Non è quindi il racconto di superficie a calamitare lo spettatore, ciò che si deve però evidenziare è ancora una volta il metodo di Van Dormael che, come ci aveva fatto vedere in occasione di Mr.Nobody (2009), è ormai capace di manipolare come desidera (e anche come desidera una semplice persona che guarda: banalmente: essere stupiti dalla visione) i processi narrativi che con lui germogliano incessantemente dando vita ad una scatola magica che riporta tutto ad una dimensione di perduto e qui ritrovato incanto. Ergo, è tutto bellissimo: l’applicazione del proprio metodo alla riscrittura della Sacra Scrittura è l’ennesima occasione per sgomitolare un filo di storie incredibili dove Van Dormael pesca da un cilindro senza fondo una quantità di trovate estetiche funzionali all’irrealtà rappresentata. Si gode parecchio nell’assistere al film e c’è conforto nel prendere atto che dopo millenni di storie la nostra coscienza emotiva può essere ancora stimolata da una storia, in fondo tutta la questione di Dio ivi imbastita passa agevolmente in secondo piano, a mano a mano che facciamo conoscenza con i sei apostoli c’è solo un aspetto che reclama urgente attenzione: è l’umano, quindi la vita, che nella prospettiva di Van Dormael arriva ad una riconciliazione attraverso l’amore. Quello che ci viene insegnato senza saccenza è quell’apertura verso l’Altro (anche così diverso: un gorilla!) che diviene accoglienza di sé: è, nella scena-riempi-cuore, l’abbracciare il proprio riflesso nello specchio.
Alla luce dei lavori precedenti, ricordiamo Toto le héros (1991) e il non perfetto L’ottavo giorno (1996), Jaco Van Dormael afferma lo status di regista massimalista, un titolo che a conti fatti non può condividere con nessuno (forse Sion Sono ed altri orientali ma si tratta di un altro mondo; forse l’Julio Medem di un tempo ma oramai, di tempo, ne è passato troppo per lo spagnolo), e nel panorama del cinema da sala, metastatizzato ogni giovedì della settimana dalle copie conformate che la distribuzione immette nel mercato, l’offerta di Van Dormael, in un’ottica che definirei in modo banalizzante “d’intrattenimento”, è quanto di meglio ci possa essere.