Coupland ha studiato in Giappone, ottenendo nel 1986 un diploma in Scienza Economiche Giapponesi dal Japan-American Institute of Management Science, e, in “Dio odia il Giappone”, racconta il punto di vista di qualcuno che conosce un Giappone diverso da quello da cartolina.
Nel 2001, Coupland decide infatti di scrivere un volume sul radicale cambiamento della mentalità giapponese, scaturito dalla mancanza di certezze dovuta al crollo del mito di una economia infallibile e al conseguente scoppio della bubble-economy.
Gli appartenenti alla dankai juniaa (nome istituzionale della generazione dei nati nella prima metà degli anni ’70), tra cui Hiro, il protagonista, e i suoi amici, si ritrovano a vivere il passaggio all’età adulta durante il così detto «decennio perduto» del Giappone. Ne nasce quindi una nuova generazione X, o, come scrive lo stesso Coupland, una «non-generazione».
«Siamo mattoncini personalizzati e deformati e non ci incastriamo su nessuna
piattaforma», scrive Hiro, come a interpretare il disagio di una generazione che non si ritrova più negli schemi educativi e nelle rigide convenzioni sociali del proprio Paese, ma che non ha la forza — o la possibilità — di proporre un vero cambiamento.
Il romanzo è davvero bello.