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le pellicole che – dicono – stanno sbancando al botteghino
Divergent
Titolo: Divergent
Regia: Neil Burger
Sceneggiatura: Evan Daugherty, Vanessa Taylor
Genere: YA, distopico
Durata: 140 minuti
Interpreti:
Shailene Woodley: Tris,
Theo James: Quattro,
Ashley Judd: Natalie Prior,
Kate Winslet: Janine Matthews,
Jai Courtney: Eric
Nelle sale italiane dal: 3 Aprile 2014
Trama: Trasposizione dell’omonimo romanzo di Veronica Roth, dove i superstiti di una guerra che ha sconvolto l’equilibrio mondiale si rifugiano all’interno di una città recintata e danno vita a una nuova società rigidamente divisa in fazioni che raggruppano gli individui in base al loro temperamento. Alcuni, però, hanno personalità sfaccettate refrattarie alla tradizionale ripartizione delle fazioni. Sono chiamati “divergenti” e sono visti come una minaccia per l’ordine costituito.
di Jake DiSpade
Ennesimo tentativo di traghettare un ciclo letterario YA sul grande schermo; per il momento solo Hunger Games è riuscito a portare avanti un franchise solido, ed è stato forse favorito dalle sorti della sua attrice protagonista; per il resto pare che nessuno riesca a emulare il successo di Twilight, apripista storico della tendenza, nonostante i molti titoli succedutisi. Forse “Divergent” ha gli ingredienti giusti per guadagnarsi la trasposizione dell’intera trilogia.
Il perno centrale di tutta la storia è il sistema delle fazioni in cui è ripartita la società: si tratta di un ordinamento alquanto improbabile che ricorda molto da vicino quello descritto nella Repubblica di Platone. Ogni individuo, raggiunta la maggiore età, deve affrontare la scelta della fazione e da quel momento si dedica completamente a essa, lasciando anche la famiglia. La scelta è libera, ma i giovani vengono sottoposti a un test attitudinale per conoscere a quale fazione sono naturalmente predisposti. Le cinque fazioni sono: i Candidi (persone sincere a cui è affidata la giustizia e la legislazione), i Pacifici (persone miti che lavorano la terra), gli Eruditi (persone intelligenti a cui è affidato l’insegnamento e la ricerca), gli Intrepidi (coraggiosi che formano le forze dell’ordine) e gli Abneganti (altruisti a cui è affidato il governo) di cui fa parte la famiglia di Tris. Esistono anche gli “Esclusi” che, non avendo superato l’iniziazione, non appartengono a nessuna fazione e sono costretti a mendicare.“Divergent” si configura essenzialmente come una storia di formazione. Ciò è evidente fin dal principio, quando la protagonista Tris partecipa a un rituale di passaggio collettivo in cui i giovani sono chiamati ad assumersi la responsabilità di scegliere il proprio destino. Comincerà così l’iniziazione di Tris nella fazione degli Intrepidi, che la porterà all’autoaffermazione e al riconoscimento sociale. Gli iniziati devono affrontare prove e sottoporsi al giudizio degli istruttori in un ambiente competitivo ispirato ai talent show televisivi, con tanto di classifiche, eliminazioni e flirt vari. Il messaggio della pellicola è duro e inequivocabile: lasciato il nido familiare, la vita è una lotta per la sopravvivenza; si può scegliere quale strada intraprendere, ma le opzioni sono limitate ai binari imposti dalla società, dove ci sarà in ogni caso da sgomitare per rimanere a galla. Chi perde il treno sarà Escluso e dovrà portare tale stigma per tutta la vita.
Le tematiche sono quelle tipiche del genere distopico: spersonalizzazione dell’individuo, controllo sociale e ribellione. La forza motrice non è, però, come avviene in genere, l’apparato mediatico. Le fantasiose dottrine della distopia sono veicolate attraverso il focolare domestico e rinforzate attraverso il cameratismo all’interno della sottocomunità di appartenenza. “Divergent” quindi, con la sua medievaleggiante cittadella fortificata, lascia i sentieri ormai fin troppo battuti della deriva ipermediale, per proporre una distopia che torna a rapporti interpersonali concreti e genuini. Essenziale è anche il ruolo della tecnologia, che in quest’opera assume i contorni della magia alchemica: gli iniziati devono bere una sorta di “pozione” che è, in realtà, uno psicotropo capace di indurre allucinazioni. Questo serve sia a eseguire test attitudinali, sia come strumento di crescita personale, sia come mezzo di controllo. È interessante notare come non ci sia mai una demonizzazione della tecnologia, che viene usata sia da eroi che da antagonisti per diversi fini (esemplare a questo proposito è il finale).La parte più riuscita del film è sicuramente la storia d’amore, che si sviluppa in maniera semplice e lineare, sfruttando la concretezza di una dinamica molto ricorrente (l’infatuazione verso l’istruttore).
La sceneggiatura fa evolvere il loro rapporto gradualmente, senza mutamenti di stato repentini e senza terzi incomodi di mezzo; volendo trovare qualche sbavatura, questa è semmai l’eccessiva cautela di Tris (non si arriva al sesso). La possibilità di condividere emozioni, paure e i segreti più intimi attraverso l’allucinazione condivisa, inoltre, è un ottimo espediente per costruire un simulacro del processo di scoperta dell’altro e di crescita comune nella coppia. “Quattro” funziona: Theo James è bello e sexy, capace di passare agilmente dall’istruttore autoritario, al motivatore, fino al tenero amante. Per Tris i produttori hanno cercato come al solito la “bella ma non troppo”, finendo per scegliere la Woodley; la sua interpretazione è convincente, anche se in alcune scene il viso imbellettato risulta incoerente con il clima da “tana delle tigri” in cui si trova.
In definitiva, un buon prodotto, ma sempre visto in prospettiva di genere: non è possibile apprezzare più di tanto questo tipo di produzioni che hanno alla base un’estetica un po’ goffa. I costumi sono sciatti e anonimi e le scene di azione o combattimento semplicemente ridicole (a cominciare dalla guardia che viene insegnata agli iniziati); tutti i personaggi minori sono bidimensionali, persino quello della Winslet, e i dialoghi pensati per un pubblico adolescente. Il livello tecnico è praticamente quello di una serie TV, anzi, forse oggi si trovano esempi di serial superiori a questo film, e i meriti della pellicola sono da attribuire quasi esclusivamente al soggetto di Veronica Roth.