«La parola spettacolo significa: che si sta a vedere; e ovviamente si sta a vedere inattivi, comodamente seduti eccetera, solo se ciò che avviene davanti a noi non ci riguarda, non comporta nostre responsabilità, oppure è, come è di moda dire adesso, fiction. Effettivamente noi guardiamo la televisione e vediamo sfilare gli orrori davanti ai nostri occhi, ma non ci scomponiamo perché ciò che sfila davanti ai nostri occhi non ci riguarda, non comporta nostre responsabilità, e tutto sommato riusciamo a credere abbastanza facilmente che sia fiction. Se il treno sul quale abbiamo viaggiato proprio ieri esce dai binari e si ribalta, quando in televisione appaiono le carrozze rovesciate e i piloni divelti, quella è fiction. Se al di là del nostro piccolo mare ci sono bombardamenti e stragi, quando vediamo gli aeroplani e gli incendi in televisione, quella è fiction: anche se gli aeroplani volano sopra le nostre case diretti di là dal mare nelle prime ore della notte, e fanno ritorno nelle prime ore del mattino, e il loro rumore ci impedisce di addormentarci o ci sveglia. Le ragazze dell'Africa o dei Balcani che appena fa buio, e talvolta anche prima, invadono le strade delle nostre periferie, non appena la televisione o i giornali ce le mostrano diventano anche loro fiction: se ci facessero vedere, ripresa in un servizio televisivo o fotografata nel giornale locale, quella che staziona sempre sotto casa nostra, anche lei diventerebbe fiction».
Giulio Mozzi, Fiction, Einaudi, Torino 2001 (pag. 4-5).
Ecco, per proseguire il discorso aperto di ieri, mi piace riportare questo brano che offre un'ulteriore definizione dell'essere un blogger: qualcuno che non si rassegna a subire la realtà come spettacolo, come fiction; ovvero, qualcuno che non resta spettatore inattivo di fronte agli accadimenti del mondo e sente la responsabilità di leggere, pensare e scrivere ciò che apparentemente subisce.