“Dimmi perché blogghi in 140 caratteri”: perché mi piace, mi sprona a tenermi informato, mi insegna a scrivere meglio

Da Kobayashi @K0bayashi

Per quasi tutto il 2009 ci siamo sentiti dire che i blog erano morti, che oramai eravamo entrati nell’era di Facebook e dei social network. [...] Perchè abbiamo un blog? Perchè ogni giorno ci prodighiamo nella stesura di fiumi di parole? – Contz

E’ da questa riflessione che Andrea Contino, in arte Contz, ha deciso di far partire la campagna/sondaggio “Dimmi perché blogghi in 140 caratteri“. Il nome dice tutto: è una raccolta di opinioni per raccontare, nello spazio di un tweet (hashtag #whyiblog), le motivazioni che spingono un blogger a investire tempo ed energie nel proprio spazio web.

I risultati in itinere per il momento sono stati pubblicati qui grazie al servizio Curated.by (che consente di collezionare, organizzare e ricondividere i tweet relativi a un determinato argomento in un’unico box embedded che si auto-aggiorna man mano che pervengono nuovi contributi al topic d’interesse), ma non è escluso che in futuro le risposte possano aggregarsi in modalità differenti.

Ma veniamo alla domanda: perché io bloggo? In 140 caratteri –> Bloggo perché mi piace, mi sprona a tenermi informato, mi insegna a scrivere meglio: è la mia casa sul web, e non “scorre via” come i social network.

Forse più d’uno avrà fatto notare all’ideatore dell’iniziativa che 140 caratteri sono davvero pochi per spiegare al meglio il senso della propria presenza in rete. Ecco, un blog serve anche a questo: fissare pensieri, ragionamenti e opinioni con più estensione e profondità, senza preoccuparsi di dover centellinare lo spazio e avendo sempre la sicurezza che – mai come in questo caso – scripta manent, a ogni ora del giorno e della notte, a disposizione (potenzialmente) di chiunque.

Sempre più ricerche ed esperti insistono, negli ultimi tempi, sulla perdita di terreno dei blog a favore di strumenti più versatili e di massa come i social network. Non ci sono dubbi su questo, e numerosi indicatori lo confermano (non ultimo il quasi generalizzato e drammatico crollo dei commenti) ma non per tutti ciò è sufficiente per articolare la propria esperienza digitale.

Lo status update passa e va, la discussione si disintegra in una miriade di micro-interventi e si protrae per qualche ora al massimo, salvo casi davvero eccezionali. Il blog invece rimane lì, punto fermo dell’identità digitale e vero aggregatore dei flussi di coscienza del suo autore, e in questa fortezza solidifica il suo appeal intramontabile capace di sopravvivere a qualsiasi necrologio che il world wide web, a intervalli sempre più ravvicinati, cerca inutilmente di dedicargli.


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