Dilaga la corruzione, anche nel tessuto delle piccole e medie imprese. Sono i piccoli appalti e le commesse minori la nuova frontiera della tangente.
(marketmovers.it)
E’ quanto emerge da un’indagine dell’Adnkronos: 5 pmi su 10 hanno rifiutato almeno una richiesta di denaro per concludere un affare nel corso dell’ultimo anno; 2 imprese su 10 ammettono di aver pagato una tangente, sotto una qualsiasi forma; 4 su 10 pensano che possano essere costrette a farlo in futuro.
Significativo anche il dato che riguarda le mancate denunce: delle imprese che hanno ricevuto richieste di denaro, solo 1 su 10 si è rivolta alle forze dell’ordine. Altrettanto eloquente la rassegnazione degli imprenditori di fronte a quello che viene percepito come un ‘sistema consolidato’: 8 imprese su 10 pensano che le proprie possibilità di chiudere affari sia influenzata da tangenti pagate da altri.
Il fenomeno è diffuso sia nelle contrattazioni tra privati sia nei rapporti con la pubblica amministrazione. Nel primo caso, le imprese si trovano spesso a dover pagare intermediari per vincere gare d’appalto improvvisate e condotte senza regole. Un fenomeno, questo, che viene segnalato in crescita rispetto al più tradizionale ricorso alla bustarella per tentare di pilotare gli appalti pubblici, che ha aumentato la sua diffusione tra quelli di importi ridotti, abitualmente ‘frequentati’ dalle piccole e medie imprese.
Uno tra gli imprenditori che ammette di aver pagato per ottenere lavori accetta di parlare con l’Adnkronos della sua esperienza, ovviamente dietro assicurazione di anonimato. Le tangenti, spiega, “non sono più solo quelle di una volta, anche se la bustarella per corrompere l’ufficiale pubblico resiste ancora”. Quasi sempre, soprattutto per le imprese più piccole, si tratta di corruzione di basso livello, che coinvolge il geometra del piccolo comune o il responsabile della sicurezza di un cantiere. Per non parlare dei vigili urbani. “Per chiudere un lavoro da 100 mila euro bisogna metterne almeno in conto 10mila da investire per oliare gli ingranaggi della burocrazia”, sintetizza l’imprenditore. Un’altra forma sempre più diffusa di corruzione, prosegue, è quella che riguarda l’intermediazione per ottenere appalti e commesse: “si pagano vere e proprie commissioni, spesso anche ad altre imprese, che girano lavori, concedono subappalti e gestiscono anche micro gare senza alcuna regola o garanzia”. E, allora, perché non denunciare e chiedere legalità? La risposta è rassegnata. “Perchè da solo non puoi cambiare nulla, ottieni un solo risultato, spesso irreversibile: non lavori più“. Questo, fa notare l’imprenditore, “senza considerare tutti i rischi, personali e per l’azienda, per eventuali ritorsioni”. Perchè, spiega, “l’altro aspetto che si sottovaluta è che la corruzione è spesso strettamente legata a fenomeni e comportamenti malavitosi”.
Il quadro descritto trova riscontro nei numeri sul fenomeno corruzione a livello nazionale. Un recente rapporto Price&Waterhouse per l’Olaf, l’agenzia anti-frode europea, quantifica in 120 mld di euro la somma sottratta ogni anno all’economia europea dalle tangenti. E l’Italia, dati confermati anche dalla Corte dei Conti, pesa per la metà del totale, con circa 60 miliardi. Lo stesso rapporto evidenzia che le possibilità che in Italia un appalto pubblico sia viziato dalla corruzione arrivano al 10% delle gare. Un dato che è tre volte quello francese e più di dieci volte quello olandese, sostanzialmente in linea con paesi come la Romania e l’Ungheria, da poco entrati nell’Unione Europea. Il rapporto conferma che il problema principale per l’Italia sono le gare truccate, con vincitori già stabili a monte: riguardano il 63 per cento delle violazioni delle regole. Meno diffuso il conflitto di interesse, l’attribuzione a parenti o amici di lavori e commesse, che viene riscontrato nel 23 per cento dei casi.
Del resto, anche uscendo dall’Europa e confrontandosi con il resto del mondo, il confronto resta impietoso. Transparency international, l’indice di percezione della corruzione, colloca l’Italia al 69° posto nel mondo. E anche per la Banca Mondiale il nostro Paese è agli ultimi posti in Europa.