DIVERSO DA CHI?
Tutta la nostra esistenza è costantemente attraversata dalla continua, e spesso ingombrante, presenza dell’”altro”. Le relazioni interpersonali ci pongono di fronte ad una galleria di volti, che irrompono nel nostro spazio vitale, ci scrutano dentro, ci costringono metterci in discussione e a convivere con il loro sguardo, talvolta affettuoso e pieno di comprensione, talaltra irritante, invadente, impertinente.
Entrare in relazione con l’altro significa entrare in contatto con un’altra identità, con qualcuno che è “diverso” da me. E attraverso questo incontro, oltre ad acquisire maggior coscienza delle mia identità, posso diventare più ricca, facendo tesoro dell’alterità riconosciuta.
Eppure spesso la diversità ci appare come un ostacolo, una barriera alla relazione autentica con l’altro, persino come una minaccia da contenere o scongiurare. È quanto avviene ogni volta che la “diversità” non viene riconosciuta come una qualità propria di ogni essere umano, in quanto meravigliosamente unico e irripetibile, ma diventa un’etichetta da affibbiare a chi si avverte come totalmente “altro” da sé: all’immigrato, al disabile, all’omosessuale, ma anche a chi non si omologa agli standard imposti dal gruppo, a chi non veste alla moda, a chi non frequenta il giro giusto. Fino al paradosso di considerare “diverso”, in quanto “sfigato”, chi non imbroglia, chi non si sballa, chi si attiene alle regole.
Ciò è tanto più vero per gli adolescenti, spesso portatori di un rapporto ambivalente con la diversità: da un lato, infatti, l’affrontano con fastidio, soprattutto quando si rendono conto che pesa negativamente nella costruzione della relazione con l’altro, nel perseguimento di un’omogeneità di fondo all’interno del gruppo; dall’altro, la rivendicano con forza, quando vogliono sottolineare la propria originalità, il rifiuto di ogni tentativo omologante della società.
L’esperienza della differenza coincide con la ricerca di un equilibrio tra sé e il mondo, nella graduale conquista di un senso gioioso dell’alterità. Ma proprio perché la si vive in bilico, può produrre vertigine e stanchezza; di qui la tentazione di azzerarla con forme più o meno mascherate di manipolazione e di intolleranza, di omologazione coatta e di gregarismo all’interno del gruppo.
La diversità è il doloroso segnale di un’autenticità che può portare ad accentuare le distanze e i conflitti. Ma, al tempo stesso, è anche ciò che garantisce la tensione verso un protagonismo che resiste al conformismo della massa.
È, allora, necessario percepire le differenze non come un limite o un dato da “tollerare”, ma come una risorsa, un valore da “tutelare”, un’occasione per sviluppare appieno la propria identità nel confronto con l’altro; come un dono che apre al senso della complementarietà e all’amore per l’altro, nella sua unicità e irripetibilità e non solo come immagine riflessa del proprio io.