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Dio il Grande Fratello – di Iannozzi Giuseppe

Creato il 29 dicembre 2011 da Iannozzigiuseppe @iannozzi

Dio il Grande Fratello – di Iannozzi GiuseppeDio il Grande Fratello

di Iannozzi Giuseppe

Se la gente leggesse anche solo un buon libro di sostanza e di stile nella propria vita, l’umanità sarebbe salva.

Danny sapeva bene d’essere l’ultimo. La campagna circostante era ormai di sole croci aggiustate alla boia d’un Giuda. Erano morti tutti, da un momento all’altro, con inusitata velocità perché si potesse pensare di dargli cristiana sepoltura, tanto più che anche il parroco aveva tirato le cuoia. Danny aveva fatto per quegli uomini tutto il possibile. Aveva scavato le fosse, ci aveva sbattuto dentro i cadaveri e le aveva poi ricoperte di terra. E per ogni morto non aveva dimenticato una croce di rami legati e un’Avemaria. Non era un prete, di più non gli si poteva davvero chiedere. Se non erano sepolture cristiane, al Diavolo!
Adesso il giovane uomo era rimasto davvero solo.
L’orizzonte era una linea di croci puntute che grattavano un cielo d’un rosso innaturale.
Era questione di ore, così pensava Danny. Sarebbe successo anche a lui. Morto, senza una ragione. Semplicemente avrebbe chiuso gl’occhi. Ma a lui nessuno gl’avrebbe dato sepoltura. Sperava solo che le Parche se lo prendessero mentr’era in casa e non sotto il sole, nei campi.

Erano rimasti solo ratti e topi in gran quantità a tenergli compagnia, ma Danny non ne apprezzava gli squittii né il vello grigio quando non d’un marrone sporco. E i libri con le loro storie: nella fattoria c’erano più libri che fieno. Suo padre era stato un gran bibliofilo, la qual cosa non mancò di suscitare l’ilarità dei paesani che sempre gli si rivolgevano con un mezzo sorriso di scherno. Il vecchio gl’aveva raccontato che suo nonno era proprio come lui, un lettore forte: entrambi, quando il tempo gl’avanzava, lo consumavano con la testa china sui libri. Da quel che gl’aveva detto il suo vecchio, da quando quella fattoria era stata tirata su non un solo figlio maschio aveva dimenticato d’acculturarsi e di raccogliere libri rari e preziosi per la biblioteca della fattoria. Danny era dunque il primo che non aveva inteso mai d’avere fra le mani un volume. Il suo vecchio si era molto dispiaciuto, ma Danny sin da piccolo si era dimostrato recalcitrante. Con la maggiore età aveva poi spiegato che un contadino ha solo bisogno del suo rastrello e della zappa. Il padre aveva scosso con seria gravità il capo sputando come un cavallo; aveva infine puntato gl’occhi al cielo e…
Sembrava esser passato così tanto di quel tempo!
Non serviva a niente ricordare, non in una terra disabitata.
A ogni minuto che passava Danny si sentiva più solo. Lo confortava l’idea che presto, da un momento all’altro, avrebbe reso l’anima a Dio. Tuttavia il creatore non pareva così interessato a mietere la sua anima; i giorni passavano e Danny ogni mattina scopriva d’esser vivo, vivo e in piene forze, proprio come i topi. Di tanto in tanto portava le chiappe in biblioteca ma solamente per passare la callosa mano sulla costa dei libri. Se c’era una cosa che non gli passava proprio per la testa era di spendere il suo tempo a leggere anche solo una pagina o due. Riconosceva però che, forse, ne avrebbe tratto giovamento; una storia l’avrebbe distratto, gl’avrebbe reso meno amara la solitudine. No, non se ne parlava. Era contro ogni logica che un contadino prendesse in mano un libro; avrebbe invece atteso la morte, con pazienza, tanto non poteva tardare ancora a lungo. L’orizzonte era di croci, giù in paese i cadaveri erano già stati tutti spolpati dai topi, era dunque chiaro che anche lui Danny non sarebbe scampato alla Grande Falciatrice.
Però i giorni passavano e la vita non gli moriva in petto. Al contrario, sole dopo sole, pareva che il suo corpo acquistasse forze nuove nonostante Danny non facesse niente di niente per tenersi in forma: quasi non mangiava e le labbra se le bagnava appena. Non capiva. Decise ch’era il caso di dare una mano al destino, smise dunque di sgranocchiare semi di zucca e di bagnarsi la bocca. Dopo poco più d’un mese, con sua grande costernazione non aveva tirato le cuoia. Il suo corpo era più che mai vitale: non si era mai sentito così forte in vita sua.
Annoiato a morte, in un giorno d’inverno inoltrato, pestando la neve immacolata, Danny scese giù in paese solo per avere conferma che non c’era nessuno. Non un’anima viva o uno spettro. Niente. Sconfortato decise di portarsi ancor più lontano. Uscì dal paese e nonostante la neve e il freddo continuò a camminare, per giorni interi, quasi senza dormire: chiunque sarebbe morto entro poche ore in simili condizioni, ma non Danny. Quando si rese conto che la morte non lo voleva, solo allora il ragazzo cominciò ad avere paura. Trasse fuor di tasca il coltello e senza pensarci su si tagliò le vene. Ma solo per scoprire che il taglio, nemmeno un secondo dopo, era già chiuso. Neanche la cicatrice era rimasta a testimoniare la sua volontà di morire. Non una goccia di sangue aveva avvelenato la superficie bianca della neve. Come prigioniero d’uno stato di sonnambulismo camminò: un passo dopo l’altro, ritmo serrato, senza un lamento né un pensiero in testa se non l’ostinazione precisa e netta d’andare avanti. Di colpo si ritrovò, senza effetti di vortici di neve o di spesse nebbie, di nuovo tra i campi che ben conosceva, quelli della fattoria di famiglia. Lì per lì fece finta d’essersi sbagliato, girò le spalle e scese un’altra volta giù in paese, lo attraversò e andò oltre; e successe di nuovo, davanti a sé alberi spogli, rami carichi di neve ch’erano della sua terra. Ripeté l’eterno ritorno un po’ di volte. Il brutto della situazione, per paradossale che fosse, era che nelle membra non accusava un filo di stanchezza. Fresco come una rosa, Danny alla fine, con la fattoria dentro agl’occhi, scoppiò in una macabra risata. Di pazzia. Si lasciò cadere sulla pestata con tutto il peso del corpo. A braccia allargate sulla neve Danny si fece croce e follia: alte risa tentarono indarno di penetrare le nuvole per arrivare al timpano di Dio. Tuttavia, per quanto grande fosse la disperata follia di Danny, lassù nessuno lo sentì.

I giorni passavano sonnolenti.
Danny aveva smesso di mangiare e bere già da tempo. Non era comunque servito a portarlo all’agognata morte. Sempre più solo, cercò rifugio nella biblioteca di famiglia. Rimase per dei mesi interi seduto in quel posto con gl’occhi fissi sui volumi, che dagli scaffali lo studiavano tenendo vivo un severo silenzio. Con studiata distrazione, gl’occhi ridotti a due punte di spillo, cacciò fuori da uno scaffale una Bibbia. La soppesò fra le mani. La sfogliò in rapidità così come si fa con un catalogo di prodotti che sin dall’inizio sappiamo non ci interessano, dopodiché con rabbia l’abbatté contro il muro di libri che aveva davanti. Quelli non fecero una piega; solamente la Bibbia andò distrutta; i fogli si slegarono e volarono in aria, per posarsi infine con infinita lentezza sul pavimento. Danny scoppiò a ridere disgustato. Dio doveva essere davvero tanto tanto impotente se permetteva che lui, un povero contadino, mandasse al Diavolo tutto quello che lui aveva creato con così tanta facilità: gl’era bastato di prendere quella dannata Bibbia e di scagliarla lontano perché si riducesse a meno d’un cigno colpito a morte da un proiettile vagante. I fogli giacevano nudi strappati accartocciati, bianchi quasi, sul pavimento. Se solo avesse potuto spaccarsi la testa contro i libri raccolti nella stanza, non avrebbe esitato un istante a caricare la più robusta libreria per farsi saltare le cervella. Purtroppo sapeva che non sarebbe servito a nulla. Restò ancora nella stanza: tanto di tempo da perdere ne aveva a volontà. Poi un giorno si sollevò dalla sedia e fece per abbandonare la biblioteca.
Quanti anni erano passati? Non ne aveva idea. Da tempo aveva perso la cognizione del tempo.
Fuori doveva essere la primavera.
I topi avevano invaso la fattoria riducendola in più punti a meno d’un rudere.
I maledetti gli scorrazzavano fra le gambe, incuranti. Danny ne prese uno bello pasciuto per la coda: quello cominciò a squittire debolmente, forse allarmato. Di certo non doveva aver mai visto un essere umano vivo e vegeto. Senza pensarci su gli staccò la testa di netto con un morso: il sangue nero della bestiaccia schizzò subito dal corpo decapitato imbrattando Danny, che non si diede cura di nettarsi né gl’occhi né la bocca. Inghiottì la testa del maledetto ratto, gettando una rapida occhiata all’intorno: le croci, che aveva piantato tanti anni or sono, erano ancora sulla linea dell’orizzonte. L’aria non portava odore. Non sapeva né di morte né di altro: asettica.
Soltanto i topi e i ratti vivevano. E lui, Danny.
La vegetazione non pareva aver risentito affatto della scomparsa degli uomini e delle altre specie animali.
Giù in paese era tutto uguale: solo gli scheletri s’erano fatti più bianchi e i topi più grassi.
Un foglio ingiallito di giornale portato dal vento gli schiaffeggiò la faccia. Danny se lo strappò dal naso, e seppur controvoglia fissò lo scritto. Non era mai stato versato nella lettura; aveva imparato giusto quel poco che gli serviva per non farsi fregare negli affari, e morta lì. Dopo anni che non leggeva una parola, quel foglio era per lui qualcosa di alieno. Ciononostante, forse per la prima volta in vita sua, si sforzò di comprendere. Con in mano il foglio di giornale, spazzolò con passo strascicato la strada polverosa e andò a sedersi sotto il pergolato di quella che un tempo era stata la grocery. Accomodatosi lesse la data apposta in alto, sull’angolo destro del foglio di giornale; ma non gli riuscì di capire se fosse un articolo recente o di chissà quanti anni fa. L’articolo parlava d’un’epidemia. I toni erano allarmistici. Dal poco che gli riuscì di capire, l’umanità e qualsiasi forma vivente sarebbe stata presto cancellata dalla faccia della Terra se non fosse stato trovato subito un rimedio. Danny rifletté che il rimedio non doveva esser stato trovato, ma ciò non spiegava perché quando tentava di allontanarsi dal paese, dopo qualche chilometro sempre si ritrovava nei pressi della sua fattoria, come se mai avesse mosso passo. Non era un intellettuale, questo certo no, però anche un villano come lui lo capiva che quello che gl’accadeva non era una conseguenza dell’epidemia che aveva falciato la vita sulla Terra. Lesse tutto l’articolo, impiegando delle ore: non riuscì a sapere altro a parte quello che già sapeva e cioè che topi e ratti parevano immuni. Suo malgrado Danny sorrise al pensiero che gl’attraversò il cervello: “Se non sono morto… se non sono capace di morire, deve essere perché ho il sangue dei topi nelle vene!”. Ma ratti e topi potevano essere ammazzati, lo aveva sperimentato lui stesso uccidendone persino uno strappandogli la testa con i suoi denti, mentre lui Danny non poteva morire né allontanarsi che per pochi chilometri da Grandford.
Una maledizione. Arrivò al punto di pensare d’esser vittima d’una maledizione. Ma: maledetto da Dio o dal Diavolo? Si scoprì a pensare, per la prima volta con una certa serietà, che l’Universo doveva essere opera d’un’entità superiore, non necessariamente un dio o un demone: magari cielo e stelle erano stati creati dalla genialità folle d’un essere alieno, che, dopo migliaia e migliaia di anni a giocare sempre con lo stesso gioco, aveva deciso di farla finita, di sbattere fuori dalla scacchiera tutti i pezzi, re e regine, alfieri e cavalli e pedoni. Un colpo, uno solo e la scacchiera era stata ripulita. Tante volte anche lui, stufo di giocare a scacchi con il padre, aveva concluso la partita buttando all’aria i pezzi sulla chiacchiera con una semplice manata. Chiunque avesse creato l’Universo doveva aver fatto qualcosa del genere: peccato però che sulla scacchiera un inutile pedone era rimasto vivo e vegeto. Uno solo, lui.
Danny non sapeva darsi una spiegazione più convincente. Gli ci volle uno sforzo sovrumano per concepire l’idea che se adesso non era soggetto alla morte era perché anche la Grande Falciatrice doveva esser stata spazzata via dal suo folle creatore.
Ma perché topi e ratti non erano stati fatti fuori? Perché?

Comprese! Chiunque avesse creato l’Universo, stanco del gioco aveva spazzato via tutto, tranne un angolo infinitesimale per topi e ratti, e per un singolo uomo. Chi aveva dato inizio al gioco, doveva aver avuto la sadica idea di lasciare in vita un unico uomo in compagnia degli esecrabili roditori. Non s’era affatto dimenticato di spazzare via lui, il pedone Danny, dalla faccia dell’Universo. Lo aveva lasciato in vita apposta, per divertirsi con lui.
Per essere uno che in vita sua non aveva mai letto un libro, Danny stava dimostrando di nutrire non poca immaginazione. Lui stesso rimase sorpreso di scoprirsi dotato di così tanta fantasia. Eppure non poteva che essere così, o verosimilmente così. Il destino di Danny era quello di essere una cavia. Un trastullo. Un topo da laboratorio; e per sola compagnia topi e ratti, ordine dei Rodentia.

Un lampo.
Un’idea.
Una fitta di doloroso genio che gli trapanò il cranio.
Doveva assolutamente raggiungere la biblioteca e cercare un libro.
Non sapeva bene quale. Ma doveva esserci per forza.

Prese a correre a rotta di collo.
Stranamente, ma non troppo, il fiato gl’era piombo nei polmoni.
Il dolore al torace fece presto a manifestarsi. Un dolore lancinante. Di morte.
Non poteva finire la sua vita così, non prima d’aver verificato sui libri che la sua idea non era priva di veridicità.
Non voleva andarsene in quel momento.
L’aver capito il gioco doveva aver fatto incazzare come non mai il creatore di quell’Universo.
Era tutto come in quello stupido programma che sua madre guadava alla tv, Big Brother: degli uomini e delle donne venivano chiusi per uno due tre mesi in una cazzo di casa e le telecamere ne seguivano le azioni, anche le più intime, ventiquattro ore su ventiquattro. Una volta suo padre aveva usato una strana espressione: voyeurismo mediatico. Il creatore dell’angolo di Universo abitato da Danny era uguale, succube di quella cosa che suo padre aveva definito voyeurismo. Man mano che i giorni trascorrevamo all’interno della casa-prigione sotto l’occhio indiscreto d’innumerevoli telecamere, i concorrenti venivano fatti fuori; il pubblico salottiero, in combutta con due o tre partecipanti al Big Brother prigionieri della casa, decideva chi doveva andare a farsi benedire. Più o meno funzionava così. Era un programma stupido che Danny seguiva a cena insieme alla famiglia, con occhio distratto.
Il dolore al petto si fece intenso, troppo perché la carne potesse sopportarlo. Ansimando cadde in ginocchio in mezzo alla polvere della strada: la fattoria distava poche centinaia di metri, ma per un uomo nelle sue condizioni non era fattibile che ce la facesse a raggiungerla.
Il cielo sopra la sua testa non era più cielo: sembrava che dovesse scatenarsi una tempesta senza precedenti, di acqua torrenziale, di tuoni e fulmini, anche se in realtà così non era. Danny sapeva che il cielo era in realtà la retina d’un occhio enorme, che si stava godendo lo spettacolo.
Se solo fosse riuscito a raggiungere la fattoria… avrebbe trovato il libro e…

Troppo tardi, troppo tardi, avresti dovuto pensarci prima; adesso è tardi, il gioco è diventato troppo noioso… è tempo di mandarlo al diavolo. Una voce così, derisoria, gli trapanava la testa da orecchio a orecchio, da tempia a tempia.
Se solo si fosse deciso per tempo a rovistare tra i libri in biblioteca, forse avrebbe potuto salvare la pelle, la sua e quella della sua famiglia.
Nonostante fosse consapevole dell’imminente fine, continuò a strisciare tra topi e ratti in mezzo alla polvere, mentre questi gli divoravano le carni da vivo.
Non aveva più nulla da perdere.
Aveva perso.
Il gioco era agli sgoccioli: soltanto la crudeltà del regista, del creatore, del Big Brother, o in qualunque altro modo lo si voglia chiamare, faceva sì che Danny si umiliasse sino all’ultimo istante della sua miserabile vita.
Dilaniato nel corpo e nell’anima, la crudeltà del Big Brother gli fece raggiungere comunque la fattoria. Spogliato di quasi tutta la pelle, coi muscoli spezzati e i tendini rosicchiati dai ratti, senza più lingua né naso, Danny raggiunse la biblioteca lasciando dietro di sé, come in un B-movie, una lunghissima scia di sangue.
Con gl’occhi velati di sangue, lo sguardo lo portò sui fogli di quella Bibbia che aveva distrutto; nonostante tutto gli riuscì d’abbozzare un sorriso: le Sacre Scritture erano alla fin dei conti un imbroglio. Lui sarebbe morto e non ci sarebbe stata resurrezione alcuna, perché lui era poi solo l’ultimo pedone sulla scacchiera, l’ultimo partecipante rimasto nella casa del Grande Fratello. Però sarebbe morto abbracciato alla verità: gran consolazione davvero!
Si trascinò sul pavimento, raccogliendo sotto il suo corpo martoriato i fogli della Bibbia.
E lo vide, il maledetto lo vide. Lo aveva comperato sua madre qualche anno fa, credendo si trattasse del manuale ufficiale del Big Brother, per scoprire una volta acquistatolo che in realtà si trattava d’un romanzo, 1984, scritto da un certo George Orwell nel 1948 e pubblicato per la prima volta l’anno seguente.

Danny si spense e con lui tutto quel poco di mondo che, bene o male, tra ratti e topi aveva goduto della magnanimità del Big Brother.

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