Dipingere è una dichiarazione d’amore – Giovanna Gentilini e il nudo femminile.

Creato il 17 marzo 2015 da Met Sambiase @metsambiase

(c) Giovanna Gentilini

IL NUDO FEMMINILE: QUANDO DIPINGERE è UNA DICHIARAZIONE D’AMORE

di Giovanna Gentilini.

Durante una lezione, una mia allieva mi rivolse una domanda: ci si può innamorare dell’oggetto del dipingere anche se questo è una natura morta? La mia risposta fu sì: non c’è amore nelle mele di Cèzanne?.
Nella pittura come nella vita, succedono innamoramenti e colpi di fulmine che non finiscono mai, ti accompagnano tenendoti per mano su ogni foglio bianco. Questo è successo anche a me da prima che nascessi, quando ero ancora dentro la pancia di mia madre. Per cui,ora, non avendo una modella, come alla scuola libera del nudo che frequentavo negli anni dell’Accademia, sovente poso una sguardo discreto sui corpi abbronzati distesi al sole oppure passo ore a guardare gli scatti fotografici dei maestri della fotografia: David Hamilton , Imogen Cunningham……

(C) Giovanna Gentilini

Che cos’è che mi cattura e fa sì che io scelga proprio quell’immagine su cui lavorare e non un’altra? In fondo non conosco quelle donne, oppure sì? Che cosa mi attrae? Razionalmente non trovo una spiegazione e neppure la bellezza dell’immagine influisce sulla mia scelta, anche se l’apprezzo. Allora cercherò di raccontare che cosa mi succede quando mi soffermo con lo sguardo sui corpi nudi delle modelle, su quelle immagini, a volte rubate, dietro le quali , comunque e sempre, c’è l’occhio attento, a volte anche amoroso, di un uomo o di una donna.

(c) Giovanna Gentilini

Nel momento in cui il mio sguardo si posa sulla curva di una natica , sulla pienezza di un seno,o sul morbido abbandono di un braccio, più storie si intrecciano, e tutte, con la loro urgenza entrano nella mia mente passando attraverso la gola. Storie di uomini e di donne, soprattutto di donne, le donne che hanno intessuto la vita di chi scatta l’immagine, e della donna che si offre come modella ; e qui, è lo sguardo degli uomini sulle donne che prevale,anche se a volte chi fotografa è ella stessa una donna. Proprio per questo e, nonostante tutto questo, a me arrivano, come attraverso fessure tra i muri, sussurri, sospiri, risate, movimenti di quel corpo di donna che si spoglia; le calze sfilate e appoggiate vicino alle scarpe nere col tacco di gomma, la camicetta di cotone a righe bianche e blu che una giovane mano sfila da una massa ribelle di capelli di un castano dorato. Quando le storie si incontrano, la mia e quelle delle altre, allora la scelta si compie. Altre donne riemergono dalla memoria e popolano i muri del tempo,e sono le mie donne, quelle che coi loro corpi hanno intessuto le pagine della mia vita , la nascita, l’infanzia e l’adolescenza: la pancia rotonda e i seni grandi e sodi di mia madre, in sottoveste di raso nero, seduta sul letto matrimoniale che parla e ride ( reggiseno della settima misura che oggi, senza alcun dubbio, equivarrebbe alla dodicesima), mia zia Italina che alle undici di sera, dopo aver lavato i piatti e quando tutti sono andati a letto, si lava col sapone bianco di Marsiglia, quello per il bucato; braccia da lottatore, e seni grossi e penduli dentro il lavello di cucina, uguale a quello di molte altre famiglie di quell’epoca,in graniglia bianca e marrone. Io,che dormivo lì ,proprio lì, ascoltavo i suoi sospiri (mio zio Agostino era scappato in Sicilia per sfuggire ai partigiani) e il gocciolare dell’acqua, rumori lievi che mi arrivavano attraverso le lenzuola insieme al profumo penetrante del Marsiglia, e quando tutto taceva mi alzavo, senza fare rumore , e, al buio, andavo alla scoperta del mio corpo di adolescente riflesso nei vetri della finestra ……….


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