Dio odia il Giappone. Ma no, certo che no. Solo perché siete
shintoisti/buddisti? E’ un brano del mio dialogo interno, che si è scatenato in
una serie di ipotesi sulle possibili cause dell’odio divino verso questo paese,
nel momento in cui ho posato gli occhi sulla copertina. A quel punto dovevo
comprarlo, anche solo per scoprire l’interessante teoria che dava origine all’assunto
di cui sopra. “Romanzo d’amore e fine del mondo”, dice il sottotitolo, che
stava per farmi posare definitivamente il libro. Ho già detto che i romanzi d’amore
mi irritano. Per la precisione, gli Harmony. Recentemente, ho scoperto che
tutti i libri che parlano d’amore, dell’amore, finiscono per irritarmi. Metterò
a fuoco questo sviluppo con una serie di riflessioni, che per il momento si
agitano impazzite sotto forma di girini nell’acquitrino mentale che mi ritrovo
sotto i capelli. Torniamo al romanzo. L’autore non è un giapponese: Douglas
Coupland è un canadese che ha vissuto, studiato e lavorato per molto tempo in
Giappone. Per dirla come i giapponesi, è “solo” un gaijin, uno straniero. Uno
che viene da fuori, un non-giapponese. Poco importa il suo paese di origine:
non è giapponese, per cui il suo valore è trascurabile, se non nullo. Nel
libro, però, impersona un adolescente
giapponese, Hiro Tanaka, che diventerà il suo tramite per dare voce ad una
serie di contraddizioni che si avvertono sotterranee nel libro. All’inizio
affronta subito una questione spinosa, la religione, parlando della conversione
di tre sue compagne di liceo, le classiche reginette desiderate, amate, odiate,
imitate, ad opera di due missionari mormoni ospiti presso una famiglia vicina
di casa di una delle tre.
“Cioè, la religione...Cosa diavolo è la religione? Ma stiamo scherzando? Non voglio fare l’idiota, ma...avreste dovuto vedere lo sguardo di Kimiko (e anche di Rieko e Kaoru): era vacuo, spento, e quando passavano per le strade e i corridoi sembrava che non si concentrassero più sulle cose vicine, come le insegne dei negozi di noodle, o le persone e i veicoli in avvicinamento. Tenevano gli occhi puntati all’orizzonte, come se fossero sempre alla ricerca della prima stella nel cielo notturno. Scott aveva rubato quelle tre al mondo. Aveva annientato le loro essenze individuali e le aveva trasformate in...che so, profumatori per ambiente in carne e ossa.” (Douglas Coupland, Dio odia il Giappone, ISBN Edizioni, pag. 8) Hiro Tanaka è la voce un po’ allucinata della vicenda: osserva tutto quello che ha intorno con lo stupore di chi non capisce cos’è il mondo e come sta andando avanti. Non lo capisce, ma lo giudica, lo disprezza, e cerca di allontanarsene, trovando modi diversi per essere se stesso, per essere originale e non cadere nella massificazione così tipica della società giapponese che lo circonda.
