Disconnect è un film drammatico di Henry Alex Rubin nel quale si intrecciano storie aventi come fil rouge il rapporto che tutti abbiamo con Internet, in particolare con le chat e i social network.
Un adolescente particolarmente introverso è vittima di cyberbullismo e, scosso dalla vergogna di una sua foto pubblicata su facebook, tenta il suicidio; una coppia in crisi a causa della perdita del proprio figlio scopre che qualcuno ha clonato le loro carte di credito; un investigatore privato, vedovo ed ex poliziotto, scopre che suo figlio e il suo migliore amico sono gli autori del cyberbullismo nei confronti di un loro compagno di scuola; infine, un ragazzo che si prostituisce su chat per adulti viene contattato da una giornalista interessata alla sua storia la quale si affeziona a lui.
Il cast è sicuramente all’altezza della trama: da ricordare le interpretazioni di Jonah Bobo, adolescente senza amici, incompreso dalla famiglia e particolarmente fragile; Alexander Skarsgård, ex soldato ancora chiuso in un’«armatura» dalla quale non riesce a tirar fuori il dolore che prova per la perdita del figlio neonato.
La tematica che viene affrontata in Disconnect è molto attuale e riguarda noi tutti da vicino: la solitudine, l’incomunicabilità del singolo che regna nella società di oggi causata dal mondo virtuale, erroneamente percepita invece come condivisione, amplificazione di emozioni, di amicizie e di rapporti umani. Il mondo che si cela dietro lo schermo di un computer o quello di un cellulare entra dentro di noi, insieme alle storie di questi personaggi così reali e vicini. Si esce dalla sala e si riaccende il cellulare con una nuova consapevolezza, magari data per scontata fino a due ore prima: non solo quella di essere sempre e dovunque rintracciabili, ma anche di possedere un enorme potere del quale possiamo facilmente però essere vittime.
Importante è anche la tematica del bullismo che purtroppo diventa 2.0 e i soprusi, le prepotenze e i maltrattamenti finiscono in rete, accessibili a chiunque, memoria indelebile, vergogna incancellabile.
Inoltre il film punta il dito sui sempre più difficili rapporti tra genitori e figli: generazioni che non comunicano, non condividono davvero le emozioni perché il web e le tecnologie trascendono ormai il mondo virtuale ed entrano violentemente a far parte di quello reale, impedendo ogni possibilità di dialogo. Emblematica la scena nella quale la famiglia Boyd, riunita a tavola, non riesce a creare una conversazione: la madre e la figlia fanno discorsi vuoti, mentre sia il padre che il figlio sono davanti al cellulare, entrambi assorti nel mondo della tecnologia che assorbe e fagocita la realtà.
Disconnect è un film che potrebbe essere un documentario sull’era di Internet, dei social network, delle piazze virtuali, delle bacheche globali. È una pellicola che non scaglia pietre né dà giudizi, ma si limita a collocare il web tra i mezzi di comunicazione della società contemporanea, lasciando però che nella nostra testa risuoni una frase: «Temo il giorno in cui la tecnologia andrà oltre la nostra umanità: il mondo sarà popolato allora da una generazione di idioti» (Albert Einstein).
di Ilaria Pocaforza