Avete mai attraversato un periodo particolarmente oscuro della vostra vita? Di quelli in cui si susseguono una sciagura dopo l’altra, ogni scelta sembra quella sbagliata, e i sempre meno frequenti tentativi di rivalsa vengono puntualmente soppressi dal risentimento e dal rimpianto, finché anche l’ultima speranza viene meno, lasciando il posto a una densa e impenetrabile disperazione? La depressione può essere davvero una brutta bestia, si perde la voglia di vivere, ogni azione è accompagnata da un’indolenza insopportabile, una condizione che francamente non augureremo a nessuno, ma a cui talvolta attingere per creare qualcosa di nuovo e affascinante, come nel caso di Disorder, da poco approdato su Steam. Il titolo indie, sviluppato da Swagabyte Games in collaborazione con ScrewAttack Games, è un platform 2D che intrappola il giocatore nella fragile mente dell’anonimo protagonista, un ragazzo tormentato dai fantasmi del suo passato che lo hanno condotto sulla cattiva strada, e che ora scava con affanno tra i suoi ricordi in cerca di sé stesso, redenzione, e forse qualcos’altro; starà a noi guidarlo nel labirinto modellato intorno alle sue memorie, svelando pian piano i suoi trascorsi e gli angoli più bui del suo subconscio, in un intrecciarsi di gioia e dolore, amore e odio, luce e oscurità, una dualità che si riflette anche sulle meccaniche di gioco. Un’esperienza talmente ben orchestrata da toccare persino l’animo di coloro estranei a quanto ritratto, o soltanto un trip allegorico all’insegna di salti nel buio e morti contigue? Vediamo di andare più a fondo della questione…
La presentazione interattiva di Disorder è quanto di più indicativo sulla produzione Swagabyte Games, mettendo a nudo buona parte dei suoi punti cardine, ovvero un’esperienza dalle tinte fosche e dalle atmosfere oniriche, caratterizzata da un ritmo piuttosto lento che permette di coglierne la facciata introspettiva e il simbolismo più o meno velato. Il titolo però fatica a mantenere inalterata questa linea di pensiero, votata al coinvolgimento emotivo del giocatore, lasciando all’anima platform, dapprima quasi di contorno e solo funzionale all’esplorazione delle memorie del protagonista, soppiantare quasi del tutto la componente narrativa, in particolar modo a partire dalla seconda metà di gioco. Questo sviluppo tuttavia non deve sorprendere più di tanto, in quanto naturale evoluzione di una curva di difficoltà nel complesso ben gestita: nelle primissime fasi di gioco infatti il level design è intuitivo e portarsi da un capo all’altro dello stage diventa questione di una manciata di minuti; ciò si traduce in una progressione fluida, accorciando virtualmente le distanze da un checkpoint all’altro, e di conseguenza dai frammenti di vissuto del nostro alter ego, che non rispetto ad uno dei livelli avanzati, dove si deve sudare (e schiattare) parecchio per farsi strada tra gli insidiosi pattern, ai limiti del trial and error. Il punto? Si arriva inevitabilmente ad essere talmente concentrati sulla risoluzione di un frangente ostico da perdere il filo della storia, sempre meno presente sia a schermo che nella propria testa, tanto che nel nostro caso all’avvicinarsi del climax conclusivo ci siamo più volte fermati a ricapitolare quanto appreso finora, smarriti dagli improvvisi cambi di scena, eppure abbiamo mantenuto una soglia d’attenzione abbastanza buona, specie considerando una longevità che si assesta intorno ai 90 minuti, massimo due ore; peccato, le vicissitudini del protagonista, narrate similmente ad un romanzo autobiografico, ci avevano davvero catturato, prima di iniziare a maledire quelle dannate piattaforme a scomparsa s’intende.
In ogni caso, Disorder alla radice resta pur sempre un platform, e anche confezionato con una certa cura. La formula di gioco adotta le meccaniche basate sullo switch di campo già visto in titoli come Giana Sisters: Twisted Dimensions, soluzione azzeccatissima al tema centrale della dualità. Alternare le due immagini del livello permette di liberare il passaggio da ostacoli, garantire un solido appoggio, o una conformazione del terreno idonea alle nostre tutt’altro che impressionanti abilità ginniche, o ancora azionare o invertire meccanismi come piattaforme mobili, torrette fisse, flussi gravitazionali… Una feature chiave in termini pratici, ma al tempo stesso molto significativa per approfondire la figura del protagonista, o dovremo dire della sua mente funestata, protesa da un lato a rimembrare con nostalgia il suo passato, affranta dalle abitudini della sua infanzia ormai perdute e dalle difficoltà incontrate in età adulta, dall’altro incline vedere quest’ultime con malizia, rancore, disprezzo alle volte, verso sé stesso e gli altri, delineando un profilo psicologico tormentato, rispecchiato dal level design e dalla colonna sonora delle location. Due lati della stessa medaglia, l’uno sì desolato, ma in qualche modo ancora vitale, ammantato di colori caldi e melodie malinconiche, che vanno a creare a un’atmosfera di familiarità, gli altri cupi, tetri, distorti, come se usciti da un incubo, un gioco di contrasti di sicuro impatto. Per il resto il gameplay si dimostra piuttosto godibile, a tratti frustrante, ma alla portata di chiunque con un minimo di pazienza; la già menzionata scarsa longevità potrebbe scoraggiare, ma la rigiocabilità è garantita dalla presenza di due finali (legati essenzialmente alla scelta per cui opteremo nel finale) e dai collezionabili nascosti in giro, la cui raccolta permette inoltre di sbloccare sfide aggiuntive, come l’aumento della velocità di gioco o l’eliminazione dei checkpoint intermedi, alla base tra l’altro di un discreto numero di achievement. Quanto al comparto tecnico, il motore grafico 2D non è dei più raffinati che ricordiamo, ma svolge il suo lavoro egregiamente, solo dobbiamo lamentare un’esecuzione delle transizioni un po’ fastidiosa, tra flash e disturbi dell’immagine, una sofferenza per gli occhi qualora ne venga richiesto il suo utilizzo frequentemente.