Renato Greco, Dintorni di nessuno, l’artedeiversi, 2011
Renato Greco, dalla sua sterminata produzione , estrae questo nuovo libro che esamina la figura di Ulisse, il Nessuno del titolo, figura archetipo di un’umanità che fa dell’intelligenza uno strumento sia di civilizzazione che di potere. Ulisse è già un nostro contemporaneo, inquieto , curioso, esploratore del mistero; egli accetta tutte le sfide, riconosce la bellezza e il potere che possiede di riconciliazione.
Nei secoli la figura di Ulisse ha ispirato poeti e pensatori e credo che tutti ricordiamo i versi che gli mette in bocca Dante “ fatti non fummo a viver come bruti/ ma per seguir virtude e conoscenza”
Non intendo proporre una nota di lettura ma mettere in luce la capacità che ha Greco di riportare il mito alla quotidianità, e dalla quotidianità il nostro rispecchiamento . Il cercatore Ulisse è preda delle tentazioni, si lascia sedurre, ma il suo pensiero pencola fra il viaggio e il ritorno, fra la parola ( primo a giocarci con le parole con Polifemo) , il silenzio e il canto. Ogni volta la meta è sempre oltre.
Ho riportato alcune poesie di un corposo volumetto che , come afferma lui stesso, è cresciuto nel tempo e negli anni, in modo disorganico, fino a quando uno stimolo adeguato lo ha spinto a raccogliere i vari scritti sul tema, alcuni già editi, fino a farne un’opera completa.
Non è poeta sperimentale Greco, anzi la sua formazione classicheggiante non è mai stata né rinnegata né abbandonata e gli consente un dettato fluido, armonioso, ben padroneggiato, perfettamente leggibile lungo un percorso di significazione piana e lineare, ma non per questo meno intensa . Greco è sempre stato un poeta attento all’evoluzione/involuzione sociale e quasi tutta la sua produzione si colloca su questo versante etico e civile.
Neppure questo libro però sfugge al suo più profondo sentire: se Ulisse è Nessuno, noi chi siamo? Dove andiamo? Che cosa cerchiamo? E l’amore? E la famiglia? E le prevaricazioni? ….
Intorno a queste domande le poesie cercano risposte, umilmente.
Narda Fattori
SUL CANTORE CIECO
Era cieco. Percorse la sua strada
esaltandosi ai sensi rimanenti.
Non vedendo gli ostacoli passò,
ma soffrendoli sulla propria pelle
alla ricerca del senso perduto.
Sogno la luce, che s’aprisse a squarci.
Non poteva arrestare i propri passi
là dove aveva un tempo incominciato
a modulare il canto.
La sua voce,
sebbene in molti avessero parlato,
ebbe forza di esprimere e valere:
e altre voci lui superava
nel fluire armonioso del cammino
perche non vide mai il mondo in faccia
e lo trasfigurava nel pensarvi.
Egli sapeva le mitologie
ancora in grado di parlare ai sensi
degli uomini colpiti dalla vita
e aveva mutato il desiderio
di luce in pura essenza di poesia.
Pensava trasparenze illuminate
e vi sognava gesti d’amicizia,
femmine dolci al tatto e al sapore,
eleganza di forme e di dettati,
cristallina fiducia di parole.
Venerando la luce e il calore,
non dava peso a insidie e tradimenti
e non trovava un ruolo per se stesso
che lo precipitasse nel dolore.
Egli la luce la recava in petto.
Di sera al calore del fuoco
Ah, viaggiatori sì, ma in pectore,
per i nostri assidui viaggi dell’anima.
Quando,
se si voglia conoscere qualcuno,
si ricorda per caso lo straniero
e un’immagine vista nello specchio.
I compagni , loro, sono bravi ragazzi.
Non accusano che di rado la stanchezza.
Non lamentano sete, freddo, fame.
Sono forti e resistenti come querce
e sopportano bravamente e vento e pioggia.
Non cedono né di giorno né di notte
e sono di un’impavida sicurezza.
Per loro non esiste la fatica
di camminare dall’alba al tramonto.
Il loro respiro, bravi ragazzi,
non si altera alle frequenti salite.
Se si voglia conoscere qualcuno ,
portalo con te in un viaggio
che duri a lungo. Sulle tue strade,
perfettamente lo conoscerai.
Ma quanti d’essi, ormai, tu lasciasti
durante il tuo cammino.
Non fa nulla se, solo, li ricordi
e non segnasti i luoghi in cui riposano.
Per essi il mondo non ha pèiù parole.
Anche se ti fa male, è l’uso. E’ giusto.
Altro ritorno
Fu una novità che apprezzammo
non poco il silenzio che circondava
il luogo dove eravamo tornati
per puro desiderio di vedere
quanto vi avessero influito gli anni
e l’opera perenne del mutare.
Non era questo il punto, poi dicemmo
di fronte al mare. Agli alberi cresciuti
disordinatamente . A poche case
scolorite a mostrare il mutamento.
Alla strada di là in movimento
di un traffico che non si ferma mai.
Ma come eravamo noi cambiati
nell’impari confronto di trenta anni
passati lontani da quelle colline,
che non erano più quelle di un tempo.
Sonetto dell’impossibile ritorno
Non si vede pietra miliare
in questa deserta contrada
a indicare sulla strada
borghi e luoghi ai quali arrivare.
Nessuno ha segnato la strada
di questa scordata contrada
e solo tu vi puoi passare
e non vi puoi ritornare.
Nemmeno tu segni la strada
per poi poterla ritrovare
ed è deserta la contrada
senza un segnale ad indicare.
Il vento inizia a cancellare
presto i tuoi passi sulla strada.
Le lunghe strade
Le strade, le lunghe strade che esistono,
terminano tutte dentro di noi.
I fuochi che ci incantano al tramonto
fondono in unità la nostra luce.
Bello è percorrere le lunghe strade
e andando darsi ai sogni, alle canzoni.
Le sere, denudando le nostre anime,
ci danno una bellezza oltremondana.
Ogni forma, ogni figura che incontriamo,
recano in dono a noi la loro gioia.
Ormai, quando è sera sulle strade,
non c’è passato, gioia, fuor di noi.
La strada adombra il suo gran tesoro
e sulle strade reca l’allegria.
Non v’è mitezza nelle nostre sere
quando strade percorse contempliamo.
Non v’è dolore che ci può toccare
se sulle strade con modestia andiamo.
Le strade non conducono ad una meta,
terminano tutte dentro di noi.
L’abisso di Nietzsche
Non posso dirti il bosco il vento il fiume
mentre si mescola il dentro e il fuori
e l’amore furioso della casa
che rappresenta la stabilità
nel cambiamento e nel rimescolarsi
e ti lascia sfumare te fedele
che resti preso a ogni volo corsa
forza dolcezza di ogni tua notte
scintilla che ti scocca dalla vita
arie estiva e autunno e primavera.
e quanto altro ti colga nello sguardo
diviso fra il vedere e il non vedere.
Ma c’è qualcosa sempre che t’offende
anche quando indifesa la memoria
apra la porta a ciò che fa più male
del passato che sta dentro di te.
Un’ombra greve che ritorni. Oscuro
rovesciamento di ogni luce tua
e piaga che riprende a sanguinare.
“Quando guardi a lungo in un abisso,
anche l’abisso guarda dentro di te”
Renato Greco, poeta di Ariano Irpino, risiede da tempo a Modugno, in provincia di Bari.
Ex quadro marketing nella grande industria Olivetti di Ivrea, che molto ha inciso sulla sua formazione, è vissuto per oltre venti anni a Milano e alcuni anni a Napoli e a Firenze .
E’ laureato in legge e si occupa solo di poesia e , episodicamente, di critica di testi poetici e di saggi sui massimi poeti. Redattore di alcune riviste, fra le quali La Vallisa di Bari, legge poeti del Novecento e contemporanei nelle Università Popolari. Ha pubblicato moltissimo e ha vinto numerosi primi premi in importanti concorsi letterari.