La foto di questo post vuole simulare il testo così come viene visto da un dislessico.
Buona lettura…
Quanto fa sei per sette? Se impiegate più di due secondi per rispondere, potreste appartenere a quella schiera di persone che fa a cazzotti con la matematica. Circa il 5-7% della popolazione conta con le dita, non sa le tabelline, confonde le cifre (per esempio, scambia 38 con 83). Ma non chiamateli asini. Si tratta di discalculia, un limite congenito verso i numeri. E’ l’equivalente aritmetico della dislessia, l’incapacità di leggere le parole. Questi due disturbi, evidenti dall’età di 6-7 anni, quando si approda alla scuola elementare, vanno spesso a braccetto, insieme alla disgrafia (la calligrafia incomprensibile) e alla disortografia (la scrittura piena di errori, con le lettere sostituite, omesse o invertite). Rimproveri, punizioni, tirate d’orecchie non fanno altro che peggiorare il disagio dei bambini, inutilmente esortati ad applicarsi di più nello studio. “E’ come chiedere a un miope di guidare senza occhiali o di correre a una persona che ha una gamba rotta”, spiega Stefano Vicari, primario di Neuropsichiatria infantile all’Ospedale Bambin Gesù di Roma. “Il problema di chi fatica a leggere, scrivere e far di conto non è una questione di forza di volontà, né tantomeno ha qualcosa a che fare con l’intelligenza. Dipende, infatti, da una diversa organizzazione dei circuiti cerebrali preposti a quelle funzioni”
Anche se la ricerca scientifica non ha ancora fatto completa chiarezza, ormai su un punto sono tutti d’accordo: la causa dei disturbi specifici di apprendimento è neurobiologica. Dislessici o discalculici, insomma, si nasce. Altro che problemi emotivi o psicologici, come in passato si sospettava. Semmai quelli arrivano dopo, quando basta aprire un libro o impugnare una penna per sentirsi frustrati e incapaci.
“Nel 40 per cento dei casi c’è una componente ereditaria, cioè una familiarità per lo stesso problema”, dice Roberta Penge, neuropsichiatra infantile dell’Università La Sapienza di Roma. “Sono stati identificati 5 o 6 geni chiave, tuttavia ci sono gemelli omozigoti, con lo stesso Dna, in cui uno è dislessico e l’altro no, sebbene la concordanza sia molto frequente. La genetica c’entra, ma non spiega tutto”. Anche i fattori ambientali entrano in gioco. Per esempio, secondo alcuni ricercatori dell’Università di Yale, il fumo di sigarette in gravidanza potrebbe ripercuotersi negativamente sulle capacità di linguaggio e di lettura del futuro bambino. Che il deficit cognitivo prenda forma già nella pancia della mamma lo ha confermato anche un recente studio dell’Ospedale e Università San Raffaele di Milano, secondo cui alla base della dislessia ci sarebbe un malfunzionamento neuronale, quel processo durante lo sviluppo del feto che permette ai fasci nervosi di sostanza bianca di raggiungere la loro destinazione finale. Ne risulterebbe un’alterata conformazione delle connessioni cerebrali. In effetti, le moderne tecniche delle neuroscienze hanno svelato parecchie differenze tra il cervello di chi legge fluentemente e chi no. Mentre, di norma, di fronte a un testo scritto si “accendono” la corteccia frontale (dietro la fronte), parietale e temporale (sopra e dietro l’orecchio), che insieme permettono di decifrare le parole e tradurle in suoni, nei dislessici si nota una marcata attivazione solo dell’area frontale, con le altre due quasi spente, proprio a causa di una minore connettività tra neuroni. In particolare, l’attenzione degli scienziati si è concentrata sul fascicolo arcuato, che nei soggetti dislessici o discalculici appare più stretto e lascerebbe passare meno informazioni.
Comunque è da cinquant’anni che la scienza cerca di trovare le risposte. Diverse sono le teorie che sono state tirate in ballo, tuttavia quella che oggi riscuote più successo è quella fenomenologica.
Continua…
Fonte: Focus. Scoprire e capire il mondo. N. 270 – Aprile 2015