TORNA DISOCCCUPATI VITE IN PARALLELO. Quella di oggi è storia di Aida che mi ha inviato questa mail con la sua storia. Io dopo averla letta sono rimasta senza parole.
Se volete anche voi inviarmi la vostra storia: [email protected]
La mia storia comincia circa un anno fa. Fino ad allora avevo una vita piena e un planning invidiabile a chiunque avesse la mia età. La mia settimana era divisa fra corsi universitari, studio e promozioni che facevo solitamente nei week end, tra sabato e domenica. Svolgevo il lavoro da promoter da circa cinque anni e ciò mi aveva permesso di pagare gli studi e mantenermi una utilitaria di terza mano. Avevo faticato tanto per raggiungere il posto d’onore, concesso alle promoters “più brave”, che era il pv Media World. Lavorare lì significava guadagnare, e lavorare senza tregua da settembre a dicembre. Fu appunto una domenica di settembre che il mio responsabile venne a trovarmi sul posto di lavoro. Mi disse:
“Segnati sto numero. E’ il nuovo capo. Falle il mio nome. Così continuerai a lavorare per lo stesso marchio. Ho dimenticato purtroppo di parlare di te, quando l’ho incontrata all’ultima riunione. Sbrigatela da sola.”
Nella mia mente pensai: “Come, dopo cinque anni di gavetta, fiducia su fiducia, ampia disponibilità e un paio di spumanti a Natale, tu ti dimentichi di me? Va beh! Pazienza”.
Sapevo in cuor mio che quello sarebbe stato l’ultimo week end da promoter. Quella sera, tornando dal lavoro, piansi, quasi incerta sul mio futuro.
La stessa notte riuscii a sollevarmi, pensando all’imminente laurea, agli ultimi esami e ad un improbabile colpo di fortuna con il mio nuovo capo.
L’indomani chiamai il numero consigliatomi dal mio responsabile. Dall’altro capo del telefono c’era una donna, energica, dalla voce possente, un pò sfacciata. Mi chiese l’età e l’esperienza di lavoro. Dissi che avevo 23 anni, 24 a novembre.
“No, non va bene. Per il marchio che mi chiedi sei troppo piccola.”
“Ma come, ho iniziato a lavorare che avevo 18 anni!”
“E mbeh? Per me non vai bene.”
Lasciai perdere. Inviai il curriculum ad una nuova agenzia per promoter, ma non ci fu nessuna risposta.
Comunque sia iniziai ad impegnarmi per superare gli ultimi esami universitari. Ne mancavano 3 e dovevo darli entro dicembre, se non volevo pagare l’iscrizione per il primo anno fuori corso. Ce la feci. Il 14 dicembre finì l’odissea degli appelli. Iniziò però la traviata della tesi.
All’epoca non avevo idea nè di quale lavoro fare, nè l’intenzione di mettermi sotto qualcuno. Volevo finire al più presto la tesi, e prendermi quello straccio di carta che sapevo non sarebbe valso a nulla. Scelsi un argomento che non mi piaceva. Avevo in mente di partecipare ad un concorso per tesi di laurea, promosso da un noto ente. Avevo bisogno di una borsa di studio per pagarmi eventuali master. Scrissi la tesi senza alcun aiuto, nè da parte della docente, nè dell’assistente. Completamente da sola.
Arrivò maggio. La seduta fu il giorno di Santa Rita. Ho scelto di non festeggiare, di invitare solo qualcuno, compreso la famiglia del mio fidanzato e una sola collega universitaria. Mi sembrava ingiusto festeggiare la condanna alla disoccupazione. Preferivo che papà mi desse i soldi per mantenermi, almeno per un pò. Il giorno della seduta ero completamente apatica. Senza alcun sentimento, senza emozioni. Al colloquio non tremavo, non ero per nulla tesa e, dopo la proclamazione, non mi scese neanche una lacrima per l’emozione. Sapevo infatti che, una volta messo piede fuori da quell’aula, avrei segnato per sempre un destino di solitudine e disperazione.
Passarono i mesi. Cercai concorsi su concorsi. Ne tentai uno presso il mio ateneo, ma non protocollarono la domanda. Non riuscii neanche a vincere la borsa di studio, nonostante l’ente palesemente abbia utilizzato la mia idea per ricamarci sopra un seminario, il cui programma corrispondeva per l’80% all’indice della tesi.
Così mi ritrovo qua, a scriverti, per tenere la mente impegnata, nell’attesa di qualche bando, perchè ai curricula non ci credo. Devo tenere occupata la testa ogni istante della mia giornata, altrimenti la depressione prevarica sul lato fisico. Pulisco la mia stanza, esco a far la spesa, faccio ginnastica casalinga, tengo un blog, cerco di curare l’aspetto fisico. In un anno, oltre alla disoccupazione, una serie di fattori hanno reso la quotidianità insopportabile e pesante, tant’è che spesso vorrei non svegliarmi al mattino. Nessuno si è accorto del mio stato psicologico. Gli amici pensano ad un mio lato egoistico. Il mio ragazzo al fatto che sono viziata. Mamma neanche se ne accorge di quanto sto male.
Vorrei prendere una decisione importante, ma non ne ho il coraggio. Vorrei partire e andare lontano. Ma qualcosa mi blocca.
Spero di non averti annoiato. Non è necessario che pubblichi o meno questa storia. Avevo bisogno di raccontarla a qualcuno, per trovare la forza di andare avanti.
Ti auguro buona serata.
Aida.Magazine Lavoro
TORNA DISOCCCUPATI VITE IN PARALLELO. Quella di oggi è storia di Aida che mi ha inviato questa mail con la sua storia. Io dopo averla letta sono rimasta senza parole.
Se volete anche voi inviarmi la vostra storia: [email protected]
La mia storia comincia circa un anno fa. Fino ad allora avevo una vita piena e un planning invidiabile a chiunque avesse la mia età. La mia settimana era divisa fra corsi universitari, studio e promozioni che facevo solitamente nei week end, tra sabato e domenica. Svolgevo il lavoro da promoter da circa cinque anni e ciò mi aveva permesso di pagare gli studi e mantenermi una utilitaria di terza mano. Avevo faticato tanto per raggiungere il posto d’onore, concesso alle promoters “più brave”, che era il pv Media World. Lavorare lì significava guadagnare, e lavorare senza tregua da settembre a dicembre. Fu appunto una domenica di settembre che il mio responsabile venne a trovarmi sul posto di lavoro. Mi disse:
“Segnati sto numero. E’ il nuovo capo. Falle il mio nome. Così continuerai a lavorare per lo stesso marchio. Ho dimenticato purtroppo di parlare di te, quando l’ho incontrata all’ultima riunione. Sbrigatela da sola.”
Nella mia mente pensai: “Come, dopo cinque anni di gavetta, fiducia su fiducia, ampia disponibilità e un paio di spumanti a Natale, tu ti dimentichi di me? Va beh! Pazienza”.
Sapevo in cuor mio che quello sarebbe stato l’ultimo week end da promoter. Quella sera, tornando dal lavoro, piansi, quasi incerta sul mio futuro.
La stessa notte riuscii a sollevarmi, pensando all’imminente laurea, agli ultimi esami e ad un improbabile colpo di fortuna con il mio nuovo capo.
L’indomani chiamai il numero consigliatomi dal mio responsabile. Dall’altro capo del telefono c’era una donna, energica, dalla voce possente, un pò sfacciata. Mi chiese l’età e l’esperienza di lavoro. Dissi che avevo 23 anni, 24 a novembre.
“No, non va bene. Per il marchio che mi chiedi sei troppo piccola.”
“Ma come, ho iniziato a lavorare che avevo 18 anni!”
“E mbeh? Per me non vai bene.”
Lasciai perdere. Inviai il curriculum ad una nuova agenzia per promoter, ma non ci fu nessuna risposta.
Comunque sia iniziai ad impegnarmi per superare gli ultimi esami universitari. Ne mancavano 3 e dovevo darli entro dicembre, se non volevo pagare l’iscrizione per il primo anno fuori corso. Ce la feci. Il 14 dicembre finì l’odissea degli appelli. Iniziò però la traviata della tesi.
All’epoca non avevo idea nè di quale lavoro fare, nè l’intenzione di mettermi sotto qualcuno. Volevo finire al più presto la tesi, e prendermi quello straccio di carta che sapevo non sarebbe valso a nulla. Scelsi un argomento che non mi piaceva. Avevo in mente di partecipare ad un concorso per tesi di laurea, promosso da un noto ente. Avevo bisogno di una borsa di studio per pagarmi eventuali master. Scrissi la tesi senza alcun aiuto, nè da parte della docente, nè dell’assistente. Completamente da sola.
Arrivò maggio. La seduta fu il giorno di Santa Rita. Ho scelto di non festeggiare, di invitare solo qualcuno, compreso la famiglia del mio fidanzato e una sola collega universitaria. Mi sembrava ingiusto festeggiare la condanna alla disoccupazione. Preferivo che papà mi desse i soldi per mantenermi, almeno per un pò. Il giorno della seduta ero completamente apatica. Senza alcun sentimento, senza emozioni. Al colloquio non tremavo, non ero per nulla tesa e, dopo la proclamazione, non mi scese neanche una lacrima per l’emozione. Sapevo infatti che, una volta messo piede fuori da quell’aula, avrei segnato per sempre un destino di solitudine e disperazione.
Passarono i mesi. Cercai concorsi su concorsi. Ne tentai uno presso il mio ateneo, ma non protocollarono la domanda. Non riuscii neanche a vincere la borsa di studio, nonostante l’ente palesemente abbia utilizzato la mia idea per ricamarci sopra un seminario, il cui programma corrispondeva per l’80% all’indice della tesi.
Così mi ritrovo qua, a scriverti, per tenere la mente impegnata, nell’attesa di qualche bando, perchè ai curricula non ci credo. Devo tenere occupata la testa ogni istante della mia giornata, altrimenti la depressione prevarica sul lato fisico. Pulisco la mia stanza, esco a far la spesa, faccio ginnastica casalinga, tengo un blog, cerco di curare l’aspetto fisico. In un anno, oltre alla disoccupazione, una serie di fattori hanno reso la quotidianità insopportabile e pesante, tant’è che spesso vorrei non svegliarmi al mattino. Nessuno si è accorto del mio stato psicologico. Gli amici pensano ad un mio lato egoistico. Il mio ragazzo al fatto che sono viziata. Mamma neanche se ne accorge di quanto sto male.
Vorrei prendere una decisione importante, ma non ne ho il coraggio. Vorrei partire e andare lontano. Ma qualcosa mi blocca.
Spero di non averti annoiato. Non è necessario che pubblichi o meno questa storia. Avevo bisogno di raccontarla a qualcuno, per trovare la forza di andare avanti.
Ti auguro buona serata.
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