Sono andata a vedere Romanzo di una strage. Non potevo non farlo, visto che quella bomba distrusse anche la mia prima adolescenza. Avevo quattordici anni, quasi quindici e frequentavo il primo anno di Liceo artistico (quello vero) in quel di Verona. La notizia della strage in piazza Fontana deflagrò dentro alla mia giovane anima e nulla fu più come prima. Non più spazio per le scempiaggini della mia età e per i sogni che non fossero quelli circoscritti entro il sole dell’avvenire. Il buio calò sulla mia generazione portandosi appresso la voglia di ridere. Noi giovanissimi eravamo particolarmente seri e la lotta al fascismo e al capitalismo divenne l’unico argomento delle nostre conversazioni. Eravamo cuccioli molto presuntuosi come solo i cuccioli sanno essere. Eravamo in guerra con altri cuccioli di colore diverso, entrambi mossi da forti ideologie contrastanti. Facevamo parte di un gioco più grande di noi, ma noi ci sentivamo così parte della nostra Storia che questo bastava per farci sentire come non potevamo essere. Non so dirvi se mi piacque muovere i primi passi della mia autonomia in quel periodo, certo non fu una passeggiata. Del film dico solo questo: concordo con la figlia di Pinelli quando sostiene che pur non essendo il commissario Calabresi un assassino, fu certo il maggior responsabile della morte di Pinelli. Tre giorni chiuso in questura senza mangiare e dormire in netto contrasto con i diritti di un cittadino. Il Commissario Calabresi non avrebbe dovuto permetterlo, se fosse stato il personaggio buono e trasparente che emerge dal film. Aveva le sue belle contraddizioni, ma nel film queste non trapelano e non è giusto ai fini di una comprensione più obiettiva e anche umana del personaggio. La morte di Calabresi è come tutto quel periodo avvolta nel mistero, nonostante la testimonianza di Marino e la successiva condanna di Sofri. Allora non si aspettava molto per vendicarsi di un compagno o di un camerata morto. Sono invece trascorsi tre lunghi anni dal salto nel vuoto al sangue sull’asfato: troppi per una resa dei conti. Chissà, se mai sapremo le tante verità nascoste che caratterizzarono gli anni della mia giovinezza. Cossiga sapeva tutto e, come un faraone, si è portato il ricco bagaglio nella tomba.
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