Il nuovo anno ha portato uno sconvolgimento nel mondo dell’Equo & Solidale: Fair Trade Usa è uscita da Fair Trade International. Non è una ferita leggera!Il motivo della divisione sarebbe dovuto ad una diversa posizione dei due soci fondatori riguardo alla possibilità di ammettere le multinazionali tra i possibili produttori Fair Trade.Nico Roozen (socio fondatore) sostiene che fare spazio alle multinazionali darebbe nuovo slancio al mercato Equo e renderebbe i prodotti disponibili a tutti.Frans van der Hoff (l'altro socio fondatore) sostiene invece che questa apertura snaturerebbe profondamente lo spirito del Fair Trade tradendo di fatto i piccoli produttori.
La divisione non è di facile soluzione perché a livello puramente teorico la ragione è di entrambi. Se lo scopo infatti è di produrre alimenti e artigianato garantendo il giusto guadagno agli agricoltori e agli artigiani, non dovrebbero esserci ostacoli ad ammettere le multinazionali se queste vengono legate a controlli stringenti. Starà poi a queste ultime valutare se ne potranno trarre sufficienti benefici!Tuttavia le intenzioni di Nico Roozen non sembrerebbero così oneste se fra le novità che vorrebbe introdurre ci sarebbe l’abbassamento al 10% della percentuale minima di ingredienti “Equi” in un prodotto marchiato Fair Trade. Questa posizione sembra piuttosto un cedimento alla pressione delle multinazionali per entrare in un mercato che fa gola!
A dire il vero il Fair Trade probabilmente andrebbe imposto per legge e la gente dovrebbe vergognarsi di comprare prodotti per i quali non venga garantito, ad agricoltori e artigiani, un compenso equo ( che non significa abbondante ma semplicemente onesto).Il Fair Trade infatti è reso necessario dal fatto che non in tutti i paesi ci sono leggi a tutela dei lavoratori come ci sono in Europa e questo permette alle multinazionali (e non solo a loro) di produrre a prezzi molto bassi. Comprando prodotti non Equi si rischia di favorire un mercato del lavoro che in Italia e in Europa sarebbe considerato vergognoso e criminale oltre che illegale.
Resta comunque la necessità di rendere i prodotti Fair Trade più idonei ad un mercato di massa avvicinandoli alle esigenze quotidiane della gente e prendendo le distanze da un mercato che rischia di diventare radical chic.La gran parte dei vestiti ad esempio rimane a prezzi molto elevati e cosa ancora più fondamentale il designe è spesso inadatto all’uso quotidiano e alle esigenze reali della gente. Nell’ambito degli alimenti Fair trade c’è spazio per un miglioramento qualitativo dei prodotti (ad esempio i cereali per la colazione) e la tecnologia di alcune grosse aziende potrebbe aiutare in modo significativo. Inoltre la varietà di prodotti potrebbe aumentare notevolmente e stimolare un maggiore interesse per il settoreMi sembra una buona decisione quella presa allargando ai supermercati la distribuzione dei prodotti Fair Trade ed anzi andrebbe incoraggiata garantendo comunque sempre etichette dettagliate che evidenzino la ripartizione del costo finale del prodotto e gli ingredienti Equi.Un’ultima considerazione: sarebbe bello ed utile che lo spirito Fair Trade si allargasse anche a prodotti non extracomunitari con marchi tipo il DURC (un documento che certifica che i contributi dei lavoratori sono stati pagati regolarmente) o la certificazione Kosher che oltre ad assicurare il rispetto delle norme alimentari ebree richiede l’assoluta regolarità nelle assunzioni dei lavoratori e nei pagamenti dei contributi.