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Discocaina di Tatiana Carelli è l’ennesimo libro scovato tra i remainders di Bol.Viaggio nella notte di una cubista, dice il sottotitolo.
Viaggio in un mente strafatta di qualsiasi cosa sarebbe stato un sottotitolo molto più azzeccato.
È un testo pregevole, se si ha lo stomaco abbastanza forte per leggerlo, nonché la presenza di spirito per reggerlo.
Pregevole è la prosa, volutamente allucinata e oscillante tra il più crudo realismo e la più esasperata – ed esasperante – metafora; non mancano i riferimenti filosofici (l’autrice è un’ex cubista laureata in filosofia teoretica), e il testo di per sé è insolitamente farcito di riferimenti più o meno colti, incomprensibili a un target medio-ignorante che compri il libro stregato dalla foto di copertina, che promette trash, porno e pseudo-trasgressione a go-go.
Discocaina è anche questo, ma non solo questo.
È un libro che parla volutamene del nulla, manifesto di quel nichilismo che a sentirlo è una parola pomposa, da eruditi, che intimidisce e ricorda le ore passate sui libri di filosofia a studiare Nietzsche (per chi l’ha fatto) ma che nei fatti altro non è che il culto del nulla (dal latino nihil), l’assenza di valori e disvalori, di significati e significanti, di passato, presente e futuro, la distruzione delle più elementari categorie umane.
È un libro che non da nulla e non parla di nulla, finito il quale viene solo da chiedersi perché mai si sia impiegato il proprio tempo in maniera così inutile.
Voto: 1/5
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