie. Il reddito disponibile in termini reali si è ridotto in 4 anni, dal 2007 al 2011 del 5%, portando molti a intaccare i risparmi per far fronte alle esigenze, risparmiano meno o addirittura indebitandosi: la quota di persone in famiglie che hanno ricevuto aiuti in denaro o in natura da parenti non coabitanti, amici, istituzioni o altri è passata dal 15,3% del 2010 al 18,8% del 2011 e, nei primi nove mesi del 2012, la quota delle famiglie indebitate è passata dal 2,3% al 6,5%.
L’Italia è il paese europeo che, dopo la Spagna, presenta la più forte esclusione dal lavoro dei giovani e l’unico con bassissime opportunità di occupazione regolare. Solo poco più di tre giovani su dieci lavorano con un tasso di occupazione del 33,8% tra i 20-24enni. Insieme ai giovani ad essere penalizzate sono anche le donne e gli abitanti del Sud con tassi di occupazione del 49,9% e del 47,8% rispettivamente. Sul fronte del paesaggio e del patrimonio culturale l’Italia è un Paese ricco che però non ha cura delle sue ricchezze, spende troppo poco per preservarle e valorizzarle, non fa rispettare integralmente le norme che dovrebbero tutelarle. Unico dato consolante del Rapporto quello sulla consapevolezza degli italiani in materia, che è cresciuta negli anni e ha portato poco più di un quinto dei cittadini a preoccuparsi per il depauperamento di queste risorse.
Infine, la politica. Su una scala da zero a dieci il voto di fiducia media dei cittadini italiani verso i partiti si ferma a 2,3, laddove e’ in grave calo anche la fiducia nell’altro in senso lato.
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In Italia aumenta una categoria di giovani scoraggiati e delusi che si sta lasciando andare, sono i cosiddetti Neet (Not in Education, Employment or Training), ragazzi tra i 15 e i 29 anni che non studiano, non lavorano, non sono in formazione e – ormai, dopo molti tentativi – non cercano più neppure un lavoro. Nel 2009, anno di inizio della crisi, i Neet erano il 19,5% di questo segmento di età. Due anni dopo (2011) erano cresciuti di oltre tre punti percentuali (22,7%). Il dato è contenuto all’interno del Rapporto Bes (il benessere equo e sostenibile in Italia) presentato stamattina dall’Istat e dal Cnel alla Camera ei Deputati. Il dato sui Neet è particolarmente allarmante in quanto spia di un disagio estremo, prima di tutto psicologico, che diventa particolarmente acuto se si considera che tra tutti i Neet, l’8,8% è costituito da laureati che, quindi, non possono neppure accedere ad un livello più alto di formazione per potersi rimettere in gioco.
Tra i Neet la maggioranza è costituita da donne, del Sud e con un titolo di studio scarsamente spendibile.
Speculare al fenomeno dei Neet è quello dell’abbandono scolastico che condanna ad una condizione di marginalità lavorativa e sociale specialmente i ragazzi che vengono da famiglie con bassi livelli di istruzione. Tra chi abbandona gli studi prima del tempo, il 29,7% ha genitori con licenza elementare o di scuola media, il 7,8% procede da famiglie di diplomati e solo il 2,9% di chi abbandona ha i genitori laureati.