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I dipendenti pubblici non possono prestare attività lavorativa al di fuori del loro rapporto di lavoro con la Pubblica Amministrazione, pena il licenziamento.La Corte di Cassazione, con sentenza n. 20857/2012, ha affermato che il dipendente pubblico non può esercitare attività di commesso presso un negozio di una parente, se non espressamente autorizzato dalla propria Amministrazione, dichiarando la legittimità del licenziamento intimato ad una dipendente statale per violazione del divieto di cumulo di impieghi ed incarichi lavorativi in costanza di rapporto di lavoro subordinato con la Pubblica Amministrazione, anche se non è prevista la corresponsione di un compenso ed è effettuata in modo discontinuo.L'aggravante che legittima il licenziamento del lavoratore pubblico, ad avviso della Suprema Corte, sta nel fatto che la lavoratrice prestava la propria attività anche durante l'orario di lavoro e nei periodi di malattia.In particolare la Suprema Corte, ha respinto il ricorso proposto dalla lavoratrice, sottolineando che, ai sensi dell'art. 53 del D. Lgs. n.165/2001, che richiamava il disposto degli artt. 60 e seguenti del D.P.R. n.3/1957 la disposizione di incompatibilità prevista nell'interesse del buon andamento dell'amministrazione prescriveva l'esclusività della prestazione resa dal dipendente in favore dell'ente datore di lavoro e che anche il CCNL del personale dipendente Comparto Regione - Autonomie locali prevedeva analogo divieto (art.23), onde la accertata presenza della lavoratrice all'interno del negozio della sorella, intenta a svolgere mansioni di commessa ed attività di vendita, anche durante il normale orario di lavoro in giornate di assenza dal lavoro giustificate dallo stato di malattia, integrava la fattispecie sanzionata.