Freud (1856-1939) il padre della psicanalisi
Credo che la psicanalisi sia stata una delle cinque maggiori scoperte/conquiste del secolo scorso; tra le altre quattro potrei annoverare con giusta causa la scoperta del nucleare attraverso la fissione dell’atomo che è arrivata a rivoluzionare la ricerca nel proprio settore; la diffusione del telefono, pur iniziata come scoperta nel secolo precedente, che è arrivata a rivoluzionare la vita quotidiana delle persone ( sono seguite tutte le nostre scoperte tecnologiche, dal primo apparecchio con il filo alla più complessa sofisticazione degli strumenti mediatici e del web ); la conquista (almeno teorica) dei diritti civili (dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, suffragio universale, divorzio, aborto, pari opportunità…) che è arrivata a rivoluzionare non ancora il comportamento dei singoli e delle società nel mondo occidentale, ma quantomeno i fondamenti teorici dell’etica sociale e civile con un respiro planeatario; nella società orientale si è fatto anche molto di più arrivando ad incarnare l’esempio umano di come si può concretamente operare una rivoluzione nel nome della non violenza, anche se questo stesso esempio non ha potuto significare la conquista definitiva dell’equilibrio; infine la scoperta della Nuova Medicina Germanica (purtroppo solo ai suoi primi passi ed ancora tutta da convalidare e da diffondere) che solo nel nuovo secolo penso, o quanto meno spero, arriverà a rivoluzionare la classe medica ed il legame tra uomo e malattia, già fortificatosi di per sé attraverso tutte le proprie conquiste realizzatesi in lunghi anni nei laboratori di ricerca.
Parlando proprio di psicanalisi, Freud ha avuto il grande merito d’ elaborare l’indagine della psiche come pratica quotidiana che permette lo svisceramento delle psicosi individuali e collettive.
Grazie a questo genio della ricerca scientifica e medica un numero pressoché vario di persone si reca normalmente, dopo cento anni dalla nascita della psicanalisi, da un analista o dal neurologo (anche per disturbi specifici di varia natura che richiedono il supporto di farmaci) per confidare ad uno specialista il proprio disagio mentale/psicologico, al fine di arrivare a prendere coscienza dei propri bisogni nascosti/inconsci rendendoli di contro consapevoli. La conquista della consapevolezza migliora di per sé la qualità della vita del singolo, aiuta l’individuo ad affrontare meglio la quotidianità, lo fortifica proprio sotto il profilo psicologico e dunque comportamentale.
Potrei dire che manca ancora il passaggio successivo, ossia la psicologia avrà conquistato il posto che le spetta nella medicina quando non sarà più il malato a recarsi spontaneamente o su indicazione da un medico per un probabile o evidente problema psichico, ma sarà il medico stesso, a qualcunque ramo esso appartenga, ad indagare per prassi sotto il profilo psicologico il malato in merito la sua malattia.
E’ vero che, come sosteneva lo stesso Freud, la psicanalisi non permette e non ha permesso e ne mai permetterà di per sè il raggiungimento della felicità, non ha questa facoltà miracolistica, essendo questa sostanzialmente legata al proprio destino, a un percorso temporale e casuale non dipendente dalla propria stessa volontà, ma quantomeno permette l’acquisizione della propria autocoscienza, ed è questo che serve alla persona per non sentirsi più vittima impotente di condizionamenti opprimenti ed oppressivi solo perchè sconosciuti.
Il merito assoluto della psicanalisi è stato proprio quello di occuparsi della mente, ossia di quella parte dell’organismo umano che tutt’oggi la medicina in gran parte disconosce nel suo specifico funzionamento e nella sua assoluta importanza. Se infatti la medicina si occupasse in modo serio e non occasionale o estemporaneo dei pensieri nascosti, quelli che abitano il nostro silenzio che se osservato nell’atmosfera ovattata del suo elemento naturale diventerebbero voci assordanti, figure colorate, accese, sempre in movimento e come sospese tra l’immaginifico ed il reale, si renderebbe conto da sè degli errori commessi nel passato e di quelli evitabili nel futuro. Questa è in altre parole la psicanalisi: entrare nel mondo dell’invisibile per conoscere ciò che è vero e ciò che muove il mondo di superficie; sopra (la superficie) gli alberi, i prati, le case, le persone, gli animali e le strade; sotto (la superficie) le radici, il concime, le fondamenta, i ricordi, i compagni senza parola e le pietre che dicono senza bisogno di parlare se gli alberi cresceranno, se i prati fioriranno, se le case diventeranno caseggiati, le persone generazioni, gli animali la nostra compagnia silenziosa, o le strade lunghi sentieri urbani popolati di carri carichi di ogni ben di Dio piuttosto che di rifiuti destinati all’inceneritore. Nel regno del tutto è possibile vigila un’assoluta serietà, nulla sta lì senza una ragione, tutto è necessario, ogni ingranaggio è parte di un discorso corale che sta solo al lavoro dell’interpretazione di portare in superficie.
Attraverso il dialogo psicanalitico/psichiatrico aiutato dall’ ipnosi, ossia dal catarsi dei sensi, come anche dalla libera associazione dei pensieri incoraggiati dall’abilità dell’analista , la persona riesce a risalire attraverso la memoria a traumi che si annidano nel passato più o meno recente, fin nella propria più remota infanzia, i quali stessi sono fonte di malessere, angosce o psicosi che diversamente rimarrebbero senza un perché e senza uno sbloccamento/superamento psicologico.
Raccomandava Freud ai suoi colleghi alle prime armi ed impazienti di dare subito delle spiegazioni ai loro sintomi sotto indagine: ” Non spieghi. Le ragioni verranno al tempo dovuto. Quando una persona mi dice qualcosa, io non tento di trovare immediatamente le ragioni. So che col tempo emergeranno. Oliver Cromwell, credo, diceva: “non si va mai così lontano come quando non si sa dove si va”. Così è in analisi.”
Lo straordinario e rivoluzionario vantaggio di questo studio della mente è stato quello di rendere la persona protagonista, attiva e non più passiva, almeno per l’aspetto psicologico/interiore, verso il proprio stato mentale; se si hanno delle depressioni, se si hanno delle ossessioni, delle paure, dei profondi desideri incontrollabili, delle pulsioni improvvise o radicate che siano, si può capirne la ragione, e una volta capita la ragione è più facile riuscire a costruire il giusto comportamento, la giusta reazione al disagio vissuto e operante in noi. Operante in noi ma anche riversato sulle persone coinvolte che possono trovarsi chiamate, direttamente o indirettamente, a darsi delle spiegazioni, ad elaborare strategie di risposta e di reazione compatibili e, si spera, proporzionate ed idonee. La psicanalisi, ed in senso lato la psicologia, sono terapie di carattere sociale; operano nel singolo ma si riflettono nel sociale, hanno l’attenzione massima sulla persona ma portano il loro ultimo beneficio alla collettività.
In altre parole, non è più solo il malato effettivo che va dallo psichiatra ( anzi, purtroppo lo psicopatico/affetto da perversioni non si rivolge affatto a chi si dovrebbe rivolgere se non quando vi è costretto o quando magari la malattia ha già prodotto effetti devastanti e pericolosi), ma è più che mai il cosiddetto sano di mente che si rivolge , non al medico psichiatrico per averne delle medicine che sono solo di per sé dei palliativi e dei tamponamenti di un male che continua ad essere operante, ma al medico psichiatrico per averne un evidente e reale beneficio, per non essere più vittima passiva di meccanismi interiori sconosciuti, arrivando alla prioritaria scoperta di sé e dei propri bisogni vitali o meno prioritari che siano.
Inizialmente l’accettazione della psicanalisi ha messo a dura prova l’essere religioso delle persone (per opera di una certa politica di oscurantismo da parte delle gerarchie ecclesiastiche che avrebbero voluto tenere l’individuo chiuso nella sua presunta radicalità e nei suoi pregiudizi, relegato in definitiva all’ignoranza perpetua, alla mortificazione dell’io, all’alienazione del sè) o comunque lo stesso concetto di medicina tradizionale che per medesima ignoranza e pregiudizio, quando non è per interesse, ha sempre minimizzato, deviato e non compreso l’utilità imprescindibile di questa forma di assistenza medica collaterale; quando si hanno dei problemi di natura psicologica, non serve reprimerli, nasconderli o negarli, come non serve curarli con i soli farmaci del caso, occorre invece renderli manifesti al proprio inconscio, contro l’errore tutto di origine ostruzionista e refrattaria che spingerebbe la persona a tacere il proprio impulso interiore perché ritenuto indegno, o disapprovabile, o inconfessabile …
Ne saprebbe qualcosa a tal proposito la lunga e magistrale esperienza di terapeuta del nostro interessato che ha sempre cercato in merito lo svisceramento liberatorio e liberatore delle pieghe più intime e nascoste della psiche.
In definitiva l’essere evoluto o che non rinuncia ad evolversi, è spesso preso tra due aspetti personali contrapposti, tra due esigenze entrambi ineliminabili, che necessitano per questo d’essere conciliate e convissute in armonia. Nè fa eccezione lo stesso Freud che per tutta la vita fu chiamato a conciliare il suo essere uomo di scienza, aperto alla modernità e al liberalismo più tollerante, uomo di sapere, erudito, evoluto, avanguardista e laico, con il suo essere ebreo, legato profondamente nell’intimo del proprio sentire al suo essere appartenente ad una storia ben precisa, espressione del proprio popolo, delle proprie radici, della propria tradizione a cui mai vorrà rinunciare. Si vuole sottolineare l’espressione nell’intimo del proprio sentire, come dire, il proprio credo o l’appartenere ad una certa tradizione è sostanzialmente una questione privata e non pubblica; è una questione privata che va ovviamente garantita e mai ostacolata in nessuna maniera, fino a che non assume la pretesa di diventare regola dello Stato; per non avere conflittualità e problemi di convivenza evitabili, bisogna tenere separati i due ambiti che, se tenuti scissi, nè si ostacolano nè si minacciano. E’ questo un tema complicatissimo che ha meritato e che meriterebbe di per sè la scrittura di innumerevoli libri.
Per quanto riguarda la coesistenza di due esigenze legate all’io in apparenza contraddittorie, occorre dire che genera di per sè sofferenza; tale sofferenza va sublimata, non ci si deve preoccupare di eliminarla o di evitarla perchè dannosa o ingiusta; l’amore per la verità interiore (ossia la sola verità che deve guidare le scelte dell’essere) permette la sopportazione di tale dolore psichico, che è di per sè generatore di pensieri fecondi e di forza e sensibilità creative. Sempre quando se ne raggiunge la totale consapevolezza.
Vorrei riportare le amorevoli e religiosissime parole che il padre di Freud, semplice commerciante di spezie, riservava a suo figlio nel giorno del suo trentacinquesimo compleanno, quando gli regalò la Bibbia familiare che a sua volta lui stesso consegnerà in dono a suo figlio nel giorno del suo settimo compleanno: “Mio caro figlio Schlomo, nel settimo anno della tua vita lo spirito del Signore si impadronì di te (Giudici, 13,25) ed Egli si rivolse a te: va leggi il mio libro, Io l’ho scritto e le fonti dell’intelligenza, del sapere e della comprensione si apriranno in te. Vedi qui il libro dei libri, è ad esso che i saggi hanno attinto, da esso che i legislatori hanno appreso lo statuto e il diritto (Numeri, 21,8); tu hai visto il volto dell’Onnipotente, tu hai udito e cercato di innalzarti, tu hai volato sulle ali dello Spirito(Salmi, 18,11). Da tempo il libro era nascosto come i frammenti delle Tavole della Legge nel reliquario del suo servitore (tuttavia) nel giorno del tuo trentacinquesimo compleanno l’ho ricoperto con una nuova rilegatura di cuoio e l’ho chiamati: “Fonte sgorga! Canta per lui!” (Numeri, 21,7) e te l’ho portata in ricordo, in memoria dell’amore. “
(nota bene: il nome iniziale completo del nostro era Schlomo Sigmund Freud, nome che fu dallo stesso modificato nel solo Sigmund Freud)
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In questo contesto siamo abissalmente lontani dal tradizionale modo di intendere la malattia mentale: non si sta parlando di malati che hanno evidenti patologie neurologiche ed evidenti deviazioni comportamentali, non si sta parlando di persone che coltiverebbero istinti criminali, né si sta parlando di specifiche e conclamate turbe mentali di soggetti che ordinariamente per assurdo non trovano nemmeno l’adeguata assistenza psichiatrica.
(Rimane questo un campo assai complesso e problematico che andrebbe adeguatamente indagato e supereindagato dalla medicina; occorrerebbe affrontare in campo sociale un dibattito specifico intorno alla legge Basaglia ed alla sua dolorosa eredità.)
Si sta invece solo parlando della persona malata nella sua quotidianità ordinaria, dove tutti noi siamo chiamati ad affrontare piccoli o grandi conflitti di varia natura, come per esempio eventi di separazione, di perdita, di cambiamenti improvvisi e radicali, di aggressione, di competizione o di altri stati particolarmente stressanti che mettono a dura prova l’equilibrio e la serenità del comportamento.
Sono stati fatti enormi passi in avanti in questo senso; le scuole, gli ospedali, i luoghi di lavoro a rischio ecc. hanno tutti ormai ( risorse permettendo) il loro sportello di assistenza psicologica o di “ascolto”; nascono in continuazione centinaia di progetti tutti rivolti alla salute mentale. Purtroppo non si fa mai abbastanza perchè il primo ed elementare bisogno della persona è il bisogno di raccontarsi ed il bisogno d’essere ascoltato.
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Mi ha sempre attirato il credo religioso di appartenenza di un pensatore, perchè m’ incuriosisce l’idea di come e se la propria appartenenza religiosa possa in qualche modo influenzare/determinare/incoraggiare il proprio pensiero ed il proprio impegno sociale; alla fine ho potuto elaborare il convincimento che tale appartenenza di fede o di razza (nel caso specifico degli ebrei) non influenzi/determini o incoraggi affatto il proprio modo di lavorare o di intendere l’impegno sociale/pubblico. Vedasi Einstein che si proclamava ateo e si adoperò con grande successo al miglioramento della società; vedasi lo stesso Freud che non volle mai essere praticante nè particolarmente religioso (lui stesso si definisce un miscredente) ed è stato uno dei maggiori protagonisti del pensiero medico del 900. Vedasi Arendt, filosofa del pensiero politico, atea ed impegnata nel tessuto sociale/pubblico in un senso particolarmente attivo. Vedasi Marx, ateo e fondatore della filosofia del lavoro. Tutti ebrei (solo in questo specifico caso), tutti atei, tutti benefattori dell’umanità. Al contrario quando la propria presunta fede si trasforma in fanatismo ed in radicalismo o integralismo, questa stessa presunta fede influenza enormemente il proprio agire pubblico e sociale, e sempre in senso negativo, perchè questo genere di fede si trasforma in pregiudizio ossia in falsa fede.
Insomma, un conto è quello che sentiamo di volere conservare e dichiarare di noi stessi, un conto è quello che nel nome della scienza e della verità riusciamo a trasmettere al prossimo, un prossimo dove il sistema sociale deve essere rigorosamente laico, aconfessionale, antidogmatico e apartitico.
In quanto io stessa filosofa, non posso non sottolineare il fatto che la psicanalisi/psicologia sposa benissimo la filosofia per la sua naturale attenzione all’antropologico.
Vedasi il sito di Paola Zaretti come uno tra i tanti che si è attivato nel mondo dei blog per coniugare: attenzione alla parola con attenzione all’uomo e a tutte le sue problematiche di vita, nonchè utilizzo della psicanalisi nel sociale.
Vedasi anche il saggio di Giorgio Abraham Il sogno del secolo – la psicanalisi cent’anni dopo