Magazine Diario personale

Dipendere da una coperta telematica

Da Icalamari @frperinelli

Caro weblog,

oggi sono andata in giro senza smartfono.

L’avevo dimenticato a casa. Prima di uscire ho fatto il cambio di borsa e, nella concitazione del ritardo, ho scordato di portarmi dietro proprio lui.

E così, mi sono aggirata per corridoi, scrivanie, ascensori, bagni, con le mani libere. Ho parlato con la gente, sono stata perfino cooptata in una riunione nella quale non capivo niente, non era materia mia, senza la possibilità di distrarmi navigando.

A metà giornata ero cotta.

Grazie al pc ho aperto una gran quantità di finestre, e su ciascuna ho caricato un social network. Mi sono data alla socializzazione compulsiva, perfino Paolo Mastrolilli, un giornalista de La Stampa ha retwittato un mio inutile commento. Lui aveva intervistato Jonathan Franzen (due gradi di separazione: bingo!) è uno dei miei autori preferiti, che da qualche tempo va in giro dicendo che i social network (in particolare Twitter) sono stupidi e creano dipendenza.

Io a Mastrolilli ho solo detto, in sintonia con Juan Carlos De Martin “Franzen ha ragione da vendere. Ma passare al fanatismo iconoclasta è un attimo.” Che normalmente è un pensiero che avrei tenuto per me, vista l’inutilità di esprimerlo al vento. E il giornalista, in piena contraddizione col pensiero dell’intervistato, mi ha ritwittato pure.

Poi ho guardato l’ora, e sono scappata fuori. Il cielo era celeste e sgombro, ed era pure caldo, ma non so com’è, stava piovendo. Sai quando la pozza d’acqua è tutta picchettata di goccioline, che sarebbe bastato chiudere l’otturatore (vabbé, intendevo dire: selezionare l’opzione “sport”) per fermare l’attimo, come potevo fare?

Ho fotografato tutto con gli occhi, senza la fotocamera da viaggio, incorporata dentro lo smartphone. Ma dopo un po’ ho smesso, e ho iniziato a fare caso alla postura che tenevo mentre camminavo, a quello che mi ricordavano le strade che mi portavano a tornare dopo tanto tempo in quella certa libreria, ho perfino ascoltato i monologhi di Lola sopra il figlio fatti a bassa voce in mezzo al traffico.

- Finalmente mi dai retta.

- Che hai detto? Eh? Alza la voce!

Il libro non me l’hanno consegnato, sono tornata indietro a mani vuote, ci dovrò ritornare. Pazienza, le mani le ho ficcate nelle tasche, il cielo era sereno, l’aria tiepida, ho dato uno sguardo attorno, e tutti erano impegnati a digitarsi l’uno con l’altro a testa bassa.


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