Presentato a Cannes in sordina, uscito a fine novembre inizialmente solo in pochi cinema, alla fine Dio esiste e vive a Bruxelles ha conquistato tutti. A ogni festival è stato applaudito, in ogni sala si è chiesto il bis e ora è tra i nove pretendenti in lizza per l’Oscar al miglior film straniero. La storia di Ea (Pili Groyne), figlia in fuga da un padre egocentrico, accentratore e difficile da trattare, il Divino in carne e ossa (Benoît Poelvoorde), fa ridere e riflettere sulla nostra condizione di persone sempre più sole e poco inclini a goderci la vita. Il Nuovissimo Testamento che scriverà la bimba ha toni curiosi e vale la pena scoprirlo.
RECENSIONE
Immaginate se domattina il vostro il computer avesse un’applicazione con cui decidere il destino dell’umanità. Nelle vostre mani vi sarebbe il clima globale, il cambio di stagione, i momenti di felicità o dolore della gente, ogni cosa che vi venga in mente. Vi sentireste onnipotenti e, dite la verità, non vi verrebbe voglia di fare qualche piccolo dispetto? A quel punto potreste prenderci la mano e, come dice un vecchio detto…“chi la fa l’aspetti”.
Una scena del film © Kris Dewitte
Dio esiste e vive a Bruxelles, il nuovo lavoro di Jaco Van Dormael, presentato a Cannes 2015 nella cornice della Quinzaine des Réalizateurs, nelle ultime settimane ha fatto parlare di sé. È riuscito a divertire, stupire e far riflettere le platee più varie. Ha incuriosito, ha superato le previsioni di pubblico e critica, è diventato un successo da Nord a Sud. È già un film-culto. Con protagonista la famiglia dell’Altissimo, fatta di esseri imperfetti dotati di strabilianti poteri, la storia ci porta nell’appartamento belga in cui vive un Divino scontroso e dispettoso che, proprio come vuole la saggezza popolare, sta per pagare a caro prezzo le conseguenze delle sue bizze.
Il Dio dipinto da Ea (Pili Groyne), la piccola di casa, è un padre assente e pretenzioso, un marito autoritario e cocciuto, un egoista trasandato e fastidioso, un’entità superiore che tutto può ma ha costantemente voglia di mettere in difficoltà le persone, le sue creature. Ea ha 10 anni e, al contrario del babbo, è sensibile, sente la musica che c’è in noi, e, dopo un’esistenza vissuta in cattività, decide di ribellarsi a tanto egoismo e cinismo: farà uno sgarbo a papà, scapperà e scriverà il Nuovissimo Testamento compiendo la sua ripicca.
Pili Groyne in una scena del film © Kris Dewitte
La poca disciplina di un ragazzino genera in qualsiasi famiglia litigi, sensi di colpa e capricci ma non riverbera mai al di fuori delle mura domestiche. Nel caso della figlia minore del divino, invece, le conseguenze travolgeranno il genere umano e uno sgarbo si trasformerà in una catastrofe epocale, forse. Sicuramente, la fuga di Ea sarà formativa e segnerà un nuovo inizio per tutti.
La pellicola di Jaco Van Dormael è una commedia amara, un’attenta foto dei difetti della nostra epoca, si presta a molteplici letture e questa è la sua forza. Nel racconto c’è poca misericordia, molta miseria e la solitudine è imperante, tante, anzi troppe, sono le anime perse e il mondo pare popolato da uomini che hanno dimenticato che la vita sia una e la si debba godere a pieno. Vivi come se fosse l’ultimo giorno, insegui i tuoi sogni, impegnati e conquistati ciò per cui hai faticato è il messaggio che trapela forte e chiaro tra una battuta sarcastica dello sciatto Onnipotente (un graffiante Benoît Poelvoorde) e una parentesi di tristezza.
Benoît Poelvoorde in una scena del film © Kris Dewitte
Nonostante quanto si legga in rete, il film è divertente ma è percorso da una vena triste e nostalgica riflessa in una fotografia con colori poco incisivi, specchio delle esistenze sbiadite delle persone che accompagnano Ea nel suo viaggio. La risata non è mai incalzante, e sempre velata di malinconia, e più di un sospiro vi sorprenderà.
All’inseguimento di Ea c’è un padre – padrone che è l’unico a strapparci qualche sorriso. A casa, invece, è rimasta una madre succube, che ha dimenticato di essere lei stessa una dea, e che inevitabilmente ci ricorda troppe brutte storie reali. Gli apostoli, invece, sono la parte dolorosa: siamo noi, personaggi rassegnati con vite scolorite, con troppi no rimandati e con sogni repressi.
Dio esiste e vive a Bruxelles è un leggero dramma, una commedia intelligente, un’opera che riesce a rimanere in equilibrio parlando scherzosamente di religione e debolezze umane e dimostra, ancora una volta, che quando si osa si vince.
Vissia Menza
Questo contenuto è bloccato fino all'accettazione della privacy e cookie policy