A tutto c’è un limite, soprattutto quando il limite coincide con l’estensione stessa della cosa, come nel caso dell’esile, sottile, assottigliato cervelletto del politicamente corretto.
Tutto ciò che è irrazionale è reale, tutto ciò che è reale è da accantonare. Questo è il motto del politicamente corretto il cui obiettivo è di modificare lo stato di cose assente per negare il presente. Questa ideologia ha una matrice per lo più di sinistra ma con scappellamento a destra ed affonda le sue radici nella generale idiozia di cui abbonda la nostra post-modernità globale, quella che ama il prossimo suo quando è fesso e lo bombarda se non accetta il suo prepotente amore.
Non avendo i mezzi teorici per interpretare scientificamente il mondo, né quelli pratici per tentare di modificarlo seriamente, i politicamente corretti hanno deciso semplicemente d’ignorarlo, chiamando gli oggetti e le situazioni con un altro nome.
Sei cieco? No, sei ipovedente. Sei sordo? Macché, sei non udente. Sei muto? Ci mancherebbe, sei un predicatore di silenzio. Ma se non vedi, non senti e non parli allora sei il tema preferito di Roberto Saviano, diversamente scrittore, che ti dedica un libro d’inchiesta con inchieste fatte da altri che non vengono nemmeno citati.Sei handicappato? Giammai, sei diversamente abile. Hai un tumore e stai per crepare? Su con la vita, hai solo una neoplasia intraduttale a causa della quale morirai comunque, però senza dare troppo peso all’evento. Sei un padre? Sei una madre? Basta con questi termini arcaici, via le ragnatele linguistiche. Non siamo più nel secolo scorso, sei genitore 1 o genitore 2 e quando abbracci tuo figlio vivi quanto meno un incontro ravvicinato del 3 tipo.
Fine dell’istinto materno e dell’affetto paterno, avanti con la virtualità ibrida dei sentimenti che deresponsabilizza tutti. Esultano le associazioni gay, ovvero gli alternativamente sessuali, tali nel senso che in un certo tipo di coppie si fa un po’ per uno che fa male a ciascuno. Sia chiaro non ho nulla da obiettare sulle unioni tra persone dello stesso sesso, nemmeno su eventuali adozioni da parte di queste, perché se c’è armonia c’è anche speranza di una esistenza abbastanza serena, indipendentemente dagli organi riproduttivi.
Nondimeno, mi è difficile comprendere perché costoro debbano sempre sbattermi in faccia i loro genitali, in chiassose marce carnevalesche dell’orgoglio che non hanno, in quanto se lo avessero non metterebbero in piazza i loro eccessi salivosi, riducendo la complessità umana al mero stantuffo di un libero pene che finisce in un altrettanto libero culo. E che palle! Detto fastidio, senza fare discriminazioni, me lo procurano anche quei maschiacci ormai invecchiati, ex playboy supereterosessuali, i quali non fanno altro che innalzare il loro turgido passato per negare il loro mollissimo e rimpiciolitissimo avvenire.
Infine, risultano davvero insopportabili tutte quelle leggi del politicamente corretto che vorrebbero eguagliare gli individui ma generano disparità anche maggiori tra generi, categorie e soggetti. Tra queste rientrano le norme sulle quote rosa, sul femminicidio e quelle sull’omofobia. Io, invece, rivendico il diritto di essere omofobo perché do un’accezione più ampia della definizione, nel senso che odio il genere umano in tutta la sua composizione. La mia frase preferita è quella di Lenin il quale, dopo aver ascoltato una sonata di Beethoven, confidò a Gor’kij: “Non posso ascoltare la musica. Agisce sui tuoi nervi, ti vien voglia di dire delle sciocchezze e di carezzare gli uomini che, vivendo in un sudicio inferno, seppero creare tanta bellezza. E oggi non puoi carezzare nessuno: ti divorerebbero la mano. Bisogna picchiare sulle teste senza pietà, sebbene il nostro ideale sia di non usare la violenza contro nessuno. Il nostro mestiere è diabolicamente difficile”.
Appunto, vorremmo essere più comprensivi e tolleranti ma con certa gente è impossibile abbozzare, ne inventa sempre una nuova per farti perdere la pazienza. Inoltre, se contesti il loro trasporto umanitario ti accusano di essere arretrato e minacciano di farti arrestare. Preferisco ugualmente restare indietro, per coerenza e lungimiranza. Al cospetto di questo finto progressismo della chiacchiera, di questa dittatura della sciocchezza, le retrovie restano l’unica collocazione di avanguardia.