Una comunità tutta al femminile vive in una fattoria veneta; ci sono due giovani donne , Claudia e Anna, zia Marta e la balia/servitrice della casa l’anziana Caterina.
Le quattro donne convivono senza grossi problemi.
Anna è in pratica colei che si occupa della fattoria, dei raccolti e della gestione vera e propria della casa che è di proprietà di Marta una ex cantante lirica a riposo dal bel passato e dal carattere gioviale.
Claudia invece è un’orfana accolta nella casa e che lavora come maestra insegnando ai bambini del vicinato e gestendo anch’essa la fattoria alla quale presta la sua opera.
Marta ha un fratello, che ha vissuto con lei per molto tempo, prima di trasferirsi a Milano per impiantare un’attività di vendita di auto d’epoca.
L’uomo, Nicky, arriva nella fattoria con il compagno Picchio, che è un suo meccanico e che è legato a lui da un legame sentimentale.
L’arrivo dei due uomini porta una ventata di novità nella vita abitudinaria delle donne che abitano la fattoria e porta sopratutto a Nicky un malinconico “amarcord” della sua vita passata, quando da bambino scorazzava felice per i campi.
L’uomo ricorda quindi le sue prime pulsioni sessuali, l’amichetto assatanato che spiava le contadine che facevano il bagno nel fiume, tutta un’infanzia in fondo felice trascorsa in un posto ameno e vissuta con l’ingenuità tipica del bambino prima e adolescente poi.
Durante una festa matrimoniale a cui partecipano tutti gli abitanti della fattoria, Nicky incontra proprio il vecchio amico Rossino, quel bambino che gli aveva in qualche modo rivelato il mondo della sessualità, oggi sposato e padre di cinque figli.
Durante la festa, Rossino chiede a Marta di cantare arie del suo passato canoro, ma lo sforzo evidentemente (unito all’emozione) si rivela fatale per la donna; appena tornata alla fattoria la donna è colpita da un infarto e muore.
E’ come se l’incanto e la magia del passato venissero di colpo cancellati, lasciando il posto all’amara consapevolezza che il tempo è irrimediabilmente passato.
Privi del punto di riferimento di Marta, il vero collante che univa tutti, gli occupanti della casa decidono di trasferirsi.
Picchio, che è ormai in profonda crisi sentimentale con Nicky, porta con se Claudia e Anna (con la quale ha tentato di avere invano un rapporto sia sentimentale che sessuale), la vecchia balia Caterina decide di trasferirsi da un parente e l’ormai solo Nicky resta nella fattoria, indeciso sul da farsi, forse ancora legato a quel mondo ormai completamente dissolto che lo àncora al passato…
L’infanzia e l’adolescenza sono periodi bellissimi, indimenticabili e purtroppo irripetibili; se il ricordare i bei tempi passati può significare tuffarsi in un mondo ingenuo e incantato e conseguentemente guardare ad essi con un vena di sottile rimpianto, vivere in funzione di essi, rifiutarsi di crescere o peggio, pensare che si possa vivere in una specie di limbo incantato è un qualcosa che rischia di trasformarsi in una prigione di ricordi dalla quale si può uscire solo a prezzo di scelte dolorose e dell’obbligatorio passaggio all’età adulta.
I quattro personaggi principali di Dimenticare Venezia sono omosessuali, quindi vivono una situazione che già di per se tende ad allontanarli da quella che è la comunità dei “normali”, anche se poi in fondo la loro omosessualità è colpevolizzata solo dai soggetti che la vivono come una condizione in cui predomina il disagio.
Claudia e Anna, Nicky e Picchio in qualche modo si assomigliano sopratutto perchè tendono a rifugiarsi nel mondo dell’infanzia a scapito di un’età anagrafica ben lontana da quella dell’adolescenza
Forse non accettano la loro condizione di gay e lesbiche, forse sentono su di loro il peso di un rapporto che la società considera contro natura.
Non dimentichiamo che siamo sul finire degli anna settanta e che se la società ha fatto passi da gigante nel campo delle conquiste sociali (divorzio e aborto, pari dignità fra uomo e donna), i pregiudizi sull’omosessualità sono ancora profondamente radicati.
Colpa di tabù atavici, colpa anche dell’educazione religiosa repressiva della sessualità intesa già nella sua forma “normale” come sporca e moralmente discutibile, colpa di una società che non accetta il diverso in nessuna forma, che sia una diversità fisica (handicap di tutti i generi) o che sia una diversità sessuale.
Franco Brusati racconta tutto questo in un film che si sposta impercettibilmente su vari fronti, portando in scena i ricordi e il disagio, l’infanzia e l’età adulta, l’amicizia e l’amore; lo fa adottando uno stile narrativo che sembra rifarsi al cinema di Visconti o a quello di Bergman, quanto meno nelle atmosfere, nella scelta della lentezza dei dialoghi introducendo anche il meccanismo della ripresa dei ricordi con il personaggio fisicamente presente sulla scena, in una specie di sdoppiamento tra l’io presente e quello del passato.
Emblematica è la sequenza dei ricordi di una festa di compleanno di Marta, in cui Nicky è seduto sulla scala e guarda passare sua sorella Marta a cui è stata preparata una bellissima e intensa festa a sorpresa.
Eleonora Giorgi
Mariangela Melato
Lo snodo principale del film è probabilmente questo, il momento cruciale in cui il peso dei ricordi deve fare i conti con il presente, con l’età adulta dei protagonisti che oscuramente sentono di dovere un pesante tributo proprio alla loro adolescenza.
Il tempo però non lo si ferma, i ricordi devono restare tali per poter vivere il presente.
Un presente che è la somma algebrica di ciò che abbiamo fatto e di ciò che eravamo a cui va obbligatoriamente aggiunto il carico delle esperienze presenti; e che deve tener conto che, per dirla alla Rossella O’Hara “dopotutto domani è un altro giorno”, ovvero il chiudere una porta e aprirne un’altra, giorno dopo giorno, attimo dopo attimo se vogliamo.
Il film di Brusati è molto intenso, intriso di momenti di malinconia alternati a momenti di gioia prima del finale che riporta tutti i personaggi alla loro dimensione giornaliera.
Un quotidiano che tutti sentono di dover affrontare spogliati dal peso (anche se dolce) dei ricordi e simboleggiato dall’abbandono della vecchia casa fattoria in cui tutto si era fermato, incluso il tempo e in cui la presenza di Marta fungeva da cordone ombellicale con il passato.
Dimenticare Venezia è quindi un film nostalgico, un film malinconico, un film a tratti commovente a tratti leggero e sottilmente ironico.
E’ anche un film che ha subito un ipocrita e ingiustificato ostracismo, principalmente a causa dell’argomento trattato, quell’omosessualità che ha sempre spaventato registi e produttori (almeno nel passato).
Brusati, regista nato a Milano e morto nel 1993 all’eta di settanta anni ha diretto come regista solo 8 film, tra i quali l’ottimo Pane e cioccolata; per Dimenticare Venezia, uscito nel 1979 nelle sale cinematografiche sceglie un cast di notevole spessore e assolutamente consono alla storia raccontata.
Mariangela Melato interpreta Anna, personaggio tormentato e spigoloso, che tenterà di uscire dalla sua personalissima condizione concedendosi a Picchio, con risultati nulli; la Melato, una delle attrici più brave e preparate del nostro cinema (oltre che del nostro teatro) disegna un personaggio pressochè perfetto, mentre Eleonora Giorgi che interpreta Claudia, pur essendo un filino sotto la Melato se la cava con bravura.
Bene anche il cast maschile con Erland Josephson che alterna momenti lirici a momenti di malinconia, caratterizzando con bravura il difficile personaggio di Nicky.
David Pontremoli e Mariangela Melato
Bravo anche David Pontremoli nel ruolo di Picchio, mentre Nerina Montagnani è la solita sicurezza.
In ultimo, elogio per la fotografia e per le belle musiche di Benedetto Ghiglia. Il film ha vinto il David di Donatello 1979 come miglior film e 2 Nastri d’Argento 1979 per la migliore attrice protagonista (Mariangela Melato) e per la migliore scenografia.
Un film programmato pochissimo e che purtroppo non risulta disponibile in versione Dvd.
Dimenticare Venezia
Un film di Franco Brusati. Con Mariangela Melato, Erland Josephson, Eleonora Giorgi, Hella Petri, Nerina Montagnani,Armando Brancia, Alessandro Doria, David Pontremoli, Fred Personne, Anne Caudry, Domenico Tittone, Patrizia Rubeo, Daniela Guzzi, Pia Hella Elliot, Peter Boom
Drammatico, durata 103 min. – Italia 1979.
Mariangela Melato: Anna
Eleonora Giorgi: Claudia
Erland Josephson: Nicky
Nerina Montagnani: Caterina
David Pontremoli: Picchio
Hella Petri: Marta
Regia Franco Brusati
Soggetto Franco Brusati
Sceneggiatura Jaja Fiastri
Casa di produzione Action Films
Distribuzione (Italia) Rizzoli Film
Fotografia Romano Albani
Montaggio Ruggero Mastroianni
Musiche Benedetto Ghiglia
Scenografia Luigi Scaccianoce
I vivi con i vivi e i morti con i morti; non facciamo casino.
Mamma è a casa che piange perché papà è un porco e va con le altre anche se lei è ancora bella e piacente: guarda che petto.
Quando è morto suo papà, ha voluto il cane vicino! Mai una volta che vogliano il prete!
Le recensioni qui sotto sono prese dal sito www.davinotti.com
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Opera di rara raffinatezza, ma anche di non comune tedio. Mi pare più che altro un esercizio di stile, di alto stile, ma dai contenuti non proprio ben articolati. Resta troppo spesso un senso di pesantezza, come nei flashback, e di sottolineature non necessarie (coma nella “vanitas” del pendolo, richiamata da altri oggetti oblugnhi e dondolanti). Notevoli le prestazioni degli attori, ma è troppo poco per cento interminabili minuti.
Quattro personaggi (due uomini e due donne) si riuniscono in una casa della campagna trevigiana per assistere la sorella di uno di loro, nei suoi ultimi giorni di vita. L’opera più celebrata di Franco Brusati ha un titolo che si riferisce al tentativo di dimenticare l’infanzia e la spensieratezza, accettando la fine delle cose e della vita. Il film presenta una grande raffinatezza formale che talvolta va a scapito della sostanza, a causa di una sceneggiatura dall’andamento vago e non sempre incisiva. Buona la prova degli attori.
Fellini, Bergman, Visconti: del primo si richiamano l’amarcord (c’è Brancia) e gli squarci onirici e circensi; del secondo, la dimensione femminile, il pacato intimismo, la presenza di Josephson; del terzo, la ricerca del pregio estetico di provenienza artistico-letteraria. Nonostante questi nobili riferimenti, si ha da subito l’impressione di assistere più ad un vuoto e ridondante esercizio di stile che ad un saggio di reali doti d’autore: e l’impressione diventa presto certezza. Purtroppo.
Ho trovato il film estrememente interessante, indipendentemente dalle analogie con gli stili di altri registi. Una delle scene erotiche, che giudico molto forte e credibile rispetto al panorama italiano (se si esclude Tinto Brass) è stata ben messa in scena. All’epoca il film ebbe molti giudizi positivi e allo stesso tempo molti che cercarono di ridimensionarlo. Secondo me resta l’opera di Brusati. Splendida e raffinata la colonna sonora.
Difficile rintracciare una qualche originalità in questa ricerca del tempo perduto di Brusati: l’eterno ritorno alla casa paterna che è nido accogliente e tana del lupo, ove assistiamo a un lungo faccia a faccia dei protagonisti con i fantasmi del passato, al termine del quale Nicky e Anna si scoprono essi stessi fantasmi, ansiosi di tornare in vita. Lascia perplessi il modo in cui viene rappresentata l’omosessualità, quasi un retaggio di mala-adolescenza. Venezia, la lirica, la vecchia governante, le festicciole… già visto, debole e fioco come la luce di un crepuscolo, di una candelina…
L’estetismo c’è ma non è sterilmente compiaciuto di se stesso (alla Bolognini) e se sono indubbi i continui riferimenti cinematografici, Brusati li sublima con uno stile personale che evita vacuità citazionistiche, riuscendo a colpire il cuore dello spettatore. Certo, non tutto è perfetto (alcune lungaggini, soprattutto nei flashback, potevano essere evitate e certe figure macchiettistiche spezzano l’atmosfera incantata e atemporale) ma il film resta un’opera d’autore viva e pulsante. Splendidamente sensuale la Melato, bravi tutti gli altri.