-Uno fa cosa può e quando l’ha fatto non si può dire che abbia perduto. Non a tutti va bene e lui ha mai avuto fortuna.-
-La fortuna si fa, non s’aspetta che piova dal cielo come quest’acqua bagascia. È altro che rende, mica la terra, e chi guadagna è chi non si sporca le mani e non curva la schiena. Non è questione di fortuna, è che lui non è stato furbo abbastanza da capire una cosa così.-
-No, hai ragione. Lui non era furbo. Era onesto.-
-E suo cognato gliel’ha messo nel culo! Lui non si faceva tanti problemi e guarda i suoi figli come l’ha sistemati. Tutti a fare i pascià con la roba nostra e noi qui…-
-Abbiamo un tetto sulla testa e non c’è nessuno che avanzi qualcosa da noi. Lui invece non s’è goduto cosa ci ha rubato. Guarda che brutta fine ha già fatto. Stai tranquillo. Dio sa cosa si fa e vede e provvede per tutti.-
-Allora è venuto il momento che pensi anche a noialtri, che finora ci ha dimenticati abbastanza.-
-Abbiamo patito le nostre, è vero, ma vedrai che prima o poi tutto s’aggiusta. Ci vuole pazienza.-
-Campa cavallo che l’erba cresce! Io sono stufo di stare ad aspettare sempre qualcosa di meglio del niente che ho. Una volta che piova, un’altra che venga almeno uno sputo di sole. E tanto poi va sempre tutto al contrario. Lo vedi anche tu come son distribuite le cose, chi troppo e chi niente, e chi ha oggi starà meglio domani, che tanto piove sempre sul bagnato. Ma se uno nasce già col culo per terra non gli riuscirà d’alzarsi d’un dito nemmeno se campasse cent’anni.-
-Hai di nuovo per la testa di andartene via, non è così?-
La vecchia posò la calza e ne scelse un’altra dal cesto. Infilò l’uovo di legno di bosso e prese a rammendare anche quella.
-E chi non ci pensa, ormai. Hai visto l’Arturo, che fortuna s’è fatto in città. È bastato che si decidesse a saltare sulla corriera. E noi tutti qui a starlo a guardare quando arriva e ci sfoglia sotto il naso i suoi biglietti da mille.-
-Finché dura. La chiami fortuna stare sempre sul chi vive quando qualcuno ti suona alla porta? Star sempre così sulle spine?-
-Son tutte balle! Son chiacchiere di chi è invidioso delle belle macchine che ha per girare e delle belle donne che si porta appresso per farci masticare amaro.-
-Le porta per altro che per metterle in mostra. Sono vecchia, non son nata ieri. Ai miei tempi l’avrebbero chiamato ruffiano.-
-Gli leggete tutti la vita dietro, ma mica nessuno lo sa come stanno davvero le cose. Chi l’ha visto coi suoi occhi cosa fa in città? Nessuno di quelli che dicono tanto ha mai messo il naso fuori dal suo guscio, però tutti hanno da ridire e da insegnare qualcosa. E poi ho solo detto così per dire. Esiste mica solo l’Arturo. Ce ne sono altri che si sono decisi e sono andati a lavorare in fabbrica e si sono sistemati per bene. E si son portati dietro le donne migliori, che ormai se non sei almeno operaio nessuna ti guarda più in faccia.-
-Troverai bene la tua anche tu.-
-Se continuo a star qui trovo solo quelle che nessuno ha voluto, nemmeno dipinte. Quelle che valevan la pena son già tutte scappate.-
-È che una volta ci si contentava. Non si stava a guardare tanto per il sottile, bastava che la sua gente fosse per bene e che non battesse la fiacca e una donna andava bene a chiunque. Ma aspetta e vedrai, verrà anche il tuo turno. Dio vede e provvede.-
-E intanto che aspetto vengo vecchio! Sono stufo, ti dico. Ma poi basta, che tanto è sempre la solita solfa. Noialtri abbiamo due teste diverse e a stare qui a discutere non si cava un ragno dal buco. Vado fino in paese.-
-Copriti bene e prendi l’ombrello. Torni per cena?-
-Non so. Magari non torno. Magari mangio un boccone all’osteria.-
-Vai da quella là?-
-Vedi? Basta che uno trovi un momento di svago e già si dice quella là, come una fosse persa soltanto perché ha simpatia. E se anche fosse, poi? Dovrei far l’eremita?-
-Dovresti trovare una buona ragazza e sposarla, così dovresti fare. Non durerò in eterno e dovresti cominciare a pensare come farai, quando non ci sarò più. Quello che ti può dare lei l’hanno gustato già tanti e tanti altri ne avranno ancora, finché non sarà sfatta. Non è una donna adatta per te.-
-Perché, cosa sono io, il principe azzurro?-
-Sei un brav’uomo, come tuo padre, e ti serve una donna che ti stia insieme. Abbi pazienza, ma quella è una bagascia fatta e finita, buona solo ad allargare le gambe.-
-Non serve che ti scaldi tanto. Mica la voglio sposare.-
-Non mi scaldo, dico soltanto fai attenzione. Lo capisco che un uomo ha dei bisogni ma donne così t’attaccano solo malanni. E adesso vai, che non vedi l’ora di scappartene via. Sei tale e quale tuo padre e l’unica è di lasciarti le briglie sciolte. Copriti bene, mi raccomando.-
Si calcò in testa il cappello e uscì nella pioggia sentendola crepitare rabbiosa sulla cupola dell’ombrello.
“Non la vuole proprio smettere, bastarda miseria! In questa terra troia se non soffochi anneghi, non c’è mica scampo.” pensava.
Si rialzò il bavero del giaccone ed ebbe un brivido, sentendolo umido e freddo sul collo. Camminava spedito ma attento lungo il sentiero seminato di pozze, e pensava quand’era ragazzo e il piacere era di pestarci i piedi dentro e schizzare i compagni.
“Diosanto, allora si sarebbe messo il peperoncino nel culo agli anni perché facessero presto a passare. Poi, quando uno ci arriva, si comincia a battere il passo e alla fine ti trovi che metà del tuo tempo se n’è andato così, da coglione.”
Si fermò, con l’ombrello tenuto tra il capo e la spalla, e pisciò nel greto smunto del fiume.
“Venisse la piena potrò dire d’aver fatto anch’io la mia parte.” ghignò tra sé.
Riprese il sentiero che fiancheggiava la riva pensando che lì, più che altrove, era stato ragazzo. A correre nudi con gli altri e gelarsi nell’acqua della roggia, o sotto la pioggia schizzarsi con la mota del greto, a prendere lepri al laccio, a intanarsi con le bambine nei cespi di salici e unire le labbra o magari toccarsi sotto i vestiti, non ci si accorge che il tempo passa. Poi ti trovi che spogliarti con gli altri non si può più e per darsi bel tempo con una donna devi pagare quello che chiede. Uno vuole avere la barba e ogni giorno si tasta le guance, poi si trova di colpo che la barba ce l’ha ed è già un fastidio.
“Cristo, che vita! C’era più gusto ad aver voglia allora che a fottere adesso. È che alla lunga uno si scogliona di tutto e vorrebbe cambiare.” borbottava, scavalcando le pozze.
Sua madre, pensava, non aveva bisogno che lui le spiegasse per filo e per segno, a lei bastava vederlo aggirarsi per casa come dentro a una gabbia per capire la voglia che aveva d’andarsene via. Ma chissà se capiva anche perché non s’era ancora deciso, cosa l’aveva tenuto fino a quel giorno, dopo aver visto altri partire, tornare ben messi, macchine e donne e soldi in saccoccia, e stare un mese con la pancia all’aria a girarsi i pollici, fare nient’altro che masticare uno stelo e stare a guardare loro mentre tiravano come bestie.
Poi, con le mani affondate dentro le tasche, facendo un po’ di strada con lui, che aveva la camicia bagnata e la schiena rotta, uno magari gli diceva che in città si trova lungo, che non è posto dove gente come loro riesce a stare senza sentirsi strozzato, che c’è da farsi un culo così e aver paura delle ombre e che, a ben guardare, il meno coglione era lui, che se n’era rimasto dove uno può essere uomo, conosciuto da tutti e rispettato.
“Discorsi del cavolo!” pensò, sputando in una pozzanghera. Tanto è vero che, quando aveva detto a uno “Se ti fa schifo, cambiamo!”, quello aveva fatto una smorfia e aveva risposto che ormai s’era ciulato e tanto valeva che tirasse avanti così.
Ce n’erano altri che, invece, la facevan cadere dall’alto e se ne davano d’arie raccontando com’è la vita in città. Storie di quelle che uno non crede nemmeno a metà, storie di donne trovate a ogni cantone, ma mica di quelle che bisogna pagare, no, belle donne che hanno sempre pruriti e basta saperci un po’ fare che si lasciano stendere e poi magari son loro a farti un regalo. Balle!
A sentire quelli pareva che in città fossero tutte in calore e che nessuna potesse nascerci brutta.
Balle!
Lui non era mica un frescone e non si lasciava incantare. Capiva che il buono è altro, in città, e nel cambio qualcosa da perderci c’è di sicuro, ma è anche vero che i soldi alla fine d’ogni mese che dio manda in terra, e l’orario che alla fine della giornata puoi sbattertene di tutto e di tutti, e una moglie che anche lei porta in casa moneta e tiene ordine e ti scalda il letto, quelle son tutte cose che uno mica ci sputa sopra.
Pure, con il chiodo fisso in testa d’andarsene via che aveva sempre avuto, gli era mai riuscito di fare un passo verso la fermata della corriera. La colpa era sua, mica di qualcun altro, di lui che s’era troppe volte frenato, che aveva troppo pensato con la testa degli altri.
Suo padre teneva la terra come si custodisce l’oro vecchio di famiglia e dava per scontato che dopo di lui ci sarebbe rimasto suo figlio, che mai la sua terra avrebbe visto padroni venire da fuori di casa. Mai aveva capito che i tempi eran cambiati e che era cambiata la testa alla gente, che non s’aveva più voglia di fare una vita grama a polenta e castagne. Lui aveva rispetto della fatica dei vecchi e a voltare intorno lo sguardo e vedere la terra segnata da tanta fatica che avevano fatto, si levava il cappello. Gente diversa, chissà, forse più dura o più forte, oppure forse solo più scema e più schiava, gente che moriva senz’essersi mai tolta una voglia.
Lui no. Però era mai riuscito a dire a suo padre “Io no.” Aveva sempre avuto con lui il ritegno che s’ha per il capo, per quello che nessuno gli dice mai chiaro e tondo di no. E in più il rispetto per chi è riuscito a costruire qualcosa dal niente. Poi s’era fatto truffare e il cognato gli aveva portato via tutto con quattro scartoffie. Non era quello il momento per alzare la cresta, non con quel vecchio che appassiva ogni giorno di più.
Quand’era morto aveva pensato adesso vado, stavolta è arrivato il momento e non mi ferma nessuno. Ma s’era guardato intorno un momento di troppo e aveva visto, forse per la prima volta, sua madre.
Lei lo capiva e lo sapeva che nella sua testa c’era sempre stato d’andarsene via e stava così, rassegnata, ad aspettare quel giorno. Non avrebbe detto parole per farlo restare, non l’avrebbe legato, non le sarebbe scappata una lacrima finché fosse partito. Lui lo sapeva.
Ma in quell’istante che l’aveva vista gettare un grumo di terra nella fossa, aveva capito che lei non ci sarebbe mai stato verso di smuoverla di lì. Lo capiva da ogni suo gesto, nel modo sereno e pacato che aveva di sedersi a cucire accanto alla finestra e alzare gli occhi ogni tanto per dare uno sguardo affettuoso alle cose. Uno sguardo fedele da cane che lo faceva sentire un criminale soltanto a pensare di poterla portare via di lì, o di lasciarcela sola.
“Cristo, i vecchi dovrebbero tirarsi da parte, a un certo punto, e lasciarti fare la tua strada. Almeno seguirti e non intralciarti la vita.” pensava, ma pensava anche che non è giusto nemmeno così, che loro hanno tanto penato e adesso avranno pure diritto anche loro di mettersi seduti e tirare un po’ il fiato e godersi le cose loro.
“Sì, però alla fine a me tocca aspettare di non avere più imbrogli. Lo scemo son io. Tanta gente è partita, tanti vecchi son restati soli e mica è cascato il mondo. Più si pensa e meno si fa. Bisognerebbe ficcarsi in testa il cappello, uscire di casa e chi s’è visto s’è visto. La gente magari ti parla dietro per un po’, ma poi, quando torni e vede come ti sei messo all’onore del mondo, la musica cambia e ti fanno tutti i complimenti.”
Dove il paese iniziava guardò tentato la porta che ogni tanto voleva dire cavarsi la voglia, ma, quasi arrivato a bussare, scrollò le spalle e tirò dritto per lo stradale.
“Sarà il tempo, oppure i pensieri, ma oggi marco visita. Si vede che invecchio.” si disse.
Per strada nessuno e sospeso il paese come avesse smesso per un momento di respirare, intuito il fulmine che d’improvviso scardinò il greve spessore del cielo. Lui ebbe la testa squassata dalla legnata che il tuono piantò, come d’una trave che qualcuno, lassù, avesse spezzato sopra il ginocchio. Staccò un cristo, pensando che un 105/14 con la settima carica dentro avrebbe fatto meno cernaia.
La pioggia si rovesciò furiosa come se lui e il paese le avessero fatto un dispetto ben grave e volesse far pari col conto. Camminava lesto, curvo contro la sferza dell’acqua, ma una ventata maligna alle spalle gli rivoltò l’ombrello e lui si trovò inzuppato in un amen. Fece al cielo un gesto secco col braccio. Poi s’infilò di corsa dentro il Caffè.
-Diobenedetto, un diluvio così l’ha visto soltanto Noè.- si sentì dire, mentre si levava il giaccone e sgocciolava per terra.
-Come se avesse mai fatto una goccia e volesse rifarsi di botto.-
-Ne ho piene le balle! Ma piene che versano, sacramento!-
-Pensa a giocare, tocca a te.-
-Chi ha fatto le carte?-
-Prendi tu il mio posto. Non ho testa per il gioco, oggi.-
-Anch’io non mi diverto.-
-Tornatene a casa, allora.-
-Già così ti diverti a sentire mugugnare tua moglie.-
-Abbiamo tutti il muso lungo. Pago cosa c’è da pagare, ma non ne ho più voglia.-
-Tu, mettiti qui, accanto alla stufa. Sei marcio, vuoi mica prenderti un malanno. Cosa bevi?-
-Dammi una grappa.-
Bevve una grappa e poi due e cominciò a star meglio. Presto i panni bagnati presero a fumargli addosso, mentre fuori s’udiva il crepitare rabbioso dell’acqua e lo scrosciare delle grondaie fiottanti e del ruscello che s’andava formando in mezzo alla stretta contrada e soffocava i chiusini.
-Fra poco fa buio e ancora non è tornata la luce.-
-Staranno cercando di sistemarla. Magari prima di notte…-
-Figurati! In questo paese basta che pisci un ratto e fa buio, pensa un po’ adesso…-
-Sarà meglio tener le candele a portata di mano.-
Uno vuotò il suo bicchiere e lo batté con foga sul piano zincato del banco, staccando bestemmie.
-Puttana troia! Vedrete se non è vero cosa vi dico. A qualcuno questa bagascia di pioggia gli porterà via la casa. Già mi sono franati un bel po’ di muri e non so mica quanta vigna è rimasta.-
-Piantala, tanto a che serve? Bevici sopra. I morti si contano alla fine.-
-Morti? Vuoi portare disgrazia?-
-Dicevo così.-
-Per un bottegaio è facile dire. Ma noi tutto quello che abbiamo l’abbiamo là fuori.-
-Storie. Terra o bottega quando marca picche non gode nessuno.-
-Fosse qui mia madre vi direbbe lei cosa fare…- saltò su. -Portate pazienza, vi direbbe, perché, se succede così, è così che deve succedere e dio vede e provvede per tutti. Potrà anche andarci storta ancora una volta, ma noi siamo gente che sa tirarsi su i calzoni. Una razza speciale, ecco quello che siamo! Magari il destino ci fracassa ma noi non ci inchiniamo. Questo vi direbbe!- disse, guardando al fondo del bicchiere le ultime gocce di grappa e stringendo il vetro come volesse ridurlo in frantumi.
Uno s’avvicinò e si sedette accanto a lui posando due bicchieri sul tavolino.
-Pare che molli un po’.-
-Sarebbe tempo. Tanto ormai è già tutto in malora e danno peggiore non ne può fare.- disse alzando il bicchiere.
-Allora? Ci hai pensato su?-
-Lo sai che non posso. Come faccio?-
-Mica si va in capo al mondo. Potresti essere qui ogni sabato e domenica. Non è proprio come lasciarla da sola.-
-È vecchia. Le capitasse qualcosa e io non ci fossi mi starebbe sul gozzo.-
-E lei, niente?-
-La conosci. È più radicata a questa terra d’un rovere vecchio. Spostarla vuol dire farla morire.-
-Con l’età che abbiamo non ci saranno più altre occasioni, lo sai anche tu. Quello là non posso mica farlo aspettare in eterno, anche lui deve dare una risposta sicura. Potrei trovare un altro, ma mi piacerebbe di più se fossimo noi. I primi tempi sono difficili e scorrono meglio se si è buoni compagni da sempre come noi.-
-Perdio, questi discorsi me li son fatti e rifatti. Pensa tu se non verrei volentieri. Camminerei fin là sulle mani, potessi. È che non posso, non me la sento, non finché c’è lei che ha bisogno che qualcuno ci pensi. Lo sai anche tu che tutta storta com’è ogni cosa le pesa. Mancassi io cosa farebbe?-
-E l’ospizio?-
-Partirebbe in quattro e quattr’otto. Lo sai anche tu.-
-Così però sei tu che ti segni la vita. Sei un brav’uomo e ti capisco e sono contento di non dovermi più fare problemi. Adesso sono libero come un uccello sul ramo ma, avessi ancora il mio vecchio, ragionerei anch’io così e starei anch’io inchiodato.-
-Bisognerebbe esser più bestie e non avere una testa d’intralcio. Il guaio nostro è che non siamo mai stati abbastanza banditi per vivere. Vai, tu che puoi, non ti far scrupoli.-
-E tu non t’avvilire. Capiterà un’altra occasione, presto o tardi. Cristo, mica siamo ancora da buttar via!-
In casa la vecchia cuciva. Una volta faceva di più e suo marito poteva contarci, sul suo lavoro, ma estati e inverni uno dopo l’altro l’avevan curvata come un bastone per zoppi e non le riusciva più di drizzare la schiena.
Guardava, dall’altra parte della cucina, il ritratto di suo marito quand’era ancora un bell’uomo, occhi sgranati e bei baffi e la mascella contratta. Sorrise, vedendo la cravatta allentata e pensando quante parole aveva dovuto fare, quel giorno, per convincerlo a metterla. Non era uomo da stare impedito e, appena chiusa la porta di casa, s’era dato uno strattone al colletto per poter marciare tranquillo.
“Talino, non siamo stati fortunati, noialtri. Abbiamo lavorato una vita e non siamo riusciti a metterci da parte qualcosa da lasciare al figlio. È che tutti i nostri sforzi non hanno mai avuto una buona sorte. O forse ha ragione lui, magari, e davvero non siamo stati capaci, non so, però sono stata contenta anche così. Sono stata bene, con te, e quello che ti avevo visto dentro, quando t’ho conosciuto, è rimasto per sempre. Nella disgrazia questo almeno l’abbiamo avuto, di vivere insieme contenti e farci buona compagnia. Questo ci vorrebbe adesso per lui, di trovarsi una donna come si deve e starci insieme e quietarsi.”
Strappò il filo e ripose la calza che rammendava. Socchiuse gli occhi. Non li aveva più buoni come una volta e adesso cucire le era fatica.
“I tempi sono cambiati e anche questi ragazzi non sono più gli stessi, Talino.
Per noi uscire con i nostri vecchi e andare al ballo era una festa e si partiva col sole ancora alto per arrivare la sera. E ballare con gli altri e sentire la musica era bello, e poi era bello anche tornare in compagnia, guardare la luna montare sui bricchi e cantare tutti insieme e poi salutarsi ridendo.
Adesso i ragazzi vanno da soli e in cinque minuti sono arrivati, ma è mica per ballare che vanno e se non gli riesce di tirare una femmina in mezzo ai cespugli per loro la festa non c’è.
Non capisco.
Una volta ci bastava niente per esser contenti e adesso loro, che hanno tutto e tutto possono fare e disfare, fanno sempre il muso lungo, come se ogni cosa fosse stata inventata solo per fare dispetto.
Alla fine fan pena.
Ti ricordi, Talino? Quando noi due ci siamo sposati siamo entrati in una stanza vuota e la prima notte l’abbiamo fatta su un paglione di foglie di meliga. Adesso vogliono tutti avere una casa già sistemata e alle donne non basta ancora e vogliono andare a star via. Qui non ci rimane più nessuno e chi resta non può fare progetti e si lascia andare.
Cosa gli succederà, al figlio, quando non ci sarò più io?”
S’alzò a mettere un pezzo di legno dentro la stufa. Guardò dalla finestra e vide i bricchi sfumati oltre i vapori della pioggia. Pareva che dovesse essere l’ultima acqua del mondo e che il cielo pensasse a sfogarsi una volta per tutte. Si strinse addosso lo scialle e fece scorrere lo sguardo all’intorno, come una carezza su ogni cosa che per lei aveva una storia e le diceva tanti ricordi.
C’era, sulla credenza, un pizzo che aveva fatto sua madre quando s’era sposata e sopra ci stava una porcellana che aveva avuto in regalo di nozze. Ancora ricordava il muso lungo del suo Talino quando avevano scartato quel dono che era anche bello, magari, ma che sarebbe mai servito ad altro che acchiappare la polvere. E c’erano alla parete i ritratti dei vecchi di casa e il Roskoff del papà di Talino, l’unico sfizio che il vecchio s’era permesso in tutta la vita. E c’era la pipa di suo marito, col bocchino di corno masticato.
Entrò nella stanza del figlio e prese a mettere ordine nelle sue cose.
“Una donna, ci vorrebbe. La stanza d’un uomo che sta solo odora di triste e nemmeno la stufa riesce a scaldarla. Cosa farà quando non ci sarò più io a stargli dietro?
Un uomo, a star sempre da solo, non mangia, beve soltanto e fa venire la casa un pollaio. Va a finire che puzza e la gente si scosta se passa vicino. Andasse in città sarebbe magari diverso. Che devo fare, Talino? Consigliami tu.
Ti ricordi quando c’è nato il primo? Che bei sogni si faceva, noi due. Stare uniti e vederci crescere intorno i parenti. E quando il Signore se l’è preso con lui ci è sembrato di seccare anche noi. Poi è arrivato questo e s’è ripreso a sognare, anche se il magone del primo non ci è passato mai più. Fossero in due sarebbe magari diverso, non so. Poi sei mancato anche tu e la famiglia ha mai messo germogli e non c’è più stata allegria. Tutto è andato diverso da come si sperava, i tempi sono cambiati e anche la gente è cambiata e la casa, che una volta sarebbe bastata per dieci, adesso è troppo stretta per due.
Non mi ci trovo, Talino, e anche tu, se fossi ancora qui, non riusciresti a capire cosa succede.
Tutti vogliono fare strade diverse e scendere dai bricchi dove sono nati e lanciano bestemmie se non ce la fanno. La città ci succhia il sangue, a noialtri che siamo rimasti, e magari è giusto così, non dico mica. La nostra terra ci ha mai dato molto e adesso a questi ragazzi fa fare la fame di tutto. È ben triste però che si spengano tutte le luci sui balli e che non resti più nessuno a suonare. Pare che anche la terra sia invecchiata con noi e sia lì lì per andarsene in cielo.
Di questo passo i boschi riprenderanno i campi e le vigne e torneranno a circolare i cinghiali nella casa che ci siamo fatta. Siamo una razza che muore e noi, che tanto speravamo, fra un po’ non si vedrà nemmeno più che di qui ci siamo passati. Siamo nati sbagliati, Talino, e la piega che hanno preso le cose non è di mio gusto.
Pure è così e il Signore saprà bene quel che combina.”
La vecchia accese il lume a petrolio ch’era servito per tante veglie d’inverno a raccontarsi le cose e guardò il morbido bagliore della fiamma.
Intorno tutto era com’era stato sempre e lei respirava i ricordi. Sedette nella penombra a carezzare con gli occhi le cose della sua vita e intanto parlava al ritratto e pareva pregasse.
Poi il fragore dell’acqua crebbe di colpo e l’onda di piena che correva nel fiume scardinò i pioppi che cingevano l’orto e s’abbatté sulla casa e la ruppe come una frasca.