Il nuovo stile
Nel panorama letterario italiano, la ricerca sulla parola quasi non esiste e nell’allucinante e colpevole calma piatta, critici avveduti e lettori appassiona-ti lamentano da decenni l’assenza di originalità nella trama e nello stile. Si è scritto “Dopo Sciascia e Calvino: il vuoto” ed è come se, dagli autori nostra-ni, la fantasia fosse bandita o irraggiungibile. Il novantanove per cento dei romanzi e dei racconti italiani sugli scaffali di librerie e supermercati sono fatti con lo stampino. Sono di maniera, esprimono banalità e il ritmo irri-tante, le costruzioni sintattiche stereotipate, i costrutti e i registri singhioz-zanti e afoni di questi artefatti in formato cartaceo o elettronico sono molto simili. Sembra si tratti di surrogati l’uno dell’altro o copie adulterate e, non da ultimo, razzolano nel cortile di casa e mancano totalmente del respiro in-ternazionale che nel villaggio globale è essenziale.
Chi s’azzarda a uscire dal seminato e a cantare fuori dal coro, viene sem-plicemente ignorato con una compiaciuta viltà crudele. Perché le stucchevoli cariatidi mummificate dall’establishment sanno bene che un’opera innovati-va potrebbe configurarsi come una tempesta che mettendo a nudo la po-chezza di certa insulsa editoria italiana, sconvolgerebbe il quieto tran tran di pennivendoli, incancreniti uomini nell’ombra e scrittorucoli prezzolati.
A seguito di La polvere eterna, Il disco di Nebra e Fiume di luce – romanzi richiedibili in qualsiasi libreria e disponibili su Internet – dobbiamo pertanto accogliere con estremo piacere, entusiasmo e interesse il dirompente Dio a perdere.
Con il quarto romanzo, Giovanni Nebuloni – un pioniere di un cambia-mento di rotta e mai dimentico che siamo circondati dalle immagini – pro-segue nel saputo avvicinamento artistico del linguaggio letterario al linguag-gio cinematografico, tout-court. Anche qui, i personaggi vivono realmente e più che mai si possono toccare. Le battute sono splendide e vere e lo stile è realmente differente, di rottura, pur risultando scorrevolissimo, esaltante e immediatamente comprensibile. La lingua derivata da Dante Alighieri in queste pagine si sposa con la grinta, la durezza, la vivacità e i coup de théâtre dei migliori film d’azione hollywoodiani.
Come i tre romanzi precedenti e di cui sopra, noi definiamo Dio a perdere un action-thriller. Così compiuta, Dio a perdere rappresenta un’espressione del tutto nuova sulla scena italiana e leggendola, c’era sorta spontanea una domanda: attualmente, chi è il più grande romanziere italiano?
Con l’accettazione della stesura di questa breve introduzione, noi abbia-mo già risposto.
La trama
La vicenda di Dio a perdere si snoda nell’arco di due settimane, da giovedì 26 giugno a lunedì 8 luglio. Come in una creazione di Roman Polanski, Clint Eastwood, Oliver Stone o della serie 007, l’incipit getta da subito il lettore nel vivo della storia. Daniele Calefi, un professore di Mineralogia all’Università di Milano Bicocca, è anche un agente dell’Aisi, l’Agenzia ita-liana per le Informazioni e la Sicurezza Interna ed è sorvegliato da tempo dai colleghi dell’Aisi e dalla Cia perché sospettato di connivenza con organizza-zioni segrete musulmane. La notte del 9 luglio, Calefi viene avvicinato da al-cune donne arabe che affermano di tendere ad essere jann, cioè “entità so-prannaturali e intermedie fra angeli ed esseri umani, gli jann erano stati crea-ti da Allah dopo gli angeli, prima di Adamo e dal più puro dei fuochi. Il fuo-co d’un vento bruciante, una fiamma senza fumo, un fuoco ardentissimo. Avevano la facoltà di muoversi con una velocità straordinaria e potevano procreare. Si nutrivano come esseri umani. Erano assimilabile all’elfo, al ge-nio della letteratura fiabesca occidentale o allo spirito magico della lampada di Aladino e lo stesso Profeta Maometto aveva asserito che, chiunque avesse visto Lui in sogno, avrebbe visto jann”. Le jann convincono il professore a seguirle, gli ricordano la sua vita passata e l’informano che potrebbe essere il tanto atteso, dalla comunità sciita, Tredicesimo Imam, “il Mahdi, il Maestro del Mondo, l’Imam degli Iman, l’Imam del tempo, il Signore dell’era presen-te”. Le jann gli preannunciano inoltre un terremoto sulla montagna dove il professore è solito recarsi: il Pizzo Alto in Valsassina. Sul Pizzo Alto verrà scoperta una caverna di uomini dell’età della pietra in cui sono presenti bat-teri esiziali, plasmodi che fanno gola alla Cia come una potenziale arma bat-teriologica…
Di più, ovviamente, non possiamo anticipare.
Basti evidenziare che l’idea fondante di Dio a perdere, come scrive l’autore è che “con il credere, in coscienza o no, di avvicinarsi a Dio, lo stesso uomo diventa e si fa dio. Un dio che si riduce a una sorta di variabile matematica. Un cassetto con l’etichetta Dio contenente l’uomo che pensa a dio, una reli-gione qualsiasi o anche una carriera o un amore. Dio come un involucro che aveva contenuto qualcosa di cui si era fatto uso. Un dio come un vuoto a perdere”.
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