… alle casse della società!
A volte le cose non sono come ce le vogliono far sembrare. A volte basta poco per confondere l’ottone con l’oro e il peltro con l’argento puro. E quello che sta succedendo in questi giorni al Milan ne è l’esempio. Premetto che so già che la mia opinione su questo argomento è impopolare in questo blog. Ma la voglio dire lo stesso, soprattutto perché ne sono intimamente convinto. Vado al punto senza girarci troppo intorno: cedere Ronaldinho è un errore, così come un errore è sostituirlo con Cassano. Puntualizzo: un errore tecnico. Perché per la società la staffetta di «teste calde» è un affare d’oro. Basta fare due conti per capirlo. Dinho oggi guadagna 7.5 milioni di euro netti all’anno. Il giocatore accetterebbe pure un rinnovo al ribasso, limando magari due milioncini, ma sicuramente mai si accontenterebbe dei 3 milioni scarsi sui quali si sarebbero messi d’accordo Galliani e i procuratori del fantasista barese.
Il Milan, se il matrimonio e il contemporaneo divorzio si compiranno, ripartirà da gennaio con un parco attaccanti numericamente invariato ma con un monte ingaggi sgravato di circa 4 milioni, che non è poco. Ed è questa la chiave, a mio giudizio, con la quale bisogna leggere l’operazione. Già, perché in questo momento, con un ottimo Robinho e un Pato rientrante, di tutto avremmo bisogno fuorché di un’altra seconda punta. Tant’è, pazienza. Il problema però è che con questo vai e vieni il Milan abbassa la sua qualità tencica. Non voglio imitare i colleghi dai giusti toni, ma i numeri dello scorso anno parlano chiaro: fatto giocare in un certo modo Dinho rende eccome, è uno dei pochi in grado di mettere tre o quattro volte con facilità l’attaccante davanti al portiere.
Certo, non è il migliore esempio di atleta, andrà pure a ballare e batterà i bonghi, ma si è comunque dimostrato molto più serio di come veniva dipinto quando era in partenza da Barcellona. Ora nessuno mi fraintenda. Se al posto di Dinho non dico arrivasse Messi, ma anche solo uno Snejder, un giovane Pastore o il Kakà del 2007 non ci sarebbe discussione. Ma al posto del suonatore di bonghi arriva un giocatore non giovanissimo, che va per i 29 (e quindi con pochi margini di miglioramento), che è più attaccante che trequartista e che in carriera, conti alla mano, ha segnato con una media di una rete ogni 3.5 partite. Numeri, francamente, che non entusiasmano. E che a livello di classe pura, al netto delle mangiate (che pare appassionino anche il talento di Bari vecchia) non è nemmeno lontanamente paragonabile al nostro attuale numero 80.
Poi c’è l’incognita caratteriale. Dinho sarà quel che sarà, farà tardi la sera, amerà le belle ragazze, ma mai e poi mai in questi anni si sono sengnalati scazzi nello spogliatoio provocati dal carioca, mai una polemica, mai una parola fuori posto. E sfido chiunque a scommettere 10 euro che questo atteggiamento professionale sarà tenuto anche dal nostro prossimo «99». Ora io non dico che vorrei vedere Dinho titolare. Non dico nemmeno che sia giusto pagare quasi come Ibra uno che bene o male è relegato al ruolo di riserva. Sostengo soltanto che può essere ancora una risorsa importante, molto importante. E che privarsene a costo zero sia un errore, considerando che si tratta di un fantasista di appena 30 anni. Roberto Baggio, che correva tanto quanto Dinho, a quasi 40 anni ha saputo ancora essere decisivo. Zinedine Zidane pure. E qui mi fermo.
Capitolo Leonardo. Impossibile non parlane, non fare un accenno a quella che oggi pare più di un’ipotesi, ovvero la sua traversata del Naviglio. La gravità della scelta di Leonardo, se mai si concretizzerà, è dovuta al fatto che quello che i più crudeli lo scorso anno etichettavano come «il modello di Boggi» o «Centovetrine» deve tutto o quasi alla società rossonera e in particolare a Silvio Berlusconi. Quando Leo andò in crisi, alla fine della carriera, Silvio lo richiamò al Milan prima come giocatore (nonostante il fatto che fosse fuori dai giochi praticamente da un anno e mezzo) e poi da dirigente. Lo scorso anno poi gli diede la chance di allenare una delle squadre più prestigiose del mondo senza aver nemmeno avuto un’esperienza con le giovanili, senza aver mai allenato nemmeno i pulcini. Certo, lo ha poi criticato, ma lui, come tutti i “bravi ragazzi” dai quali bisogna guardarsi più che dalla peste, una volta al timone ha pensato bene di invocare “indipendenza e autonomia” quando invece avrebbe fatto bene a seguire i consigli di chi gestisce una club vincente da 25 anni. E che comunque, nel bene o nel male, ti ha scelto e ti paga profumatamente.Ora, dopo essersi fatto allontanare, perché diciamocelo chiaramente, non ha fatto nulla per ricomporre le fratture che si erano create, va ad accettare un offerta di 6 mesi (è già pronto Mou, o in alternativa Spalletti e Guardiola) per allenare la squadra rivale, oltretutto della stessa città. Molte persone, milaniste e non, con cui ho avuto il piacere di confrontarmi su questa ipotesi (sicuramente dolorosa per noi, almeno dal punto di vista umano) hanno bollato la sua eventuale adesione all’offerta di Moratti come un comportamento «infame». Riterrei più giusto l’epiteto di «ingrato». Che forse, per chi ha sempre puntato molto sull’immagine del bravo ragazzo è ancora peggio.
Buon Natale a tutti, di cuore. E Forza Milan sempre e comunque!
Marco Traverso