“Difret – il coraggio di cambiare”, visto ieri sera nell’appuntamento settimanale del cineforum, è un film che ha ottenuto diversi riconosciuti importanti nel corso della passata stagione, facendo breccia soprattutto fra la gente, come testimoniano le vittorie in serie ai Festival internazionali di Berlino e Montreal, a quello del cinema di Amsterdam e al Sundance, votato all’unanimità appunto con il Premio del Pubblico.
Quindi, se a essere carente può sembrare la regia, forse modesta considerato però i mezzi tecnologici non ricchissimi, ciò non si può certo dire di una storia che non lascia indifferenti, così come in generale il tema trattato.
Tratto da una storia vera, e ambientato nel 1996, in Etiopia, racconta due storie di coraggio e determinazione: quella della giovanissima Hirut, vittima prima di rapimento a scopo matrimonio e poi di stupro da quello che – a forza – avrebbe dovuto sposare, e dell’avvocato Meaza Ashenafi, rappresentante un’associazione di sole donne avvocato che, gratuitamente, offrivano il loro aiuto alle famiglie più povere che si fossero trovate in situazioni difficili in fatto di violenza.
In Etiopia, come in altre parti dell’Africa più selvaggia, lontane dagli agglomerati urbanistici delle città, vigeva ancora la regola non scritta ma assai codificata dalle tradizioni della campagna, che un uomo potesse “scegliere” la propria fidanzata, finanche rapendola, quando questa non fosse stato d’accordo. Solitamente le donne, anche perchè poco istruite, accettavano con rassegnazione la cosa, e il caso di Hirut, disperata e rassegnata a una vita simile con la persona che non amava, fece scalpore perchè la ragazza, scappata dopo essere stata violentata, per sua legittima difesa sparò all’uomo, uccidendolo.
L’intervento della polizia la salvò dal branco degli amici dell’uomo, pronti a ripagare con la stessa moneta quel gesto, ma non la pose al riparo da quella che sarebbe stata la sua inevitabile condanna a morte.
La bravissima attrice Meron Getnet che nel film interpreta Meaza Ashenafi
Solo la determinazione, il coraggio, la bontà della giovane avvocato Meaza, unita a una sorta di sfida a un sistema di giustizia locale che ancora manifestava forti disuguaglianze sociali tra le condizioni dei maschi e delle femmine, riusciranno a ribaltare il giudizio sommario della causa, sancendo di fatto un vero precedente in campo giuridico per la storia moderna non solo dell’Etiopia, ma di tutta l’Africa, aprendo così la strada anche alla risoluzione di altri fatti simili.
Un caso che dimostrerà quanto sia importante l’evoluzione della società, di pari passo con una cultura che talvolta è necessario frapporre a un certo tipo di tradizione, specie quando questa prevarica sulla giustizia.
Il film, ottimamente interpretato, fa riflettere, incavolare, “tifare” per il buon esito e un plauso va alla produttrice Angelina Jolie, da tempo impegnata con progetti concreti nel sociale, di aver portato alla luce un fatto di tale importanza, esportandolo dal contesto africano.
Meaza Ashenafi nel 2003, quindi già 7 anni dopo i fatti narrati, è stata insignita del Premio Nobel Africano per il suo impegno a difesa dei diritti delle donne in Etiopia, strada che – come ci dicono i titoli di coda del film – sta intraprendendo con successo anche Hirut.