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Diventare psicanalisti/psicologi di se stessi: omaggio a Freud

Creato il 04 marzo 2010 da Dallomoantonella

  Freud (1856-1939)   il padre della psicanalisi    Diventare psicanalisti/psicologi  di se stessi: omaggio a Freud

Credo  che la psicanalisi  sia stata una delle cinque maggiori scoperte/conquiste del secolo scorso; tra  le altre quattro potrei annoverare  con giusta causa la scoperta del nucleare attraverso la fissione dell’atomo che  è  arrivata  a rivoluzionare la ricerca nel proprio settore;  la diffusione  del telefono, pur iniziata come scoperta nel secolo precedente, che è arrivata a rivoluzionare la vita quotidiana delle persone ( sono  seguite  tutte le nostre scoperte tecnologiche, dal primo apparecchio con il filo  alla più complessa sofisticazione degli strumenti mediatici e del web );  la conquista (almeno teorica) dei diritti civili (dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, suffragio universale, divorzio, aborto,  pari opportunità…) che è arrivata  a rivoluzionare non ancora  il comportamento dei singoli e delle società nel mondo occidentale, ma quantomeno i fondamenti teorici  dell’etica sociale e civile  con un respiro planeatario; nella società orientale  si è fatto  anche molto di più arrivando ad incarnare  l’esempio  umano di come si può concretamente operare una rivoluzione nel nome della non violenza, anche se questo stesso esempio  non ha potuto significare la conquista definitiva  dell’equilibrio; infine  la scoperta della Nuova Medicina Germanica (purtroppo solo ai suoi primi passi  ed ancora tutta da convalidare e da diffondere) che solo nel nuovo secolo penso, o quanto meno spero, arriverà a rivoluzionare la classe medica ed  il legame tra  uomo e malattia,  già fortificatosi  di per sé attraverso  tutte le proprie conquiste realizzatesi    in lunghi anni  nei laboratori di ricerca.

Parlando   proprio di psicanalisi,   Freud  ha avuto il grande merito  d’ elaborare  l’indagine della psiche  come pratica quotidiana  che  permette  lo svisceramento delle psicosi individuali e collettive.

Grazie  a  questo genio della ricerca scientifica e medica  un numero pressoché  vario di persone si reca normalmente, dopo cento anni dalla nascita della psicanalisi,   da un analista  o  dal neurologo   (anche per disturbi specifici di varia natura che richiedono il supporto di farmaci)  per  confidare ad uno specialista   il proprio disagio mentale/psicologico,  al fine di  arrivare a prendere coscienza  dei propri bisogni nascosti/inconsci rendendoli di contro  consapevoli.    La conquista   della consapevolezza migliora di per sé la qualità della vita del singolo, aiuta l’individuo ad affrontare meglio  la quotidianità, lo fortifica proprio  sotto il profilo  psicologico e dunque comportamentale.

Potrei dire che manca ancora il passaggio successivo, ossia la psicologia avrà conquistato il posto che le spetta nella medicina quando non sarà più il malato a recarsi spontaneamente  o su indicazione da un medico per un probabile o evidente problema psichico, ma sarà il medico stesso, a qualcunque ramo esso appartenga,  ad indagare   per prassi  sotto il profilo psicologico il malato in merito la sua malattia.

E’ vero che, come sosteneva lo stesso Freud, la psicanalisi  non permette e non ha permesso e ne mai permetterà  di per sè  il raggiungimento della felicità, non ha questa  facoltà  miracolistica,  essendo questa sostanzialmente legata al proprio destino, a un percorso temporale e casuale non dipendente dalla propria stessa volontà, ma quantomeno  permette  l’acquisizione della propria autocoscienza, ed è questo che serve  alla persona per  non sentirsi più vittima  impotente  di  condizionamenti  opprimenti ed oppressivi solo perchè sconosciuti.

Il merito assoluto  della psicanalisi  è stato proprio quello di occuparsi della mente, ossia di quella parte dell’organismo umano  che    tutt’oggi la medicina  in gran parte disconosce  nel suo specifico funzionamento e nella sua assoluta  importanza. Se infatti la medicina si occupasse in modo serio e non occasionale o estemporaneo  dei pensieri nascosti, quelli che abitano il nostro silenzio che se osservato nell’atmosfera ovattata del  suo elemento naturale  diventerebbero voci assordanti, figure colorate, accese, sempre in movimento e come  sospese tra l’immaginifico ed   il reale,  si renderebbe conto da sè degli errori commessi nel passato e di quelli evitabili nel futuro. Questa è in altre parole la  psicanalisi: entrare nel mondo dell’invisibile per conoscere ciò che è vero  e ciò che muove il mondo di superficie; sopra (la superficie) gli alberi, i prati, le case, le persone, gli animali  e le strade; sotto (la superficie) le radici, il concime, le fondamenta,  i ricordi, i compagni senza parola   e le pietre che dicono  senza bisogno di parlare se gli alberi cresceranno, se i prati fioriranno, se le case diventeranno  caseggiati,  le persone  generazioni,  gli animali  la nostra compagnia silenziosa, o le strade  lunghi   sentieri urbani  popolati  di carri carichi di ogni ben di Dio  piuttosto che di  rifiuti  destinati all’inceneritore. Nel regno del tutto è possibile vigila un’assoluta  serietà, nulla sta lì senza una ragione, tutto è necessario, ogni ingranaggio è parte di un discorso corale  che sta solo al lavoro dell’interpretazione di portare in superficie.

Attraverso il dialogo psicanalitico/psichiatrico aiutato dall’ ipnosi, ossia dal catarsi dei sensi,  come anche  dalla libera associazione dei pensieri  incoraggiati  dall’abilità  dell’analista , la persona  riesce a risalire attraverso  la memoria  a traumi che si annidano nel passato più o meno recente, fin nella propria più remota infanzia, i quali  stessi  sono fonte di malessere,  angosce o   psicosi che diversamente rimarrebbero senza un perché e senza uno sbloccamento/superamento  psicologico.

Raccomandava Freud ai suoi colleghi alle prime armi ed impazienti di dare  subito delle spiegazioni ai loro  sintomi  sotto indagine: ” Non spieghi.  Le ragioni verranno al tempo dovuto. Quando una persona mi   dice qualcosa, io non tento di trovare immediatamente le ragioni. So che col tempo emergeranno. Oliver Cromwell, credo, diceva: “non si va mai così lontano come quando  non si sa dove si va”. Così è in analisi.”

Lo straordinario  e rivoluzionario vantaggio  di questo studio  della mente  è stato quello di  rendere la persona  protagonista, attiva e non più passiva, almeno per l’aspetto  psicologico/interiore,  verso  il proprio stato  mentale; se si hanno delle depressioni, se si hanno delle ossessioni, delle paure, dei profondi desideri  incontrollabili, delle pulsioni  improvvise o radicate che siano,  si può capirne la ragione, e una volta capita la ragione è più facile riuscire a costruire il giusto comportamento, la giusta reazione  al disagio vissuto e operante in noi. Operante in noi ma anche  riversato sulle persone coinvolte  che  possono trovarsi  chiamate, direttamente o indirettamente,   a darsi delle spiegazioni,  ad elaborare strategie di risposta  e di reazione  compatibili  e, si spera,  proporzionate  ed idonee.  La  psicanalisi, ed in senso lato la psicologia,  sono terapie di carattere sociale; operano nel singolo ma si riflettono nel sociale, hanno l’attenzione massima sulla persona ma portano il loro ultimo beneficio  alla collettività.

In altre parole, non è più solo il malato effettivo  che va dallo psichiatra ( anzi,  purtroppo lo psicopatico/affetto da perversioni  non  si rivolge affatto  a chi si dovrebbe rivolgere  se non  quando vi è costretto o quando magari   la malattia  ha già prodotto effetti  devastanti  e pericolosi), ma è più che mai il cosiddetto sano  di mente  che si rivolge , non al medico psichiatrico  per averne delle medicine che sono solo di per sé dei palliativi e dei tamponamenti  di un male che continua ad essere operante, ma  al medico psichiatrico  per averne un evidente e reale beneficio,  per non essere più vittima passiva  di meccanismi interiori sconosciuti, arrivando alla  prioritaria  scoperta di sé e dei propri  bisogni  vitali o meno prioritari che siano.

Inizialmente  l’accettazione  della psicanalisi  ha messo  a dura prova l’essere religioso delle persone (per opera di una certa politica di oscurantismo da parte delle   gerarchie ecclesiastiche che avrebbero voluto  tenere l’individuo chiuso nella sua  presunta radicalità e nei suoi pregiudizi, relegato in definitiva all’ignoranza perpetua, alla mortificazione dell’io, all’alienazione  del sè) o  comunque lo stesso concetto di medicina  tradizionale  che per medesima  ignoranza e pregiudizio, quando non è per interesse,  ha sempre  minimizzato, deviato e non compreso l’utilità  imprescindibile   di questa forma di assistenza medica  collaterale; quando si hanno dei problemi di natura  psicologica, non serve reprimerli, nasconderli  o  negarli, come non serve curarli con i soli farmaci  del caso, occorre invece  renderli manifesti al proprio inconscio,  contro l’errore tutto  di origine  ostruzionista e refrattaria   che  spingerebbe la persona  a   tacere il proprio impulso  interiore  perché ritenuto indegno, o disapprovabile,  o inconfessabile …

Ne   saprebbe  qualcosa a tal proposito  la lunga  e   magistrale  esperienza  di  terapeuta del nostro  interessato   che  ha sempre cercato in merito  lo svisceramento  liberatorio e liberatore  delle pieghe più intime e nascoste  della psiche. 

In definitiva l’essere  evoluto  o che non rinuncia ad evolversi,  è spesso preso tra due  aspetti  personali  contrapposti,  tra due esigenze entrambi  ineliminabili,  che necessitano per questo d’essere conciliate  e  convissute in armonia. Nè fa  eccezione  lo stesso  Freud che per tutta la vita fu chiamato a conciliare il suo essere uomo di scienza, aperto alla modernità e al liberalismo più tollerante, uomo di sapere, erudito, evoluto, avanguardista  e laico, con il suo essere ebreo, legato profondamente  nell’intimo del proprio sentire  al suo essere appartenente ad una storia ben precisa, espressione del proprio popolo, delle  proprie radici, della  propria tradizione a cui mai vorrà rinunciare. Si vuole sottolineare l’espressione nell’intimo del proprio sentire, come dire, il proprio credo o l’appartenere ad una certa tradizione  è sostanzialmente   una questione privata e non pubblica; è una questione privata  che va ovviamente garantita e mai ostacolata in nessuna maniera, fino a che non assume la pretesa  di diventare regola dello  Stato;  per non avere conflittualità e problemi di convivenza  evitabili, bisogna tenere separati  i due ambiti che, se tenuti scissi, nè si  ostacolano nè si minacciano. E’ questo un tema complicatissimo  che ha meritato e che meriterebbe di per sè   la scrittura di  innumerevoli libri.

Per quanto riguarda la coesistenza   di due esigenze  legate all’io  in apparenza contraddittorie, occorre dire che  genera di per sè sofferenza;  tale  sofferenza va sublimata, non  ci si deve preoccupare di eliminarla o  di  evitarla perchè  dannosa o ingiusta;  l’amore per la verità interiore (ossia la sola verità  che deve guidare le scelte dell’essere)   permette la sopportazione di tale dolore psichico, che è di per sè generatore  di   pensieri fecondi  e di forza e sensibilità creative.  Sempre quando se ne raggiunge la totale consapevolezza.

Vorrei riportare le amorevoli  e religiosissime parole che  il padre di  Freud, semplice commerciante di spezie, riservava a suo figlio   nel giorno del suo trentacinquesimo compleanno, quando gli regalò la Bibbia  familiare  che a sua volta  lui stesso consegnerà  in dono a suo figlio   nel  giorno del suo  settimo  compleanno:  “Mio caro figlio  Schlomo,  nel settimo anno della tua vita lo spirito del   Signore  si impadronì di te (Giudici, 13,25) ed Egli si rivolse a te: va leggi il mio libro, Io l’ho scritto e le fonti dell’intelligenza, del sapere e della comprensione si apriranno in te. Vedi qui il libro dei libri, è ad esso che i saggi hanno attinto, da esso  che i legislatori hanno appreso lo statuto  e il diritto  (Numeri, 21,8); tu hai visto il volto dell’Onnipotente, tu hai udito e cercato di innalzarti, tu hai volato sulle  ali dello Spirito(Salmi, 18,11).  Da tempo  il libro era nascosto  come i frammenti  delle Tavole della Legge nel reliquario del suo servitore (tuttavia) nel giorno del tuo trentacinquesimo compleanno   l’ho ricoperto con una nuova rilegatura  di cuoio e l’ho chiamati: “Fonte sgorga! Canta per lui!” (Numeri, 21,7)  e te l’ho portata in ricordo, in memoria dell’amore. “

(nota bene: il nome iniziale completo del nostro era Schlomo Sigmund Freud, nome che fu dallo stesso modificato nel solo   Sigmund Freud)

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In questo contesto  siamo abissalmente lontani   dal tradizionale modo  di intendere  la malattia mentale:  non si sta parlando di malati  che hanno evidenti patologie neurologiche  ed evidenti deviazioni  comportamentali, non si sta parlando  di   persone che coltiverebbero istinti criminali, né si sta parlando  di specifiche e conclamate turbe mentali  di soggetti  che  ordinariamente  per assurdo  non  trovano nemmeno   l’adeguata  assistenza psichiatrica. 

(Rimane questo un campo  assai complesso e problematico  che andrebbe  adeguatamente indagato e supereindagato  dalla medicina; occorrerebbe affrontare  in campo sociale  un  dibattito   specifico intorno alla legge Basaglia ed alla sua  dolorosa  eredità.)

Si sta invece  solo   parlando   della persona  malata  nella sua  quotidianità  ordinaria, dove  tutti noi siamo  chiamati  ad affrontare piccoli o grandi  conflitti di varia natura,  come per esempio eventi di separazione, di perdita, di cambiamenti improvvisi e radicali, di  aggressione,  di competizione  o di altri stati particolarmente stressanti  che mettono  a dura prova  l’equilibrio e   la serenità  del comportamento.

Sono stati fatti enormi passi in avanti in questo senso; le scuole, gli ospedali, i luoghi di lavoro a rischio ecc.   hanno tutti ormai  ( risorse permettendo) il loro sportello di assistenza  psicologica o di  “ascolto”;  nascono in continuazione centinaia di progetti tutti rivolti  alla salute mentale. Purtroppo non si fa mai abbastanza perchè il primo ed elementare bisogno della persona è il bisogno di raccontarsi ed il bisogno d’essere ascoltato.

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Mi ha sempre attirato il credo religioso di appartenenza di un pensatore, perchè m’ incuriosisce l’idea di come e se  la propria appartenenza religiosa  possa in qualche  modo influenzare/determinare/incoraggiare  il proprio  pensiero ed il proprio  impegno sociale;  alla fine  ho potuto elaborare  il convincimento  che tale appartenenza di fede  o di  razza  (nel caso specifico degli ebrei)  non influenzi/determini o incoraggi  affatto   il proprio  modo di lavorare o di intendere l’impegno sociale/pubblico.  Vedasi Einstein che si proclamava ateo e si adoperò con grande successo al  miglioramento della società; vedasi lo stesso Freud che non volle mai essere praticante nè particolarmente religioso (lui stesso si definisce un miscredente) ed è stato uno dei maggiori protagonisti del pensiero medico del 900.  Vedasi  Arendt, filosofa del pensiero politico, atea  ed impegnata nel tessuto sociale/pubblico  in un senso particolarmente  attivo.  Vedasi Marx, ateo e fondatore della filosofia del lavoro.  Tutti ebrei  (solo in questo specifico caso), tutti atei, tutti benefattori dell’umanità. Al contrario  quando la propria presunta fede  si trasforma in fanatismo ed in radicalismo o integralismo,  questa stessa presunta fede influenza enormemente il proprio agire pubblico e sociale, e sempre in senso negativo, perchè  questo genere di  fede si trasforma in  pregiudizio ossia in falsa fede.

Insomma, un conto è quello che sentiamo di volere conservare e dichiarare di noi stessi, un conto è quello che nel nome della scienza e della verità riusciamo a trasmettere al prossimo, un prossimo dove il sistema sociale deve essere rigorosamente laico, aconfessionale, antidogmatico e apartitico.

In quanto io stessa filosofa,  non posso non sottolineare il fatto   che  la psicanalisi/psicologia sposa benissimo la filosofia per la sua naturale attenzione all’antropologico.

Vedasi il sito di   Paola Zaretti   come uno tra i tanti  che   si è attivato nel mondo dei blog  per coniugare:  attenzione alla parola con attenzione all’uomo e a tutte le sue  problematiche di vita,  nonchè utilizzo della psicanalisi nel sociale.

Vedasi  anche il saggio   di Giorgio  Abraham   Il sogno del secolo – la psicanalisi cent’anni dopo


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