Divertirsi con l’arte: Gianluca Morozzi

Creato il 20 febbraio 2015 da Leggere A Colori @leggereacolori

Detesta gli avverbi tanto quanto ama il Bologna, Gianluca Morozzi, da qui il suo atteggiamento autoironico e divertito nei confronti della vita e della letteratura. Non accontentandosi mai, neppure di rimanere all’interno della stessa forma d’arte, tanto è vero che spazia dalle Lettere propriamente intese alla musica e al fumetto, altra forma di Lettere meno riconosciuta ma di grande spessore e difficoltà (opinione mia, nda). Cambia genere, scrive racconti brevi, insomma, fa tutto quello che in teoria sconsigliano di fare ma, tant’è, divertirsi è divertirsi. E gli riesce anche bene!

 1) Gianluca, tra le tue tante opere hai all’attivo anche diverse antologie e raccolte di racconti. Perché in Italia i racconti non si vendono?

Questo è un grande, imperscrutabile mistero. La giustificazione classica è: il lettore non ha il tempo di affezionarsi a un personaggio che già lo deve salutare, in una narrazione breve. La maggior parte degli editori (con lodevoli eccezioni), di fronte alla raccolta di racconti di un esordiente, chiede “belli, ma non hai un romanzo?”, oppure “quel racconto un po’ più strutturato di altri non si potrebbe espandere fino a farlo diventare un romanzo”? Prendiamo atto di questa situazione. Io comunque continuo ad amare la forma racconto e ad affiancarla alle mie narrazioni più lunghe.
2) Sei un raro caso di autore che nonostante abbia scritto di generi diversi, non ha perso il suo pubblico. Perché per molti altri, seppur bravi, questo discorso non funziona?
Dipende da vari fattori. Se un autore, per ipotesi, ha esordito con un romanzo giallo di grande successo, viene subito identificato come giallista, e i lettori vorranno leggere qualche altro giallo col suo nome, e se per ipotesi tenterà una svolta nel fantasy non lo seguiranno. Io sono cresciuto con Andrea Pazienza, che riusciva a passare con estrema facilità (almeno, questo è quel che traspariva) dal comico al tragico, dal lirico al demenziale. Ho esordito con un piccolo editore, spaziando abbastanza tra i generi, e quando sono passato a Guanda con un thriller claustrofobico come Blackout l’ho subito bilanciato un anno dopo con un romanzo comico come L’era del porco. Questo in verità mi è costato un po’ sul versante degli editori stranieri, che fanno fatica a seguire le mie evoluzioni, ma per me è una condizione irrinunciabile. Avvizzirei se dovessi praticare un genere solo.

 3) Con quale spirito ti poni nel presentare altri autori?

Di servizio. Mi metto a loro totale disposizione. Odio dal più profondo del cuore le presentazioni in cui in relatore parla per quaranta minuti filati, per poi cedere a malincuore la parola all’autore che sta presentando. Si parla del suo libro, oggi, non del mio.

4) Fumetti, musica e narrativa: ti muovi su questi fronti con disinvoltura, ma come un’attività può influenzare l’altra?

I fumetti ti pongono di fronte a un grosso limite di spazio: se devi sceneggiare un dialogo, devi tener conto dello spazio fisico rappresentato dal baloon. La pagina bianca di un romanzo è illimitata, la vignetta no. Impari a usare il ritmo e la sintesi, in questo modo, ed è una cosa che puoi applicare anche in narrativa. Dalla musica potrei dire che ho applicato il ritmo e gli stati emotivi, ma in realtà anche solo andare a un concerto ti mette di fronte a svariati personaggi e situazioni che poi, in qualche modo, ti ispireranno per forza qualcosa.
5) Domanda da ex cantante dilettante (io, nda): hai mai tratto un romanzo da una tua canzone, o una canzone da un tuo testo e, se sì, come hai fatto?
No, ma a un certo punto avevo due nomi di gruppi (Mesmero e Despero) e due titoli di canzoni (Crisalide e Crepuscolo) e dovevo abbinarli al gruppo che stavo fondando e al romanzo che stavo scrivendo. Se la sono giocata per un po’, poi Despero e Crepuscolo sono diventati di carta.

6) Scrivere: di cosa si tratta nel tuo caso?
Dell’unica cosa che so fare bene. E quella che in assoluto mi piace di più.

7) Dici che la scrittura non ha regole, ma allora come si incanalano le disordinate doti di un principiante (insegna scrittura creativa, nda)?

Le regole che rifiuto io sono quelle del tipo: “lo scrittore ha il dovere di parlare di questo e quest’altro”, oppure “siamo stanchi di leggere questa cosa qua da parte degli scrittori italiani”… no, no, lo scrittore ha il dovere di scrivere bene e basta, e stanco di leggere sarai tu. Non ci sono regolamenti da rispettare in questo senso.

Come insegnante di scrittura creativa, cerco sempre di far capire che le regole vere e proprio sono molto poche, ma gli input e i suggerimenti sono tantissimi. Anche in questo caso, premetto che molte cose sono soggettive. Io posso dire che limitare l’uso di avverbi è positivo e che si può usare “disse” (o “dice”) settanta volte in un dialogo senza che la cosa sia un errore, ma un altro insegnante potrà improvvisare una canzone sulla bellezza degli avverbi mentre danza gorgheggiando “cordialmente, francamente, fortemente” e tatuarsi sul braccio i sinonimi del verbo dire. Mi limiterò ad affermare che i vari “esclama, soggiunge, sbotta, insinua, sibila”, come scrive Paolo Nori nel suo Gli scarti, mi fanno abbastanza orrore.
8) L’editoria italiana: è davvero troppo snob per fare dello scouting come potrebbe, o è solo una questione di crisi del settore? Eppure pubblicano una gran quantità di titoli…
Ognuno svolge il suo compito. A questo punto lo scouting lo fanno più che altro i piccoli editori, mentre i grandi fanno altro (con eccezioni, naturalmente). La crisi ha terrorizzato un po’ tutti, e si fa fatica a rischiare, evidentemente.

9) Web e scrittura. Aldilà della pura promozione, che futuro ha la letteratura in rete?

Penso che potrà convivere gioiosamente con quella cartacea. Mi piacerebbe che venisse usata per rendere di nuovo reperibile in formato e-book libri che da anni sono fuori catalogo e che nessuno vuole ristampare.
10) Cosa stai apprezzando di più delle nuove penne che circolano nel nostro paese e perché?

Il fatto che, in generale, non abbiano padri riconoscibili, non siano cloni di nessuno, e stiano cercando una loro voce peculiare. Poi, mentre io ho avuto la fortuna di esordire nel 2001 e di attaccarmi all’ultimissima coda di interesse per gli autori esordienti (per cui, anche se pubblicavi per un piccolo editore in 800 copie, si parlava di te sui forum e il tuo nome circolava), loro stanno venendo a galla nella giungla e in una valle di lacrime in cui tutti quanti piangono disperazione e miseria. Chi uscirà indenne da questo delirio, diventerà indistruttibile.
11) Una domanda che non ti hanno mai fatta ma alla quale avresti sempre voluto rispondere…

“Quando si farà una serie a fumetti su Leviatan, il tuo supereroe che cambia poteri ogni 12 ore, quello di Colui che gli dei vogliono distruggere?”

(Risposta: quando me la faranno fare)

Contatti: Gianluca Morozzi (Facebook)

Chi è Gianluca Morozzi:

Gianluca Morozzi esordisce nel 2001 con il romanzo Despero e raggiunge la notorietà tre anni più tardi con il “thriller claustrofobico” Blackout, dal quale è stato tratto un film per la regia del messicano Rigoberto Castañeda. La sua scrittura vira dal noir più classico a testi di stampo autobiografico, non di rado apertamente esilaranti, nelle trame dei quali trovano spazio le passioni personali dell’autore: l’arte del flirt, la musica – suona negli Street Legal – la fantascienza, i fumetti e la gloriosa maglia rossoblù del Bologna. Tra i suoi lavori ricordiamo L’era del porco (2005), L’abisso (2007), Colui che gli dei vogliono distruggere (2009), Cicatrici (2010), Chi non muore (2011), Bob Dylan spiegato a una fan di Madonna e dei Queen (2011), L’età dell’oro (2014), Radiomorte (2014), L’amore ai tempi del telefono fisso (2015).


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