L’equazione Wheeler-DeWitt
“L’universo quantistico è un universo senza cambiamento. Semplicemente è”.
Lee Smolin (fisico teorico)
di Rina Brundu. Alcuni giorni fa una lettrice del Corriere della Sera online si chiedeva perché avrebbe dovuto pagare le notizie di quel quotidiano (nda il Corriere dal 27 gennaio scorso richiede un abbonamento per poter leggere più di 20 notizie al mese e avere accesso al suo archivio), dato che sugli altri giornali le leggeva gratis. Per essere più precisi, quella lettrice poneva la domanda al prof Aldo Grasso del blog “Televisioni”. Grasso ha risposto che forse sugli altri giornali si trovavano le stesse notizie, ma sul Corriere c’erano approfondimenti e opinioni frutto di “studio”… e lo studio costerebbe… anche fatica.
Sarà! Lungi da me obiettare contro una simile ovvietà ma a mio avviso il professore ha minimalizzato l’argomento in maniera imprdonabile: se fosse così semplice giornali ben più prestigiosi di quello dove lavora lui, the world-over, avrebbero già risolto le loro crisi editoriale e molti di quelli, anche mentre scrivo, non avrebbero dovuto chiudere baracca e burattini. Sì, il problema è molto più complesso ma volendo lo si può analizzare in blocchi tipologici, anche rispetto al minimo comun denominatore, ovvero la notizia tout-court, allo scopo di metterne in evidenza quella stessa complessità.
In primis si potrebbe forse dire che un giornale veramente serio (anche se mi rendo conto che é difficile trovare simili exempla in contesto italico, laddove i quotidiani di oggi sono un mero strumento informativo dei desideri dell’Esecutivo di turno e dell’editore, e da questo punto di vista il Corriere.it fontaniano, poster blanket-size di Renzi alla mano, è senz’altro la nostra gemma più splendente), si occupa di notizie. Ne deriva che le notizie, in netto contrasto con quanto sostiene il prof Grasso, se sono veramente tali sono uguali dovunque sotto il sole: la mancanza di questo o quel dettaglio racconta invece il grado di attenzione del professionista che la riporta.
Altra cosa sono i commenti, le opinioni, la disintermediazione che un giornale vuole applicare per rendere “notizie” più ermetiche immediatamente comprensibili ad un lettore-average. Ecco però che anche qui bisogna fare delle distinzioni. Prendiamo per esempio il recente annuncio del tracciamento (non scoperta… che è termine ridicolo per enne motivi ma che é sato comunque usato anche dallo stesso giornale di “qualità” del prof Grasso), delle onde gravitazionali o, in precedenza, dell’individuazione di una particella subatomica le cui caratteristiche tecniche sembrerebbero essere in linea con una particella teorizzata anni fa da Peter Higgs. Ebbene, davanti a questo tipo di notizie esistono due tipi di lettori a mio avviso: da un lato quelli a cui basta leggere il titolo della “scoperta” a caratteri cubitali e non leggeranno mai altro (a voglia gli sforzi, sempre sul Corriere, di quello stesso Carlo Rovelli che non troppo tempo fa predicava più simboli religiosi nelle scuole!!), e poi gli altri lettori… quelli che prima di approfondire simili notizie su un quotidiano nazionalpopolare si farebbero squartare vivi. Io appartengo all’ultima categoria, ovvero, sono una di quelle persone che quando c’é un breakthrough scientifico sostanziale preferisce informarsi presso riviste specializzate o, meglio ancora, alla fonte, i.e. leggendo il “paper” accademico che propone il dato-claim-to-glory oppure leggendone i commenti sul sito dell’Università di riferimento. Come si evince la disinformazione mediatica italica, nel dato contesto, è come il fattore Tempo nell’equazione Wheeler-DeWitt: non esiste!
Che dire quindi dei commenti politici? Forse il professor Grasso intendeva questo: bisogna acquistare un abbonamento al Corriere.it per godere di quei “meravigliosi” pezzi inneggianti al renzismo che purtroppo per noi si deve sorbire anche chi arriva sulla Home del giornale per mero click incauto? Qui, per ovvie ragioni ma anche perché credo che il rispetto bisogna mantenerlo sempre, specie se un interlocutore (seppure ideale) è più grande di noi, dunque più saggio, non commento oltre. Dico soltanto che secondo me la ricetta per fare un giornale moderno svendibile in abbonamento anche nella sua versione digitale è più pepata di quella minimalistica adottata dai quotidiani italiani e comincia dalla reputazione che quel giornale sa costruirsi urbi et orbi. Una reputazione che non ha come base fondante l’“attenzione” che mette il dato giornale nel non ferire i sentimenti del potentato, potentuccio di turno, quanto piuttosto le palle con cui quella stessa testata difende le sue ragioni (anche schierate) e il know-how sostanziale con cui le sbatte di fronte ad un suo pubblico milioni di volte più accorto dell’audience intellettualmente asservita che costituisce ancora oggi buona porta del popolo italico (anche per “merito” di certa Stampa, purtroppo).
Il resto sono solo chiacchiere ed echi fastidiosi di un giornalismo italiano da dimenticare in un istante che sarà comunque sempre troppo lungo per poterlo perdonare.