No. Non sono un razzista.
E non lo dico per prevenzione - tipo excusatio non petita...- e non lo dico nemmeno mettendo mani avanti o fasciando teste prima di cadere. E poi, a dire il vero, il razzismo in senso proprio, non c'entra granché: ma non è il caso nemmeno di tirare in ballo la discriminazione, l'intolleranza, il pregiudizio, o meglio ancora l'esterofobia. Non sono razzista e nemmeno tutte quest'altre cose.
Sono invece uno che ha studiato sufficiente matematica e materie scientifiche annesse, per riconoscere un dato statistico - un giorno con calma, vi dirò anche quello che penso sulla statistica
Poi sono anche uno che ama l'eterogeneità: quando le cose sono diverse sono belle, più o meno sempre e più o meno di sicuro. Amo pensare che la società, intesa come realtà umano in cui vivo, possa essere frutto di un miscuglio - melting pot è più tecnico, forse - di culture. Bastia non è New York, questa miscellanea non c'è, e francamente il solvente in cui si dovrebbe sciogliere quel soluto, non è troppo attivo (chimicamente): e ancora quel soluto è ben distinto dal solvente. E forse è per questo che per dire quello che vorrei dire, bisogna andarci piano: piedi di piombo, parole leggere, guanti di velluto. Il rischio è di passare da quello che non si è, o peggio di aggiungere un tassello al mosaico dei "presupposti per". Di certe cose, si parla poco anche per questo. Lo scivolone è dietro l'angolo, e dire le cose come stanno è arte assai difficile: meglio concepire discorsi pseudo-ideologici, che avranno amanti o odianti, a seconda del gusto - ideologico, appunto.
Ma andiamo oltre, nel 2012 non ci dovrebbe essere più spazio per doppiogiochismi di vario genere - letterari o retorici, in primis - e dunque ecco il punto. Sono stufo, stanco, di vivere una realtà dove gli stranieri devono aver sempre ragione. E con stranieri intendo quelli che non sono nati qui, tutti, di tutti i tipi e colori. E con aver sempre ragione, intendo quel mix di solidarietà cristiana e reunion-ismo dell'ultim'ora, retaggio di quel terribile background cattocomunista da cui veniamo. 'Sta storia mi sta stancando. Basta. Siamo seri!
Viviamo in un mondo, dove deve essere l'oggettività il metro. Ormai rischi quasi di sentirti in difetto, se al bambino rom che gioca beatamente a calcio sotto casa, facendo del portone del tuo condominio la porta (da calcio), gli chiedi cortesemente di spostarti. Rischi di essere visto come un Goebbels se chiedi al tipo che vende contratti per forniture energetiche - con riconoscibile accento albanese - e che ti farfuglia fuffa al citofono con l'evidente tentativo di intortarti soltanto, di lasciare il materiale sulla cassetta, ché poi magari lo leggo stasera con calma. O se guardi con occhio sinistro, i movimenti del cubano spacciatore, che bazzica con gli amici - anche e rigorosamente italiani, per i quali sia chiaro l'occhio resta lo stesso - il baretto sotto casa. Ed è inutile tornare sulla tiritera dei buoni e dei cattivi, dei bravi e dei somari, che ci sono ovunque e comunque; che bisogna ricordarci che noi italiani abbiamo esportato le mafie - come se i criminali organizzati non esistevano già - e tante pessime abitudini; che la terra sulla Terra non è nostra, privata, ma di tutti; che siamo una sola realtà, l'umanità, senza distinzioni; tutte cose che abbiamo, o almeno ho, ben chiare in testa, fanno parte dei miei geni. Non è proprio questo il centro del discorso. E non è nemmeno il parossismo di qualche deficiente che inneggia a razze o razza, e nemmeno quello del mediocre che dice che gli extracomunitari son tutti delinquenti - e poi quando gli ricordi che anche i Canadesi (che a lui di solito stan simpatici) sono extracomunitari, ti dà del comunista, polemico e irrispettoso.
In questo mondo, io, liberale, progressista, sufficientemente illuminato, solidale, comunitarista 2.0, incline a ripudiare ogni forma di pregiudizi e discriminazione, non mi ci riconosco.
In un mondo così, i discriminati diventiamo noi.
Poi non dite, che non ve lo avevo detto.
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