Si svegliò di soprassalto. Tachicardia, respiro mozzato, occhi sbarrati, un impiastro di sudore, l’angoscia nel petto. Cos’era quel sogno: un’impressione, una reviviscenza, un presagio. Nella memoria abbagliata dal disorientamento rimaneva la teoria di alcune immagini che evocavano come uno strappo dell’anima. E più cercava di afferrarle per la coda e più il ricordo, evanescente, gli sfuggiva. Si rese conto di avere sete, e, con un certo sforzo, ancora suggestionato, si alzò dal letto. Ma subito s’impietrì. Uno stiletto gli s’infilò nella mente. Dove si trovava? Cercò di organizzare i pensieri. La porta della camera in fondo al letto. Ma non era di lato? E l’armadio allora? Voltò la testa e lo ritrovò al posto della finestra. A tre ante, di legno scuro, noce forse. Mai visto. Pazzesco. E la finestra? Ovviamente sulla parete opposta.
Stava ancora dormendo. Non c’era altra spiegazione. Sì, il sogno di un sogno, uno dentro l’altro tipo scatole cinesi. Di sonno in sonno. Gli era capitato qualche volta. L’unico dato reale era che sentiva la necessità di bere. Perplesso, con passo incerto, uscì allora dalla camera – laddove avrebbe dovuto esserci l’armadio e invece c’era una porta – e passò nel corridoio. Nell’oscurità intravide dei quadri, una ribaltina, altre porte, quattro o cinque, l’uscio di casa. Un ambiente elegante, segno di un gusto piuttosto raffinato nell’arredare.
Si diresse quindi verso quella che doveva essere la cucina. Accese la luce. Sì, lo era. All’americana, open space e acciaio. Costosissima, rifletté, difficile da tenere in ordine e soprattutto, da pulire. Notò che tutto era al proprio posto, i lavelli senza un graffio. Pareva nuova, mai usata, Aprì il frigorifero, prese la bottiglia dell’acqua e bevve a garganella. I ripiani erano colmi di ogni ben di Dio, tanto che dovette reprimere la voglia di assaggiare qualcosa. Spense la luce e ritornò lentamente sui propri passi.
Giunto sulla soglia della camera da letto, però, si bloccò. Il taglio di luce che filtrava attraverso le imposte gli mostrò un piumone bianco e una sconosciuta – corpo sottile, lunghi capelli biondi – che semisdraiata lo guardava con aria assonnata. Lei chi era.
<< Qu’est-ce qu’il y a? >>. << Rien, j’avais soif >>.
Nel rispondere sussultò. Da quando in qua parlava francese. Che stava succedendo. Per un attimo si smarrì, ma la giovane donna – piuttosto giovane, sì – parve non badarci. << Viens, j’ai froid >>, sussurrò invece con la voce sottile impastata di sonno. Esitante, la raggiunse sotto il piumone, con l’animo sempre più confuso. Non sapeva proprio cosa pensare. Era tutto così irreale. Non poteva che trovarsi in un sogno, eppure gli sembrava di provare sensazioni troppo vivide, quasi trasfigurate.
Mentre ancora si stava distendendo, la schiena di lei gli aderì al fianco, come fa una gatta che ha voglia di carezze. Accadde a questo punto qualcosa di ancora più sorprendente. Se la mente non riusciva ad inquadrare la situazione, e un’indefinita sensazione di panico stava ormai impossessandosi di lui, il corpo pareva aver immediatamente riconosciuto la misteriosa creatura che gli giaceva accanto. E iniziò a mettere in atto una sequenza consecutiva di movimenti automatici che non gli appartenevano, ma doveva aver acquisito chissà quando. Le mani sollevarono la camiciola da notte della donna e presero a vellicarle delicatamente il dorso nudo. Poi il viso si affondò tra il collo e le spalle di lei, in mezzo ai lunghi capelli, e inalò profondamente il suo profumo dolce. Dalla bocca gli uscirono alcune espressioni, soavemente oscene, che mai aveva pronunciato sino ad allora. Lei arcuò le labbra in un sorriso complice, e, mentre lui si sfilava i pantaloni del pigiama, gli appoggiò i glutei nell’angolo tra il basso ventre e le cosce. Con un movimento morbido spinse quindi il bacino all’indietro e si lasciò penetrare, emettendo un piccolo gemito.
Lo squillo della sveglia lacerò il silenzio. Lui si voltò, allungò un braccio fuori dal lenzuolo e, dopo qualche tentativo a vuoto, riuscì a spegnerla. Le sei e mezza. Che sogno. Angosciante. No, non angosciante. Straniante. Persino curioso. Svegliarsi in una casa che non è la propria, accorgersi di aver smarrito le coordinate, esplorare una dimensione inaspettata. E ritrovarsi accanto una giovane sconosciuta, rassicurante e sensuale. Non essere più se stessi. Avvertì un’immediata fitta di nostalgia per quello stato di serena incoscienza. Per quell’esistenza alternativa che gli era balenata così chiaramente. Per quella figura esile e dolcissima nella quale aveva amorevolmente sciolto la propria eccitazione.
Ancora intorpidito, cercò di ragionare. La sua, per così dire, reincarnazione non aveva fatto tabula rasa dell’esistenza precedente. Aveva conservato alcuni ricordi sconnessi che erano diventati però incongruenti, se non in palese conflitto, con la nuova vita. Ciò gli aveva procurato un certo grado di sconcerto, di disorientamento. Si era sentito come scisso, dissociato. Ma probabilmente, di lì a poco, la mente si sarebbe plasticamente adattata a quelle mutate circostanze. Avrebbe cominciato a ragionare in quella situazione inedita. Avrebbe sviluppato abitudini ed interessi. Forse avrebbe maturato potenzialità e abilità fino a quel momento latenti o ignorate. Magari sarebbe persino riuscito ad essere felice…
Perso in tali considerazioni, si girò pigramente verso l’altra metà del letto. Si riscosse all'istante. Due occhi chiari lo stavano fissando, sgranati. La donna del sogno, i capelli arruffati, sembrava sorpresa. Trasalì. Che ci faccio ancora qui, pensò sgomento, che ci fa lei, che mi sta succedendo. Un senso di vuoto impenetrabile gli crollò di schianto nel petto.
La bocca sottile di lei si schiuse invece in un sorriso soffice. << C’est dimanche… Dors… Dors encore un peu, mon chéri…>>.
<< Si tu savais… J’ai fait un rêve très bizarre…>>.